Rivista Anarchica Online
L'Amazzonia dietro l'angolo
di Maria Teresa Romiti
Si fa un gran parlare - ed a
ragione - della drammatica questione della foresta amazzonica e di
altre grandi questioni ecologiche. Ma ricordiamoci che l'Amazzonia
comincia da qui, dal primo mondo dove si mangiano hamburger, si vuole
il golfino di lana pregiata, si cerca il parquet. Ci sono mille piccole battaglie
ecologiche da combattere – dietro l'angolo.
Un territorio grande più di
venti volte l'Italia, la presenza di quasi metà delle specie
viventi, un polmone verde che produce ossigeno per questo povero
mondo malato: questa è l'Amazzonia.
Per decenni questa e le altre foreste
tropicali sono state distrutte sistematicamente nella quasi totale
indifferenza. Poche le voci che si levavano in difesa della grande
foresta: alcuni missionari un po' scomodi che protestavano contro il
genocidio degli indios, qualche antropologo che univa la propria
voce, ecologisti, non molti per la verità, che facevano le
cassandre profetando disastri per tutti. Oltre solo il silenzio. Ogni
tanto il servizio sugli ultimi indios piangeva la distruzione di un
habitat quasi incontaminato, uno degli ultimi angoli del mondo, ma
erano servizi da turismo pieni di esotismo e di buona fotografia. Chi
si opponeva con tutte le proprie forze, chi urlava la propria rabbia,
gli Indios, urlava anche la propria impotenza perché non
aveva, e non ha, voce in capitolo nello scacchiere internazionale.
Perché non vale una pagina di giornale o un minuto di
televisione. Poi, di colpo, l'ennesima riunione delle tribù
amazzoniche ha focalizzato l'attenzione dei media.
La foresta è diventata
l'argomento del giorno, tutti si sono occupati dei vari aspetti del
problema, hanno cercato soluzioni. Per giorni e giorni le notizie
principali sono state dedicate all'Amazzonia. Giornali seri e meno
seri, trasmissione giornalistiche e di varietà: il problema
foresta era al centro del mondo.
E si sono moltiplicate le iniziative, i
concerti delle rockstar come le petizioni, le pressioni sulla Banca
Mondiale come le cartoline. È
come se la terra si fosse fermata, attonita, spaventata,
all'improvviso conscia del pericolo.
Poi tutto torna come prima
È vero che proteste e servizi
hanno spesso accuratamente evitato di dare le generalità delle
ditte implicate nei progetti amazzonici, specie quando i gruppi
interessati erano del proprio paese. Del resto non c'è bisogno
di una grande fantasia per immaginare che i grossi imperi finanziari
non si sono certo lasciati sfuggire l'occasione di un buon
sfruttamento. Solo in Italia, che è il quarto paese in ordine
di grandezza nello sfruttamento amazzonico, si contano i nomi di
Ferruzzi, nonostante Gardini, l'amministratore, si proclami verde
(forse è perché gli piace il colore), Fiat, Pirelli,
Benetton, ecc. ecc.. Il Gotha dell'industria italiana è ben
presente. Quell'angolo di mondo, oltre ad essere il polmone di questo
povero pianeta in via di soffocamento, è anche un serbatoio di
infinite ricchezze, energetiche, minerali, vegetali che fanno gola a
molti, troppi.
Non è neppure la prima volta che
succede. Le foreste tropicali di cui stiamo piangendo la distruzione
selvaggia sono solo gli ultimi baluardi che sono rimasti, un'infinità
di boschi e selve è stata distrutta negli ultimi secoli, in
Europa come nell'America del Nord. Non a caso il governo brasiliano
ha preso la palla al balzo per far notare che vorremo proibire a loro
ciò che ci siamo permessi prima. La giustificazione regge poco
evidentemente (anche perché l'Amazzonia non appartiene al
governo brasiliano, se mai proprio a quegli indigeni che rispettano
la foresta e sono i primi a perire quando viene distrutta), ma chi si
è trovato all'improvviso sulla scena mondiale come imputato di
strage ecologica, accusato proprio da quei paesi che fino a ieri
partecipavano in prima persona alla strage, è chiaro che non
capisce più nulla.
Un piccolo tarlo
È interessante notare che, per
quanto riguarda l'inquinamento, lo schema sembra ripetersi spesso.
Quello che, fino al giorno prima, era considerato scontato e non
faceva notizia, all'improvviso balza all'onore delle cronache e
diventa caso, anche mondiale. Tutti se ne occupano, tutti cercano
soluzioni e spesso dopo un po' di tempo, tutto torna come prima.
