Rivista Anarchica Online
Una moto per...
di Roberto Gimmi
La moto nelle esperienze e nelle
riflessioni di un militante anarchico, che ha voluto stendere sulla
carta il suo rapporto con un mezzo da sempre al centro di odii e
amori radicali.
Vorrei attirare l'attenzione e
l'interesse della rivista su un fenomeno molto particolare che è
il "mondo motociclistico". Il proposito è quello di
presentare alcuni aspetti di tale mondo che a mio parere sono molto
interessanti. Prima di affrontarlo ritengo doveroso sgombrare il
lettore da eventuali pregiudizi e luoghi comuni che possono porre
delle barriere per capire e conoscere le persone e le cose.
La prima perplessità è,
infatti, di chiedersi cosa possa aver a che fare l'anarchia con un
mezzo meccanico. Come anarchici, come "filosofi della libertà"
e "scienziati della libertà" abbiamo la pretesa di
interessarci a tutte le manifestazioni che possono aiutarci a capire
e conoscere il fenomeno della "libertà" per
coglierne i suoi mutamenti. Infatti l'anarchico non deve ficcare la
testa nella sabbia dei luoghi comuni, degli slogan e della routine
militante, ma deve continuamente sforzarsi di non considerare mai
definitive le risposte, deve imparare a vivere e ad agire in mezzo ad
una selva di punti di domanda, perché sia la propaganda
dottrinale sia le situazioni di fatto esigono una continua messa a
punto. L'anarchismo non è una ripetizione,
un'autogiustificazione, una ideologia, ma l'"interrogations"
e l'inquietudine. Ora, con un atteggiamento rilassato, più
aperto e disponibile, cercherò di mettere in contatto coloro
che della libertà hanno fatto una politica, con coloro, i
"centauri", che della libertà hanno un grande
desiderio.
Nonostante l'immagine del motociclista
sia quella da mezzo delinquente e pazzo spericolato che fin troppo
facile giornalismo "da spiaggia" gli ha affibbiato, la moto
si è conquistata il suo angolo di storia nella cultura di ieri
e di oggi come veicolo anche di espressione, fuga, rivolta, libertà
ed avventura.
Nella letteratura il libro di Robert
Pirsig "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta"
è ormai un classico, dove il protagonista si gode, insieme al
figlio, il proprio mezzo a due ruote, in un viaggio apparentemente
senza meta alla ricerca di se stesso e della qualità della
vita. Nel cinema ci sono dei film che sono diventati mito e leggenda.
Steve McQueen, ne "La grande fuga", scappando da un campo
di prigionia, gioca la sua ultima carta e tenta in sella ad una moto
il disperato salto del reticolato di frontiera. Marlon Brando ne "Il
selvaggio" con la sua Triumph, il giubbotto di pelle nera sulla
T-Shirt bianca ha caratterizzato generazioni di ribelli.
Infine vi è l'ormai storico e
mitico film "Easy riders" dove i protagonisti su potenti
Choppers sono in viaggio per recarsi a festeggiare il Carnevale, ma
il loro aspetto e modus vivendi, il loro essere "diversi",
non è gradito ai benpensanti di una cittadina di passaggio,
dove verranno barbaramente uccisi.
Libertà e avventura
A questo punto l'immagine del
motociclista o meglio la sua immagine culturale è quella
dell'individualista, del ribelle, del desideroso di libertà ed
avventura, che entra a far parte di un mondo di minoranze emarginate
in cerca di affermazione e identità. Qualcuno obietterà
che questa è solo l'immagine culturale, che nella realtà
il motociclista è ben diverso: egocentrico, esibizionista,
maschilista, misogino, fascista, ubriacone, drogato, teppista,
delinquente, spericolato, smanettone ecc...
