Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Vittima di contraffazione
Per lo spettatore incallito e fiducioso
sta sempre più diventando problematico sfuggire a quelli che
io continuo a chiamare "provini" e che altri li chiamino
come pare loro. Intanto c'è un aspetto di quantità: i
provini non sono più correlati strettamente al luogo sacro
della sala cinematografica, ma scorrazzano più o meno
liberamente di canale televisivo in canale televisivo, ormai a tutte
le ore. Per la soluzione finale della nota
guerra del cinema contro la tv, il cinema ha scelto di "erodere
il sistema dall'interno", sborsando quattrini alla tv per farsi
pubblicità. Tattica che neppure si può più dire
suicida, dal momento che di giorno in giorno sempre meno si riesce a
distinguere fra padroni del cinema e padroni della tv. Comunque,
soprattutto, c'è un problema di qualità. Sia che tu
stia davanti alla tv, sia che tu stia al cinema, vieni investito da
provini catastroficamente congegnati . Sembrerebbero rispondenti allo
scopo di evitarti qualsiasi tipo di sorprese; praticamente ti dicono
tutto, come inizia, cosa succede e come va a finire. Alla fine, del
film che ti vorrebbero invogliare ad andare a vedere, sai già
tutto: anche se ti piace o no. Autolesionismo? Il discorso si farebbe
lungo ma non sta qui, a mio avviso, la spiegazione. Non è solo al cinema che le cose
vanno così: non c'è giornale di regime che non ti
racconti la trama dei film che "vedrai", o la trama dei
libri che "leggerai" - perfino di quelli che non sono
ancora stati scritti -, o le parole delle canzoni che "ascolterai",
o via anticipando, secondo il principio che alla società tutta
è bene somministrare analgesici, risparmiandole ogni incontro
con la creatività. La logica è la stessa dei tanti
canali distributivi di droghe: ridurre ebeti, garantiti spettatori
passivi di una storia "già nota".
Poi - a fianco dei provini che
scemamente ti snocciolano tutto - ci sono i provini astutamente
contraffatti. Toccano a film non baciati in fronte dal quattrino, a
film con attori sconosciuti, a film diretti da semidebuttanti o
stranieri di terre ai confini del grande impero cinematografico. Sono
provini di un film già massacrato in partenza dal
distributore, che non ci crede, che non sa neppure bene perché
l'ha comprato, che pensa "inadatto al mercato italiano", a
seconda della protervia che lo anima e dello sbrigativo schematismo
in cui relega quella "gente" che dovrebbe poi trasformarsi
in spettatori. Nella gretta e meschina logica dei distributori, viene
dunque segnato il destino di quei film ritenuti "troppo
intelligenti per il grande pubblico".
È
il caso - per fare un esempio recente e umiliante - di Navigator
di Vincent Ward, film cui è stato affibbiato lo
stereotipizzante sottotitolo di Un'odissea nel tempo, e per
il quale è stato confezionato un provino fra i più
deliranti a mia memoria. Tra provino e sottotitolo, infatti, chiunque
penserebbe di trovarsi di fronte all'ennesimo film sulla macchina del
tempo o su qualche occulta fatalità che favorisce un gruppo di
pastori del 1300 fino a scodellarli in mezzo agli anni ottanta, onde
scongiurare, tramite il solito "compito difficile", il
corso degli eventi loro (nella fattispecie, la peste).
Uno dunque penserebbe di cavarsela con
un po' di "fantastico" e qualche cosiddetto "effetto
speciale" ormai stravisto (e diventato "effetto normale"):
mai e poi mai, dal provino, darebbe una lira a questo Navigator.
Che, invece, è un ottimo film, una prova d'autore
stilisticamente rimarchevole, nonché testo calibrato,
ideologicamente solido e ben lontano dagli ottimismi di quel genere
cui, contraffacendolo, avrebbero voluto assimilarlo.
Fra splendidi esercizi figurativi -
giocati spesso in un bianco ed in un nero analizzati in ricche
gradazioni - si viene a sapere che non c'è alcun viaggio nel
tempo, ma c'è semplicemente e realisticamente il sogno di
Griffin, un ragazzino che "sente" qualcosina più del
normale sentire nel momento in cui suo fratello torna alla comunità
con l'atroce annuncio della peste. Ci sarà il terrore, la
rassegnazione, la preghiera e la missione salvifica leggendaria, ma
ci sarà soprattutto il sogno di Griffin che libererà
tutti. Tutti meno uno, che, nel sogno, rimane invisibile. E nel
tripudio festoso della conclusione, quando nella rappresentazione
popolare la peste è finalmente un nemico sconfitto, Griffin
capisce che il contaminato è proprio l'osservatore, perché
non c'è scampo in nessun sogno e perché il contagio
gliel'ha trasmesso proprio suo fratello.
Grazie alla pubblicità, per poco
non me lo perdevo; e grazie alla pubblicità, tanti se lo
saranno perso. Inseguitelo: quando si farà una antologia delle
metafore cinematografiche dell'Aids e quando si vorranno vedere le
cose in tutto il loro tragico orrore, andrà ricordato.
|