È
stato così per il buco dell'ozono, o meglio per i gas
responsabili, di cui era nota la pericolosità. È
stato lo stesso per i pesticidi che mangiamo ogni giorno, per il
fosforo nei detersivi. Si potrebbe parlare quasi di schizofrenia. La
stessa notizia rimane sottotono o non interessa nessuno, poi scoppia
e tutti sembrano preoccuparsi. Potrebbe sembrare positivo, e in parte
lo è, quasi che, finalmente, il problema della salvezza del
pianeta sia diventato un problema di tutti. Forse cominciamo a
sentire che bisogna fare qualcosa. E ben vengano le cartoline per
l'Amazzonia, i concerti, le informazioni, le proteste perché
l'Amazzonia ci riguarda, i pesticidi ci riguardano, i fosfati ci
interessano.
Ma un dubbio s'insinua nella mente, un
piccolo tarlo: perché mai le notizie scoppiano così
all'improvviso, perché per anni nessuno ne parla.
Forse si potrebbe spiegare con un
esempio proprio di questi giorni. Mentre l'Amazzonia e le mele
tenevano le prime pagine dei giornali una notizia è apparsa
sulle pagine interne. A Milano l'Istituto Sieroterapico ha, in piena
città, nel quartiere Ticinese, un terreno dove dovrebbe
sorgere un moderno centro residenziale, un vecchio deposito. Vecchio
deposito non già di copertoni o di carta, ma di rifiuti
velenosi, proprio come quelle scorie che nei mesi scorsi hanno girato
disperate per mari e per terre perché nessuno le vuole nel
proprio cortile. Ed essendo il deposito vecchio di sette anni, i
fusti sono vecchi e, in parte, in cattivo stato. C'è una
piccola, neanche tanto piccola, bomba chimica e batteriologica in uno
dei quartieri più vivi e popolosi di Milano e nessuno ne
sapeva nulla almeno fino a che il Comitato del Ticinese non ha
filmato le "bellezze nascoste" del quartiere. Ecco il mio tarlo è tutto qui.
Non vorrei che le grandi questioni, le distruzioni incredibili ci
facessero dimenticare problemi tremendamente vicini. Ho come
l'impressione che la cartolina spedita sia comoda, un modo per dirsi:
"la mia parte l'ho fatta", per scaricarsi la coscienza. E
invece no. La cartolina si può, si deve mandare, ma insieme
allo sguardo alla propria vita, alla propria casa.
Ma l'Amazzonia comincia da qui
Quanti di noi continuano a comprare
detersivi con il fosforo (quelle belle scatole lucide che fanno tanto
bianco il bucato, che portano scritto ben grande: "Niente
fosfati" e ben in piccolo: "Attenzione il prodotto può
inquinare i fiumi e i mari. Usare le dosi consigliate")? Quanti
di noi usano l'automobile solo in caso di vera necessità? O
sprecano l'elettricità lasciando aperta la porta del
frigorifero o la luce accesa nella stanza vuota? Quante volte ci
chiediamo se l'oggetto che compriamo comporta lavorazioni tossiche?
Quante volte protestiamo per il camino
dei vicini che lascia fumo nero e dà fastidio? O apriamo la
finestra invece di chiudere i caloriferi? Quante volte lasciamo
aperto il rubinetto dell'acqua?
E quante volte abbiamo protestato per
la fabbrica che impesta l'aria, per i bidoni lasciati a marcire nei
cortili, per la carta chimica usata negli uffici, per gli alberi
tagliati per le piste da sci, per i fiumi cementificati?
E abbiamo mai pensato di rinunciare al
supermercato per il negozio o la cooperativa che garantiscono cibi
sani, detersivi non inquinanti? Abbiamo mai pensato di fare una
cooperativa di consumo con vicini ed amici?
Ecco l'Amazzonia comincia da qui,
comincia dal primo mondo dove si mangiano hamburger, si vuole il
golfino di lana pregiata, si cerca il parquet. Si spreca a tutto
spiano e di tutto. E non si protesta, non ci si oppone mai. Non la
protesta del momento, quella che scoppia e finisce come un fuoco di
paglia, ma quella quotidiana, noiosa, continua. Quella che magari
nemmeno finisce sulle pagine dei giornali. Per evitare che gli stessi
bidoni vengano solo spostati di due chilometri o si riesca a salvare
la foresta amazzonica per perdere quella indonesiana. Perché
allora la cartolina a che è servita?
|