Non voglio negare che nella tipologia
del motociclista siano presenti queste componenti, ma non ne
rappresentano la maggioranza. È
vero che si dà sfogo alla propria eccentricità,
virilità, si è alla ricerca di sensazioni edonistiche,
dell'ebbrezza velocistica e dell'attenzione altrui alle cromature
splendenti. Ma il centauro è anche un'altra cosa, non è
solo colui che parla di pistoni, carburatori e marmitte. Non tutti
sono "figli di papà" che cambiano la moto ogni anno
per avere sempre l'ultimo modello da mostrare agli amici del bar. Per
la maggior parte la moto è interpretata come compagna di
viaggio, come amica, come elemento distintivo di appartenenza al
gruppo, è un modo come un altro per stare insieme agli amici,
per passare il proprio tempo libero, è un mezzo di trasporto
per recarsi quotidianamente al lavoro, è un mezzo utilitario
maneggevole ed economico nei consumi, è il mezzo tecnologico
più umano per avvicinarsi alla natura, è una
gratificante sensazione di libertà. Oggi la moto nonostante
sia un prodotto della nostra società consumistica, assume
quindi significati culturali differenti. Rientra nell'aspirazione
umana di conoscere, viaggiare, esplorare.
Tra i tanti mezzi di locomozione
motorizzati la moto è l'unico mezzo che non ti separa dalle
cose, che non ti trasforma in osservatore passivo, ti fa sentire
parte delle cose stesse. La motocicletta ha una specie di
personalità, crea una specie di simbiosi con l'uomo, un
rapporto di identificazione difficilmente riscontrabile in relazione
ad altri mezzi di locomozione, non è solo un motore con due
ruote, è un cavallo tecnologico che si sostituisce al suo
predecessore quadrupede per esigenze di epoche, di tempi e di
cultura. Il tempo che si dedica a lei è come quello del
cavaliere che cura il suo cavallo, perché sa che dalla sua
"efficienza e salute" può dipendere, a volte, la sua
stessa vita.
Oggi la moto non è un lusso per
pochi eletti, è un'esigenza, una necessità,
un'alternativa, una scelta.
È
la risposta a vivere in maniera più umana l'alienazione e lo
stress del traffico ormai elefantiaco, non solo nel caos cittadino ma
anche in vacanza e nelle gite, con code ormai lunghe chilometri e
chilometri.
È la risposta di molti alla
massificazione, al non venire più schiacciati, spinti,
palpati, calpestati nei mezzi pubblici ormai paranoici, dove arrivi a
odiare chi ti sta vicino perché ti è salito sui piedi,
perché emette cattivi odori, perché ti mette il gomito
nello stomaco, o l'ombrello e la borsa contro le p...
Con questo non voglio sostenere che
tutti devono andare in moto, ma solo far notare che pur restando un
mezzo scelto soprattutto dai giovani, rimane una scelta esistenziale
con una sua filosofia, caratterizzata appunto da un senso di libertà,
anche se ancora potenziale, ma che può diventare
consapevolezza della propria e dell'altrui libertà. Un senso
di libertà che ha voglia di viaggiare, che è alla
ricerca dell'avventura, che rifiuta la vita alienata con la solita
ricerca del nulla, che rifiuta di sedersi in poltrona a guardare la
TV. "Se il viaggio in moto è
libertà che lo sia fino in fondo. L'Aventure c'est l'Aventure,
ou non?" direbbe un Motard (più avanti spiegherò
chi sono). L'Avventura in moto è tutta da
gustare con il sottile piacere del rischio e dell'imprevisto sempre a
portata di mano, ma anche con il piacere ritrovato quando si
raggiungono comodità abbandonate a lungo, quando si riscopre
l'importanza di un letto, una doccia ed anche semplicemente l'acqua,
il carburante, qualcuno che vende qualcosa di commestibile. L'Avventura in moto, una di quelle
vacanze che rendono il rientro a casa quasi sognato, ma che subito
dopo fanno desiderare di ripartire di nuovo. Perché è
forse dell'uomo avere la necessità di confrontarsi, per lo più
con se stesso, in ambienti ostili e difficili. Chi ama la moto non
può non amare i grandi spazi e sicuramente è un tipo
che è disposto a patire il disagio per gustare il più
immediato contatto con quanto lo circonda. C'è chi vuole
circondarsi del nulla del deserto, chi di una natura rigogliosa, chi
dei pascoli d'alta montagna, ecc...
La vacanza non è soltanto
evasione, ma anche il desiderio di un nuovo modo di vivere, è
la ricerca di un soggiorno intelligente con la scoperta della natura.
