Rivista Anarchica Online
Contro il militarismo, contro
l'autoritarismo
a cura della Redazione
Se la funzione dell'esercito è
veramente quella di sostenere la "protezione civile", se
davvero è quella di difendere la popolazioni dagli effetti di
una calamità naturale, e di aiutarle a ricostruire la loro
vita sociale ed economica dopo il caos di un terremoto o di una
alluvione, allora non si capisce innanzitutto perché questo
debba essere armato. Forse con una baionetta è più
facile costruire una casa o arginare un fiume, di quanto lo sia con
una pala, o con un piccone? Forse le macerie e il fango si sgomberano
meglio con un carrarmato, piuttosto che con una gru, o con una pala
meccanica? Ma questa non è la sola
contraddizione. La stessa obbligatorietà del servizio
militare, la sua imposizione, e l'autoritarismo e la gerarchia sui
quali esso si fonda, lungi dal rappresentare – come si vuol far
credere – ragioni di efficienza e di celerità in simili
tragiche circostanze, diventano un ostacolo, un elemento frenante nel
momento della "ricostruzione". Abbiamo tutti visto più volte
come, dopo una calamità naturale (il terremoto in Irpinia,
l'alluvione in Valtellina), gli interventi più utili siano
stati l'effetto della solidarietà, della collaborazione,
dell'attività spontanea di molte persone, estranee e anzi
contrarie alla disciplina militare. Certo, in simili circostanze
l'improvvisazione e il disordine possono fare più guai della
natura stessa; ma gli uomini conoscono molti modi per organizzarsi, e
quello che domina nell'esercito è solo uno dei tanti: il più
violento, il più disumano, ma non certo il più
efficace. E se teniamo presente questo particolare "ordine",
questo tipo di organizzazione, questa struttura, forse ci appaiono
più chiari i vari scopi di quella istituzione. Quando lo Stato si prepara ad
ammazzare, si fa chiamare Patria, ha scritto Dürenmatt.
E a cosa serve un esercito, se non ad ammazzare, ed imporre col
terrore l'ordine di pochi privilegiati, la "pace" dello
sfruttamento e della miseria, la "tranquillità" di
una violenza quotidiana subita da chi non sa o non può
ribellarsi? A cosa serve l'esercito in Palestina, in Cile, in
Venezuela, in Polonia, in Birmania, e in ogni altro paese del mondo? Ma c'è anche un fine "interno",
uno scopo che le gerarchie perseguono nei confronti dei propri
subordinati, e che realizzano con cinismo, con prepotenza, su tutti
quei milioni di giovani che in ogni parte del mondo, prima o poi
diventano dei soldati. Per questi ragazzi, l'esercito è
soprattutto una scuola; e il suo fine principale è quello di
"educarli", di trasmettere loro determinati valori, di
ottenere da loro determinati comportamenti. È
a questo che lavora, tutti i giorni, ogni esercito; è questo
il suo fine principale: trasformare degli uomini, delle persone con
una dignità, capaci di pensieri e di comportamenti autonomi,
spesso impegnati nella realizzazione di progetti di trasformazione
sociale, in soldati, in figurine manovrate da un graduato, pronte ad
essere manipolate fuori, nella vita civile, dai "superiori"
di turno, senza discutere, senza ribellarsi. Per questo, poco importa che il
servizio di leva duri 12 mesi, o soltanto 6, o quattro settimane
all'anno; per questo, poco importa che il servizio sia obbligatorio o
volontario, giacché ogni esercito è comunque di per sé
una calamità, e rappresenta un pericolo per l'umanità
intera. Questo accade anche in Italia: qui,
ogni anno, migliaia di giovani vengono sequestrati nelle caserme. Lo Stato italiano vuole trasformare i
"suoi" ragazzi" in uomini, in "veri" uomini:
pronti ad accettare la società divisa in classi che li
attende, pronti ad accorrere in difesa della status quo ogni qual
volta uno squillo di tromba li richiami all'ordine; pronti a
cominciare la loro guerra personale, armati del più bieco
opportunismo, privi di scrupoli, disposti a vendere la propria
dignità per un posto di lavoro, per un attestato in più,
per una spinta o per il sorriso di uno che conta. Perché
"militarismo" non è solo l'esercito, non è
solo la naja; e non è solo un territorio "occupato"
da caserme, poligoni, basi militari ed eserciti stranieri; e nemmeno
soltanto la repressione costante e capillare di ogni tentativo di
trasformazione sociale. "Militarismo" è anche
una mentalità gerarchica ed autoritaria che domina tutto il
corpo sociale, che "informa" di sé i rapporti tra
gli individui, che sostiene la disuguaglianza e l'esistenza delle
classi e che, in ultima analisi, permette allo Stato di arrogarsi
anche il "diritto" di rubare un anno di vita ad ogni
giovane, per trasformarlo così in un suddito. È
questo "diritto" che va combattuto, innanzitutto; è
contro questa pretesa dello Stato – o di qualsiasi altra
istituzione – di decidere della nostra vita, che dovrebbe
lottare ogni persona alla quale sta a cuore la libertà di
tutti. Ogni anno, alcuni giovani (anarchici,
ma non solo) conducono questa lotta: rifiutano il servizio militare e
quello sostitutivo civile, convinti che niente e nessuno possa
utilizzare la vita di un individuo contro la sua volontà, e
per un fine che egli non condivide. Questi giovani quasi sempre
finiscono in galera: lo Stato li punisce perché desiderano un
mondo diverso, più solidale, più libero; perché
sanno di poterlo realizzare riappropriandosi della propria vita,
difendendo la propria dignità. Lo Stato li chiama "obiettori
totali"; e nelle carceri militari nelle quali li rinchiude,
spesso cerca di schiacciare la loro fierezza, di spezzare il loro
carattere, di umiliare le loro convinzioni. Si tratta di lotte
individuali, tanto più dure da sostenere quanto più
viene a mancare la solidarietà di quanti vivono fuori dal
carcere, fuori dalle caserme, in una gabbia appena un po' più
larga. Si tratta di lotte che vanno al cuore
del problema, che sconfiggono l'arroganza perché rifiutano la
subordinazione, che rendono inutile il conflitto perché
diffondono la solidarietà, che vincono la violenza perché
combattono l'autoritarismo. Sono lotte di libertà, portate
avanti da individui che vogliono solo questo: vivere liberi.
Sosteniamoli! Per il loro rifiuto del servizio
militare e di quello civile sostitutivo sono attualmente detenuti:
Giuseppe Coniglio, carcere
militare, 81055 Santa Maria Capua Vetere (CE); Alfredo Cospito, carcere
militare Forte Boccea, via di Forte Boccea 251, 00167 Roma; Peter Rotten Steiner e
Dario Sabbadini, carcere militare, 37019 Peschiera del Garda
(VR).
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