Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 162
marzo 1989


Rivista Anarchica Online

L'ultima farsa
di Carlo Oliva

Le polemiche attorno alla figura del ministro Donat-Cattin coprono ancora una volta il gioco di patteggiamento tra i partiti sulla pelle dei cittadini, cui nessuno ha garantito una vera campagna di prevenzione sull'AIDS o ha assicurato che la normativa e la prassi ospedaliera in tema di aborto non subiranno peggioramenti drammatici.

Devo confessare di avere un debole per il senatore Carlo Donat-Cattin, ministro della sanità nell'attuale governo.
Rispetto all'immagine del ministro democristiano medio, mi è sempre sembrato dotato di un piglio insolito, di una qualche capacità d'esporsi, della mancanza di quella untuosità, come dire, floridamente pretesca, che rende tanto sgradevoli le figure dei vari De Mita e Andreotti, per non dire della finta serenità di un Formigoni o della ragionevolezza di Galloni, quello che dialoga con tutti! e poi sponsorizza i concorsi del Movimento per la Vita. Nemici per nemici, preferisco quelli che si dichiarano per tali e che non danno l'impressione di essere sempre pronti a pugnalarti alle spalle.
Certo, queste sono banalità. Anche lui, probabilmente, è capacissimo di pugnalare alle spalle chiunque. Ma ci è noto, comunque, per quanto poco interessante possiamo considerare il gioco politico nazionale, che in quel gioco Donat-Cattin è un perdente che nel suo partito conta pochino e, infatti, è confinato in un ministero che più che grane non può procurare. E da questa consapevolezza dovremmo ben saper trarre qualche conclusione.

Le prescrizioni del papa
Un ministro notoriamente bizzarro, in fondo, può tornar utile. Per esempio, un documento come la lettera in data 1 dicembre '88 che accompagnava l'opuscolo informativo della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, quella che, in soldoni, diceva che il ministero era obbligato d'ufficio a render nota qualche misura di prevenzione, ma che la morale raccomanda comunque la castità e che profilatticamente non c'è niente di più efficace, firmato da un altro avrebbe potuto suscitare polemiche molto più vivaci di quelle che in effetti ci sono state. Qualcuno avrebbe potuto ricordare che osservazioni del genere erano state fatte dal papa, e chiedersi come mai un governo cui partecipano quattro partiti laici (su cinque) sentisse il bisogno di adeguarsi a una prescrizione del capo della chiesa cattolica. E magari avrebbe potuto sospettare che affermazioni ineffabili come quella secondo cui "per comportarsi con equilibrio esistono almeno ragioni igieniche, se si dà poco peso a quelle morali" e le relative raccomandazioni di attenersi a "un'esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali" fossero il frutto di una qualche mediazione le cui responsabilità coinvolgevano parecchi eredi autopresunti del "Mondo" di Pannunzio.
Donat-Cattin non è certo l'unico uomo politico convinto del fatto che per governare in Italia bisogna adeguarsi alle prescrizioni del papa, ma è uno dei pochi che si può permettere di dirlo: quando bisogna dirlo è ovvio che lo si faccia dire a lui. La pretesa per cui i propri pregiudizi e le proprie convinzioni etiche vanno considerate per definizione "normali" e quelle altrui no, è talmente diffusa da essere, sul piano statistico, del tutto normale, ma è anche normale che la possa esibire solo un politico che non tema la nomea di anormalità.
Giochi di parole a parte, l'ipocrisia ideologica è di rigore in un sistema, come il nostro, che nega per principio l'esistenza di differenze e di distinzioni di questo tipo. Da noi, si sa, la gestione del potere avviene, con maggior coerenza che altrove, in base a patteggiamenti riservati, il che comporta la necessità di prestare scarsa o nulla attenzione alle opzioni ideologiche dichiarate. Non bisogna chiedere a nessuno, neanche a chi incarna, con scarso entusiasmo, il ruolo dell'opposizione, di compromettersi irrevocabilmente, a rischio di trovarsi escluso da possibili patteggiamenti futuri. Quando un autorevole richiamo esterno (il papa, o la Fiat, o l'ayatollah Khomeiny, o l'ambasciatore USA, o chi altri) rende necessaria la provvisoria rottura di questo pactum sceleris implicito, si impone il ricorso ai Donat-Cattin, ai Pannella, ai Pietro Longo, a quelle figure di "pazzariello" di cui i responsabili di ogni congregazione rispettabile tengono da parte con cura un paio d'esemplari per ogni evenienza.
Quanto alla legge sull'interruzione della gravidanza, la cui ventilata modifica in senso gradito al Movimento Popolare è stata la posta dalle malinconiche manovre svoltesi attorno alla "Mangiagalli" di Milano, sanno gli dei se non si tratta di una legge di compromesso: anzi, di uno di quei compromessi particolarmente sgradevoli che erano di rigore negli anni della "solidarietà nazionale", quando quella legge fu appunto varata. Ci fu, allora, chi richiese un referendum, parallelo a quello abrogativo promosso dai ciellini, per eliminare le sue norme più restrittive. Gli elettori, con un certo pessimistico buon senso, preferirono stare ai primi danni e tenersi la legge com'era e nel maggio 1981 respinsero tutte e due le proposte (con l'88,5% di maggioranza nel primo caso e il 67,9% nel secondo).
Oggi, per un motivo o per l'altro, parte del mondo cattolico pensa di potersi prendere la rivincita. Si tratta, probabilmente, di una minoranza, ma non importa: con il vento che tira, la maggioranza del cattolicesimo organizzato (chiesa compresa) non può permettersi di non sostenere questo genere di estremisti. Ma perché farsi coinvolgere troppo in una bagarre da cui l'esperienza insegna che si ha tutto da perdere? Per fortuna c'è il bizzoso ministro, che fa colore e permette alla gente seria di patteggiare nell'ombra.