Qualcuno potrebbe obiettare che non è
difficile comprendere come il gusto dell'avventura, di passare
pericolosamente e disagiatamente il proprio tempo libero, possa
nascere e prosperare solo in una società che ha risolto i suoi
bisogni primari e più impellenti, dal cibo alla casa, al
lavoro, ai tanti gadget compagni di una vita consumistica all'interno
di una economia capitalista.
Discriminazioni e ingiustizie
Questo è senz'altro vero, ma è
anche vero che ai contenuti conformistici della società si
alternano quelli anti-conformistici, dovuti in questo caso alla
ricerca esistenziale di quel senso di libertà presente in ogni
motociclista. Senso di libertà che spesso si scontra con le
istituzioni e con la burocrazia.
Basta sfogliare le pagine delle riviste
specializzate come "Motociclismo", "Tuttomoto",
"La Moto", "In Moto", per rendersi conto delle
discriminazioni e ingiustizie, che spesso colpiscono il centauro ,
tanto che da più parti si parla di difesa dei diritti del
motociclista; nelle pagine della rivista "Motociclismo" è
stato dedicato uno spazio a questo problema, una specie di rubrica
"Ma chi difende il motociclista?".
Chi sceglie la moto si rende subito
conto che il suo rapporto di cittadino nei confronti dell'autorità
è a senso unico, non riceve niente in cambio. Dall'Iva
all'assicurazione, dai garage ai parcheggi, dalle condizioni stradali
ai divieti di circolazione per soli motociclisti, a episodi di vero e
proprio abuso se non di razzismo, fa sì che il motociclista si
senta quasi come un perseguitato.
Tipico esempio dell'atteggiamento
istituzionale è la Francia, dove la legge è ancora più
discriminatoria e ottusa che in Italia. Infatti l'11 aprile '87,
migliaia di "Motard" invasero il centro di Parigi per
protestare contro tale situazione. In Germania in settembre, a
Vechta, in provincia di Hannover, i motociclisti esasperati dalle
continue contravvenzioni inflitte loro per sosta vietata, si sono
"vendicati" posteggiando in massa nei parcheggi regolari
della strada principale. Spaventati dall'improvvisa invasione, i
vigili adesso chiudono un occhio. In Italia alcuni Moto Club hanno
intrapreso la via giudiziaria con esposti-denuncia per combattere i
divieti esclusivi dei Comuni ai soli motociclisti e alla
"bocciardatura" del manto stradale, molto pericolosa per la
sicurezza di chi guida una moto.
Quindi questa situazione
istituzionalmente discriminatoria, fa sentire il centauro come
vittima e perseguitato, si viene così a creare una specie di
solidarietà, uno strano e malinteso sentimento di classe.
In Francia, infatti, i "Motard"
costituiscono casta a sé. Chi sono i Motard? "Motard"
in Francia ha un significato il più delle volte spregiativo.
Il termine, in francese ortodosso, non esiste. Semplicemente vuol
dire motociclista, ma la fantasia popolare lo ha mescolato con
"petard": scoppio, fracasso. Quasi a voler sottolineare che
in Francia i motociclisti non sono molto amati. Non esiste in Francia
il motociclista interclassista. In Italia la tipologia del centauro è
più variegata, va dall'operaio all'impiegato su Guzzi, al
libero professionista o bancario su BMW ecc...
In Francia tutto ciò non esiste.
L'identikit del Motard è molto più omogeneo. Di
estrazione sociale sempre modesta, è giovane (il 90 per cento,
dicono le statistiche, ha meno di 30 anni) ed ogni fine mese è
per lui un incubo. Il suo status socio-economico non brilla, proprio
come la marmitta della sua moto. Di media-grossa cilindrata e con
almeno 30.000 chilometri all'anno registrati dal contachilometri.
