Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 173
maggio 1990


Rivista Anarchica Online

Nelle istituzioni o nella società
di Andrea Papi

Nel corso della recente campagna elettorale, i partiti hanno fatto a gara per presentarsi vivaci: non però in termini di progettualità ma attraverso sterili polemiche e fendenti verbali incomprensibili alla gente. L'esperienza delle liste verdi non sembra avere cambiato di molto le cose

Quando queste mie parole scritte verranno lette, il rito votaiolo del 6 e 7 maggio sarà già stato consumato dalla massima parte degli aventi diritto al voto. Allora in tutte le regioni, le province e i comuni d'Italia sarà in atto la solita rissa tra i partiti e, all'interno degli stessi partiti, tra gli eletti, al fine di accaparrarsi i posti di potere nelle varie giunte locali, come richiesto dalla consuetudine sancita e dal rituale ricorrente. Uno spettacolo fin troppo usuale cui siamo fin troppo avvezzi, il cui risultato, non ci è difficile fare i sicuri profeti, sarà quello di ristabilire la normalità dominante, in nome del cambiamento o addirittura dell'alternativa. Un'ambiguità a cui il conclamato "popolo" elettore sembra completamente assuefatto; anzi, sembra richiederlo con forza, forse per aggrapparsi immaginativamente a formule e modalità politiche che danno sicurezza, perché garantiscono la continuità nella quale è culturalmente convinto di trovare solidità e forza collettiva.
Siccome sto parlando di qualcosa che si deve ancora verificare, al momento la mia è chiaramente una supposizione arbitraria. Ma la storia dal dopoguerra ad oggi, da quando la costituzione sancì di eleggere i rappresentanti dei partiti alle due camere del parlamento e ai consigli delle amministrazioni locali, con cruda evidenza rafforza la convinzione che questa prassi consolidata, di accaparramento selvaggio delle poltrone del potere burocratico da parte della partitocrazia, sia talmente salda che durerà per qualche altro decennio, o forse più. E non è certamente uno spettacolo edificante e rassicurante, soprattutto perché dà l'idea di perpetuare in modo asfissiante l'ingiustizia sociale e i vari livelli di sfruttamento e oppressione che sempre di più caratterizzano la fase contemporanea, che qualcuno eufemisticamente ama definire postmoderna.
Del resto, in modo fra l'altro amplificato, anche in questa fase ci sono tutti i segni di questa terribile continuità. Proprio nella formazione delle liste, le forze politiche che si presentano mostrano all'opinione pubblica, fruitrice passiva, scontri, polemiche e ingiurie di vario tipo tra i leader in lizza; tra i partiti del pentapartito, che detiene il governo nazionale, come all'interno dei singoli partiti, di governo e non. Polemiche spesso confuse e difficilmente decifrabili per chi non è addentro ai corridoi dei vari palazzi, condotte con fendenti verbali e decise dichiarazioni alla stampa. Chi come me è sufficientemente distaccato e si trova al di fuori di una simile arena, percepisce la morfologia della rete di relazioni tra le forze politiche contendenti come una specie di orgia satanica, il cui scopo fondamentale è l'orgasmo attraverso la soppressione di chi è potenzialmente concorrente.