Il gioco delle parti
Sì, patteggiare nell'ombra è altrettanto offensivo e sopraffatorio verso le donne di quanto non lo siano i blitz e le ispezioni dell'Ineffabile, ma per chi conduce queste operazioni il problema si riduce spesso a un normale gioco delle parti. Tu dici una cosa, io ti rimbecco con durezza, lui presenta una mozione di sfiducia, io voto contro (in nome della situazione politica generale, ovviamente) e tutti siamo liberi di occuparci di quello che ci interessa davvero.
Naturalmente nessuno vuole negare le responsabilità del ministro. Ma, insomma, per quanto divertente possa sembrare l'idea di vederlo in caricatura con la testa inguainata in un enorme preservativo (beh, proprio divertentissima no), si può anche sentirsi sfiorati dal dubbio che nella campagna di stampa di parte "laica" che ha accompagnato le ultime sortite del personaggio e nelle iniziative parlamentari connesse non tutto sia stato così limpido.
Nelle polemiche giornalistiche, capita abbastanza spesso che si scelga un bersaglio scontato. Non sarebbe poi un gran male, salvo che per un particolare di un qualche interesse: il gioco delle parti di cui sopra ha concesso qualcosa praticamente a tutti, da Craxi a Formigoni, dalla CISL al Comune di Milano, da De Mita ad Occhetto, da Martelli a Scalfari (che sul suo giornale attacca Donat-Cattin con lo stesso fervore con cui esalta, appunto, De Mita).
Gli unici cui non è stato concesso proprio niente sono stati, al solito, i cittadini, cui nessuno ha garantito una vera campagna di prevenzione dell'AIDS, con il supporto delle strutture sanitarie e la mobilitazione delle risorse disponibili o ha assicurato che la normativa e la prassi ospedaliera in tema di aborto non subiranno peggioramenti drammatici. Nell'indifferenza verso i bisogni reali della gente, la cultura cattolica trova il modo di celebrare un ambiguo connubio con il conservatorismo laico e la tendenza alla smobilitazione dei servizi pubblici.
Consoliamoci tirando le torte in faccia al ministro. Anche di fronte ai problemi più tragici, la politica dello spettacolo ci offre, occasionalmente, qualche occasione di farsa. Ma che tristezza, comunque.