Il Motard-tipo è un duro,
cavalca la sua moto come si cavalca uno strumento di contestazione di
un certo tipo di società. Tuta nera, non sempre impeccabile,
il motociclista francese è quello con il maggior numero di
ore passate in sella, ancor più dei tedeschi. È
una razza a parte, che gli automobilisti non capiscono e non
apprezzano. Basta aggirarsi ogni anno, all'inizio dell'autunno, tra
il pubblico del mitico "Bol d'Or" per comprendere la
situazione. Migliaia di Motard sono lì riuniti per il grande
rito annuale, per il supremo momento di rivendicazione di un orgoglio
di casta, per fare nuovi adepti.
Quando gli elefanti si radunano
In Italia non esiste un referente da
situazione francese, la realtà è molto più
diversificata. I Moto Club sono le strutture ufficiali della
Federazione Motociclistica Italiana (FMI) esclusiva e burocratica,
che raggruppano gli appassionati di mototurismo. Si organizzano
"raduni" con classifiche, punteggi, coppe e medaglie, ma
questo tipo di organizzazione è un po' in crisi, e viene
criticata da più parti. Infatti si sono organizzati gruppi
extra-FMI che contestano l'organizzazione dei cosiddetti "coppettari" ma anche il fatto che la FMI non tutela né
salvaguarda gli interessi turistici del motociclista. I
"contestatori" che per il loro tipico giubbino blu di jeans
si sono chiamati "Giacche Blu d'Italia", ritengono
necessario un intervento attivo contro le decisioni che vengono
partorite dalle eccelse menti dei nostri legislatori, per la difesa
dell'utente motociclista, vedi: legge sul casco, mancanza di
segnalazioni in tratti autostradali per le rigature antighiaccio,
eccessive tassazioni (38% di Iva), decisioni comunali per divieti di
transito alle sole moto, soccorso stradale, balzelli autostradali
esosi, caselli di accesso autostradali preferenziali, ecc... Il più
grosso motoraduno è la "Rosa d'inverno" che si tiene
a Milano ogni due anni, in concomitanza con il Salone del Ciclo e
Motociclo, arriva a contare più di 5.000 presenze.
Storia a parte è invece il
mitico raduno che si tiene ogni anno, nella città di
Salisburgo: "Elefantentreffen" o raduno degli Elefanti. E
il più grande raduno motociclistico di tutta Europa, al quale
partecipano circa 15.000 appassionati. La sua storia inizia nel 1956,
vicino a Stoccarda, sul circuito della Solitude. Tutti i partecipanti
guidavano le famose Zundapp KS 601, soprannominate "Elefanti
verdi" per la loro colorazione durante la Seconda Guerra
Mondiale.
Da queste motocarrozzette prese così
il nome del raduno. Incontro dopo incontro il numero dei partecipanti
divenne sempre più grande. Dal 1961 al 1977 l'Elefantentreffen
si svolse nel circuito del Nurburgring dove per le sue dimensioni
passò nelle mani del BVDM (Associazione Federale dei
Motociclisti Tedeschi) che ancor oggi l'organizza insieme alla "Biker
Union" associazione tedesca che può essere considerata
parallela alle Giacche Blu. Si arrivò al 1977 con la
partecipazione di 17.000 motociclisti e ben 30.000 spettatori. Ma al
raduno scoppiarono tumulti causa birra, alcol, ideologie. In una
notte vengono sfasciate, con assalti di moto, tutte le strutture del
raduno, scoppiano risse furibonde fra bande rivali, volano bottiglie,
pugni, catene, chiavi inglesi. Risultato: un morto, parecchi feriti e
contusi, la messa al bando per sempre dal territorio tedesco di tutti
gli Elefanti e le loro maledette motociclette. Solo nel 1979
l'Elefantentreffen ritornò ufficiale a Salisburgo, in Austria,
sempre in crescendo. L'Elefantentreffen è ormai entrato nella
leggenda, è il grande megashow, il mito di Easy Rider che
rivive e si rinnova. Non è un raduno qualsiasi, è un
ambiente, un'atmosfera magica e irripetibile che si crea per due
giorni, in un grande circuito coperto di neve, brulicante di moto e
di tende nonostante si tenga in pieno inverno.