Neppure i verdi...
Verrebbe da pensare che i politici di casa nostra siano forniti di un particolare senso dell'ironia, per cui professionalmente mettono in scena questa querelle allo scopo di smascherare, per mezzo della commedia rappresentata, quale effettivo letamaio si trovi nei palazzi dove si esercita il potere. Invece no! Fanno proprio sul serio. Addirittura sono convinti di esercitare i loro compiti istituzionali con serietà, competenza e devozione, almeno stando a quello che ci raccontano. Così la commedia si tinge di un tragico rosa al limite del ridicolo. Sarebbe oltremodo divertente se non fosse tra le cause principali generatrici degli immani disastri che quotidianamente si abbattono sul capo di milioni di cittadini non direttamente responsabili. Questi a loro volta continuano, nonostante tutto, imperdonabilmente a dar loro il proprio voto, legittimando questo stato di cose.
Neppure i verdi, ultimi arrivati, sono esclusi da questo indegno gioco. Sin da quando si sono affacciati alla periferia del palazzo, decisamente convinti in cuor loro di arrivare prima o poi a farne parte, si sono mostrati di una rissosità interna quasi sconcertante, dando uno spettacolo di sé veramente poco eclatante. Sorretti più che altro dalla buona stella di un diffuso bisogno collettivo di un nuovo modo di far politica e, per molti loro fans, di dover salvare il mondo dal letamaio in cui l'umanità lo sta riducendo, una volta affacciatisi alle soglie dell'agognato palazzo, dove tutto si decide e ben poco si fa, con un'immediatezza da record hanno da subito mostrato come ci tenessero a quelle poltrone, indipendentemente dall'uso buono o cattivo che se ne potesse fare. Proprio non ce l'hanno fatta. Partiti forse con le migliori intenzioni, ingenuamente convinti di sbaraccare il mondo dei volponi che da sempre, con ben altra esperienza, hanno le mani in pasta alle pubbliche cose, appena hanno avuto l'illusione di esserci veramente dentro, in quattro e quattr'otto non hanno avuto alcuna paura di sporcarsi le mani e, di buona volontà, con un ciacolare quasi assordante, hanno cominciato a litigare fra loro e con gli altri per ottenere assessorati e incarichi istituzionali dimostrando di non dispiacersi affatto della succulenta torta. Col risultato quasi scontato che , almeno allo stato attuale delle cose, il loro apporto è esattamente come quello di tutti gli altri frequentatori del palazzo, nullo dal punto di vista dell'alternativa dichiarata. Né più né meno fanno parte del minestrone indistinto di cui si compone la partitocrazia.

Vecchia illusione
Chiedo scusa se ho speso forse troppe parole, col rischio di tediare i lettori, attorno al fenomeno dei verdi nelle istituzioni. Ma sono convinto che essi, anche se individualmente sono molto più onesti e in buona fede dei pescecani che da sempre ci comandano, in un certo senso hanno un po' più colpa degli altri. Simbolicamente rappresentano infatti l'ultima speranza di un effettivo cambiamento della società.
Si sono approcciati alle istituzioni dichiarando che avrebbero portato un vento forte di novità, capace di sovvertire la logica di dominio oppressivo e guerrafondaio su cui si sorregge il vigente stato di cose. Questa vecchia illusione, perpetrata a suo tempo circa un secolo fa dai socialisti, ci ha messo pochi anni a mostrare il fiatone. Ed ora i verdi istituzionali, non solo non danno l'idea di esser capaci di innovazione all'interno dei lugubri palazzi del potere, bensì cominciano a dare l'idea di esserne pienamente parte, contribuendo assieme a tutti gli altri, che almeno lo dichiarano apertamente, a conservarne l'essenza, lo stile, la condotta e, ciò che per me è più grave, l'etica.
Il fatto è che non poteva esser diversamente. La macchina burocratica partitica, su cui si fondano le democrazie occidentali, sotto un certo punto di vista è perfetta ed efficiente per i propri fini. Entrare a farne parte, non vuol solo dire, con furbesca illusione, accettarne formalmente le regole del gioco, ma introiettare il senso che la permea e su cui si fonda, cioè la capacità di perpetuare il dominio politico attraverso l'estorsione del consenso collettivo, accettando di partecipare a prendere le decisioni per tutti là dove, protetti dalla forza, le prendono in pochi.
Dato lo stato delle cose, sempre più irreversibile finché è incentrato nel palazzo, i verdi non possono che contribuire al mantenimento delle strutture di dominio. Per essere nelle istituzioni si sono allontanati dalla società che li aveva partoriti. Sia un insegnamento che valga per tutti. Solo rimanendo all'interno della società, senza estraniarcene entrando in strutture che la sovrastano, ci sono le possibilità di rinnovare la società stessa, superando e togliendo legittimità agli apparati che ne sono padroni.