È un appuntamento immancabile
per migliaia di persone con la passione dominante della moto, al di
fuori di ogni controllo: un ritrovo in completa autonomia e libertà
di masse, di gruppi, bande di curiosi, Motard, Hells Angels dal
piglio violento e dalla sbronza facile. Il comune denominatore di
tutti è la passione selvaggia per la moto che crea
solidarietà, spirito di classe fra persone diversissime. Ma
proprio quel ritrovarsi attorno allo stesso feticcio, simbolo di
libertà, clima di euforia, di libertà, di trasgressione
nei confronti di una società in cui tutto dev'essere regolato,
ordinato, rispettato. Quindi cavalcando una moto, non mostrano solo i
simboli che firmano i loro giubbotti, (anche se siamo lontano dal
clima di quel fatidico '77) questi centauri esibiscono la loro
ribellione, la loro diversità.
Altra storia sono invece i raduni
americani tipo Sturgis nel South Dakota e Daytona in Florida, dove
con le mitiche Harley Davidson arrivano sia i terribili "Hells
Angels" che i mitici "Motociclisti Cristiani" veri e
propri predicatori a due ruote che distribuiscono opuscoli a fumetti,
fanno comizi e prediche, e la "Tribù di Giuda" che
sono anche loro missionari a dispetto del nome e dei giubbetti
minacciosi. Con questo non voglio teorizzare l'anarcomotociclista né
tantomeno esaltare novelli teddy boys, ma solo attirare l'attenzione
su una realtà che coinvolge numerosissime persone, le aggrega,
le organizza e tenta di riempirsi di contenuti. Diversità, ribellione, libertà
sono tematiche a cui mostriamo particolare interesse e che molti
centauri cercano di esprimere più o meno consapevolmente.
La realtà non è soltanto
ciò che vediamo accadere, ma è tutto il possibile, la
nostra mente spazia per tutti gli universi inimmaginabili, e vi
coincide: il caso prolifera senza sosta in combinazioni che,
esattamente come la serie dei numeri, sono infinite.
Non esistono limiti così al
gioco delle novità, come a quelle delle ripetizioni. L'assurdo
è la regola, la garanzia suprema, metafisica, della libertà.
Detto questo è possibile concludere che su interessi e
passioni particolari, si possono costruire delle realtà
alternative, perché "io troverò sempre dei
compagni che si uniranno a me senza prestare giuramento alla mia
bandiera".
La motocicletta come sistema
Dal
libro di Robert Pirsig Lo zen e l'arte della manutenzione della
motocicletta (Adelphi Edizioni, Milano 1981, pagg. 392, lire
20.000) riproduciamo
un ampio stralcio del capitolo 8.
Ho messo a punto tante volte il motore
di questa moto che ormai è un rituale, e lo faccio quasi senza
pensarci. Guardo più che altro se c'è qualcosa di
insolito. Il motore ha cominciato a fare uno strano rumore come se ci
fosse un'asta delle punterie allentata, ma potrebbe essere qualcosa
di peggio, per cui ora registrerò tutto per vedere se
scompare. La registrazione delle punterie dev'essere fatta a motore
freddo, il che significa che la sera bisogna parcheggiare la
motocicletta nel posto in cui si lavorerà il mattino dopo. È
importante non registrarla sotto il sole diretto o a pomeriggio
inoltrato, quando il cervello s'impasta, perché anche se si è
fatta quest'operazione cento volte bisogna essere svegli e pronti a
cogliere ogni dettaglio. Non tutti capiscono l'assoluta
razionalità della manutenzione di una motocicletta. Molti
pensano che ci voglia una specie di "fiuto" o una certa
"affinità con le macchine". Hanno ragione, ma il
fiuto è quasi sempre frutto di un processo razionale, e i
contrattempi sono causati spessissimo dall'incapacità di usare
la testa in modo appropriato. Una motocicletta funziona in totale
accordo con le leggi della ragione, e uno studio dell'arte della
manutenzione della motocicletta è veramente uno studio in
miniatura dell'arte della razionalità stessa. Ho detto ieri
che il fantasma della razionalità era ciò che Fedro
inseguiva, ciò che lo condusse alla follia, ma per addentrarci
in questo argomento è vitale attenersi a esempi di razionalità
terra terra, in modo da non perdersi in generalizzazioni che nessuno
può capire. Ora siamo alla barriera tra classicismo
e romanticismo: da una parte vediamo una moto in base alla sua
apparenza immediata – e questo è un modo importante di
vederla -, mentre dall'altra possiamo incominciare a vederla come la
vede un meccanico, in termini di forma soggiacente – e anche
questo è un modo importante. Questi attrezzi, per esempio –
questa chiave inglese ha in sé una certa bellezza romantica,
ma il suo fine è sempre puramente classico. È
stata ideata per cambiare la forma soggiacente della macchina. La porcellana di questa prima candela è
molto annerita, il che è un brutto segno sia dal punto di
vista classico sia da quello romantico, perché significa che
il cilindro riceve troppa benzina e troppo poca aria. Le molecole di carbonio della benzina
non trovano abbastanza ossigeno con cui combinarsi, per cui si
fermano qui, sporcando la candela. Arrivando in città, ieri, il
minimo era irregolare; altro sinonimo dello stesso inconveniente. Per vedere se è solo il primo
cilindro che riceve una miscela troppo ricca, controllo anche
l'altro. Sono uguali. Prendo il temperino, raccolgo uno stecco e lo
appuntisco per ripulire le candele, domandandomi quale potrebbe
essere la causa di questa ricchezza della miscela. Non dovrebbe aver niente a che fare con
le bielle e le valvole. Raramente i carburatori perdono la
registrazione. È
vero che i getti principali sono stati maggiorati, il che provoca un
eccesso di benzina ad alta velocità, ma le candele sono sempre
state molto più pulite, e i getti erano gli stessi. Mistero.
Non c'è una risposta immediata per cui lascio la questione in
sospeso. La
prima punteria è a posto, non c'è bisogno di
registrarla; controllo la seconda. Passerà un bel po' di tempo
prima che il sole salga sopra quegli alberi...Ho sempre la sensazione
di essere in chiesa, quando faccio quest'operazione...Lo spessimetro
è una specie di icona e io celebro un rito sacro. È
uno strumento che fa parte di una categoria chiamata "strumenti
di precisione" che in senso classico ha un profondo significato. Con una
motocicletta non è per motivi romantici o perfezionistici che
si rispetta la precisione. L'enorme forza del calore e la pressione
esplosiva dentro questo motore possono essere controllate unicamente
grazie all'estrema precisione di questi strumenti. A ogni esplosione
la biella cala sull'albero a gomito con una pressione di molte
centinaia di chili per centimetro quadrato.
Se l'aderenza
della biella all'albero a
gomito è precisa, la forza dell'esplosione verrà
trasferita senza scosse e il metallo sarà in grado di
sopportarla. Ma se l'aderenza non è perfetta e c'è un
gioco anche di pochi centesimi di millimetro la forza dell'esplosione
avrà la violenza di un colpo di martello, e la biella e la
superficie del cuscinetto e dell'albero a gomito verranno presto
appiattite, con un rumore sulle prime molto simile a quello delle
punterie lasche. Ecco
perché adesso sto facendo un controllo. Se c'è
veramente gioco nel piede della biella e cerco di tirare fino alla
montagne senza una revisione, il rumore diventerà sempre più
forte, finché la biella non si staccherà, batterà
contro l'albero a gomito e distruggerà
il motore. A volte le bielle rotte perforano addirittura il carter e
l'olio cola tutto sulla strada. Ma
tutto questo può essere evitato con una regolazione al
centesimo di millimetro resa possibile dagli strumenti di precisione.
Questa è la loro bellezza classica, che non risiede nel loro
aspetto ma nelle loro funzioni. La
seconda punteria va bene. Passo dall'altra parte della moto e
incomincio a controllare l'altro cilindro.
Precisione
e gerarchia
Gli
strumenti di precisione hanno come fine la realizzazione di un'idea,
l'esattezza delle dimensioni, la cui perfezione è impossibile
da raggiungere. Non c'è pezzo della motocicletta che abbia una
forma perfetta, ma quando, grazie a questi strumenti, ci si avvicina
alla perfezione, succedono cose notevoli. Si sfreccia per la campagna
grazie ad un potere che potrebbe definirsi magico se non fosse così
totalmente razionale. La cosa fondamentale è capire questa
idea razionale. Quando John guarda la motocicletta, non vede che
pezzi d'acciaio che gli ispirano sentimenti negativi, e così
"spegne". Io sto guardando gli stessi pezzi d'acciaio e
vedo idee. John pensa che io stia lavorando su pezzi
del motore, invece sto lavorando su dei concetti. Ieri
parlavo proprio di questi concetti, quando dicevo che una
motocicletta può essere divisa in base ai suoi componenti e in
base alle sue funzioni. Mentre lo dicevo, ho creato tutto d'un tratto
un insieme di scatole disposte nel modo seguente:
motocicletta
componenti funzioni
E
mentre dicevo che i componenti possono essere suddivisi in apparato
propulsore e apparato di marcia, ecco apparire all'improvviso altre
scatolette:
motocicletta
componenti funzioni apparato propulsore apparato di marcia
È
evidente che ad ogni nuova divisione aggiungevo altre scatole, finché
mi trovai ad averne un'enorme piramide. E finalmente capirete che
mentre dividevo la moto in pezzi sempre più piccoli, costruivo
anche una struttura. Questa
struttura di concetti si chiama formalmente gerarchia, e fin dai
tempi più antichi è stata una delle strutture
fondamentali di tutto il pensiero occidentale. Reami, imperi, chiese,
eserciti sono sempre stati strutturati gerarchicamente. E così
la grandi imprese moderne. Le schede del materiale da consultazione,
i montaggi meccanici, i programmi dei calcolatori, in breve tutto il
sapere scientifico e tecnico è organizzato secondo queste
gerarchie – al punto che in alcuni campi, quali la biologia, la
gerarchia tipo-ordine-classe-genere-specie è quasi un'icona. Ci sono
molti tipi di strutture prodotti da altre determinanti, quali le
"cause", che producono lunghe strutture a catena della
forma: "A causa di B che causa C che causa D" e così
via. Una descrizione funzionale della motocicletta si vale di questa
struttura. I vari "esiste", "è uguale a",
"implica" producono altre strutture ancora, che sono
normalmente interrelate secondo modelli così complessi che
nessuno, nel corso della propria vita, può capirne più
di una piccola parte. Il nome generico di queste strutture
interrelate, il genere nel quale la gerarchia – da contenente a
contenuto – e la struttura causale sono soltanto specie, è
"sistema". La motocicletta è un
sistema. Un sistema reale. Parlare
di certe istituzioni pubbliche e sociali come del "sistema"
è corretto, perché esse sono fondate sugli stessi
rapporti concettuali e strutturali di una motocicletta. Sono sorrette
da rapporti strutturali persino quando hanno perso ogni altro
significato e ogni altro scopo. La
gente va in fabbrica e dalle otto alle cinque la struttura esige che
sia così. Non c'è nessun "cattivo" che li
vuol costringere a vivere delle vite senza senso, è solo che
la struttura, il sistema, lo esige, nessuno è disposto ad
assumersi l'arduo compito di cambiare la struttura solo perché
non ha senso. Ma
smantellare una fabbrica, o ribellarsi contro un governo, o
rifiutarsi di riparare una motocicletta solo perché essa è
un sistema, è attaccare gli effetti invece delle cause. Il
sistema vero è la nostra costruzione del pensiero sistematico,
la razionalità stessa, e se si smantella una fabbrica
lasciando in piedi il sistema di pensiero che l'ha prodotta, questo
non farà che dare origine a un'altra fabbrica. La
motocicletta non è altro che questo: un sistema di concetti
realizzato in acciaio. In essa non c'è pezzo, non c'è
forma che non sia uscita dalla mente di qualcuno. Anche la terza
punteria è a posto. Ancora una da controllare. E speriamo che
quella...Ho notato che la gente che non ha mai lavorato l'acciaio
fa fatica a capire che la motocicletta è essenzialmente un
fenomeno mentale. Molti associano il metallo a forme preesistenti:
tubi, verghe, chiavi, attrezzi, pezzi di ricambio, tutte quante
determinate e immutabili, e lo concepiscono come qualcosa di
essenzialmente fisico. Ma per chi lavori al tornio, o in fonderia, o
in fucina, o alla saldatura, l'"acciaio" non ha
nessunissima forma. La forma gliela si dà, e tutte le
forme escono dalla mente di qualcuno; è importante rendersene
conto. Quanto all'acciaio, accidenti, persino quello è uscito
dalla mente di qualcuno. In natura l'acciaio esiste al massimo in
potenza. Ma cosa vuol dire "in potenza"? Anche questo è
nella mente di qualcuno...Fantasmi.
Quando
si comincia a salire
La
quarta punteria ha troppo gioco, come avevo sperato. La registro,
controllo la messa in fase e vedo che è a posto: le puntine
non sono bruciate, per cui le lascio stare, avvito i coperchi delle
valvole, rimetto le candele e metto in moto. Il
rumore di punterie è scomparso, ma questo non vuol dire,
finché l'olio è ancora freddo. Lascio girare il motore
a vuoto mentre rimetto a posto gli attrezzi, poi monto in sella e
vado da un meccanico di cui mi ha parlato ieri sera un motociclista;
lì forse hanno una falsamaglia e dei rivestimenti di gomma per
i pedalini. Chris deve avere i piedi nervosi, continua a consumarli.
Faccio un paio di isolati e non sento nessun battito di punterie. Il
motore comincia a fare un bel rumore, penso che sia a posto. Comunque
non tirerò conclusioni azzardate finché non avremo
fatto almeno venti chilometri. Intanto splende il sole, l'aria è
fresca, la mia mente è lucida... siamo quasi arrivati alle
montagne, è una bella giornata per essere al mondo. È
l'aria più rarefatta che fa questo effetto. Ci si sente sempre
così quando si comincia a salire. L'altitudine!
Ecco perché la miscela è troppo ricca! Eh, sì,
dev'essere proprio questo. Ora siamo a settecento metri d'altezza, e
sarebbe meglio che mettessi dei getti standard. Ci vogliono solo
pochi minuti per cambiarli. Dovrei anche registrare un po' il minimo.
C'è da salire ancora parecchio. Sotto
dei grossi alberi trovo il Bill's Cycle Shop, ma di Bill neanche
l'ombra. Un passante dice che "forse è andato a pescare
da qualche parte", lasciando l'officina spalancata. Siamo
proprio nel West. A Chicago o a New York nessuno lascerebbe aperto un
posto così. Entrando
vedo che Bill è un meccanico che appartiene alla scuola della
"memoria fotografica". È
tutto sparpagliato in giro. Chiavi inglesi, cacciaviti, pezzi di
ricambio vecchi, motociclette vecchie, pezzi di ricambio nuovi,
motociclette nuove, cataloghi, camere d'aria, il tutto ammonticchiato
in una confusione tale che sotto non si vedono neanche i banconi. Io
non riuscirei a lavorare in queste condizioni, ma solo perché
non sono della sua scuola. In questa baraonda, probabilmente Bill non
ha che da girarsi e allungare una mano per trovare l'attrezzo che gli
occorre. Ho già conosciuto meccanici di questo tipo. C'è
da diventar matti a guardarli, ma fanno il lavoro altrettanto bene e
a volte più in fretta degli altri. Però se gli sposti
uno strumento di dieci centimetri ci mettono dei giorni a trovarlo. Bill
arriva sorridendo tra sé. Certo che ha i getti per il mio
motore, e sa benissimo dove sono. Però dovrò aspettare
un momento. Ha un affare da concludere. Esco con lui sul retro dove
c'è una rimessa e vedo che sta vendendo i pezzi di un'intera
Harley usata, salvo il telaio che il cliente ha già. Il tutto
per 125 dollari. Niente male, come prezzo. "Il
suo cliente ne avrà imparate di cose sulle motociclette,
quando avrà rimesso insieme quel po' po' di roba!". "È
il modo migliore per imparare" mi fa Bill ridendo. Ha i
getti e le gomme per i pedalini, ma niente falsamaglia. Faccio
montare le gomme e i getti, sistemo il minimo e torno in albergo.
Robert
Pirsig
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