Rivista Anarchica Online
Nelle istituzioni o nella società
di Andrea Papi
Nel corso della recente campagna
elettorale, i partiti hanno fatto a gara per presentarsi vivaci: non
però in termini di progettualità ma attraverso sterili
polemiche e fendenti verbali incomprensibili alla gente. L'esperienza
delle liste verdi non sembra avere cambiato di molto le cose
Quando queste mie parole scritte
verranno lette, il rito votaiolo del 6 e 7 maggio sarà già
stato consumato dalla massima parte degli aventi diritto al voto.
Allora in tutte le regioni, le province e i comuni d'Italia sarà
in atto la solita rissa tra i partiti e, all'interno degli stessi
partiti, tra gli eletti, al fine di accaparrarsi i posti di potere
nelle varie giunte locali, come richiesto dalla consuetudine sancita
e dal rituale ricorrente. Uno spettacolo fin troppo usuale cui siamo
fin troppo avvezzi, il cui risultato, non ci è difficile fare
i sicuri profeti, sarà quello di ristabilire la normalità
dominante, in nome del cambiamento o addirittura dell'alternativa.
Un'ambiguità a cui il conclamato "popolo" elettore
sembra completamente assuefatto; anzi, sembra richiederlo con forza,
forse per aggrapparsi immaginativamente a formule e modalità
politiche che danno sicurezza, perché garantiscono la
continuità nella quale è culturalmente convinto di
trovare solidità e forza collettiva.
Siccome sto parlando di qualcosa che si
deve ancora verificare, al momento la mia è chiaramente una
supposizione arbitraria. Ma la storia dal dopoguerra ad oggi, da
quando la costituzione sancì di eleggere i rappresentanti dei
partiti alle due camere del parlamento e ai consigli delle
amministrazioni locali, con cruda evidenza rafforza la convinzione
che questa prassi consolidata, di accaparramento selvaggio delle
poltrone del potere burocratico da parte della partitocrazia, sia
talmente salda che durerà per qualche altro decennio, o forse
più. E non è certamente uno spettacolo edificante e
rassicurante, soprattutto perché dà l'idea di
perpetuare in modo asfissiante l'ingiustizia sociale e i vari livelli
di sfruttamento e oppressione che sempre di più caratterizzano
la fase contemporanea, che qualcuno eufemisticamente ama definire
postmoderna.
Del resto, in modo fra l'altro
amplificato, anche in questa fase ci sono tutti i segni di questa
terribile continuità. Proprio nella formazione delle liste, le
forze politiche che si presentano mostrano all'opinione pubblica,
fruitrice passiva, scontri, polemiche e ingiurie di vario tipo tra i
leader in lizza; tra i partiti del pentapartito, che detiene il
governo nazionale, come all'interno dei singoli partiti, di governo e
non. Polemiche spesso confuse e difficilmente decifrabili per chi non
è addentro ai corridoi dei vari palazzi, condotte con fendenti
verbali e decise dichiarazioni alla stampa. Chi come me è
sufficientemente distaccato e si trova al di fuori di una simile
arena, percepisce la morfologia della rete di relazioni tra le forze
politiche contendenti come una specie di orgia satanica, il cui scopo
fondamentale è l'orgasmo attraverso la soppressione di chi è
potenzialmente concorrente.
Neppure i verdi...
Verrebbe da pensare che i politici di
casa nostra siano forniti di un particolare senso dell'ironia, per
cui professionalmente mettono in scena questa querelle allo scopo di
smascherare, per mezzo della commedia rappresentata, quale effettivo
letamaio si trovi nei palazzi dove si esercita il potere. Invece no!
Fanno proprio sul serio. Addirittura sono convinti di esercitare i
loro compiti istituzionali con serietà, competenza e
devozione, almeno stando a quello che ci raccontano. Così la
commedia si tinge di un tragico rosa al limite del ridicolo. Sarebbe
oltremodo divertente se non fosse tra le cause principali
generatrici degli immani disastri che quotidianamente si abbattono
sul capo di milioni di cittadini non direttamente responsabili.
Questi a loro volta continuano, nonostante tutto, imperdonabilmente a
dar loro il proprio voto, legittimando questo stato di cose.
Neppure i verdi, ultimi arrivati, sono
esclusi da questo indegno gioco. Sin da quando si sono affacciati
alla periferia del palazzo, decisamente convinti in cuor loro di
arrivare prima o poi a farne parte, si sono mostrati di una rissosità
interna quasi sconcertante, dando uno spettacolo di sé
veramente poco eclatante. Sorretti più che altro dalla buona
stella di un diffuso bisogno collettivo di un nuovo modo di far
politica e, per molti loro fans, di dover salvare il mondo dal
letamaio in cui l'umanità lo sta riducendo, una volta
affacciatisi alle soglie dell'agognato palazzo, dove tutto si decide
e ben poco si fa, con un'immediatezza da record hanno da subito
mostrato come ci tenessero a quelle poltrone, indipendentemente
dall'uso buono o cattivo che se ne potesse fare. Proprio non ce
l'hanno fatta. Partiti forse con le migliori intenzioni, ingenuamente
convinti di sbaraccare il mondo dei volponi che da sempre, con ben
altra esperienza, hanno le mani in pasta alle pubbliche cose, appena
hanno avuto l'illusione di esserci veramente dentro, in quattro e
quattr'otto non hanno avuto alcuna paura di sporcarsi le mani e, di
buona volontà, con un ciacolare quasi assordante, hanno
cominciato a litigare fra loro e con gli altri per ottenere
assessorati e incarichi istituzionali dimostrando di non dispiacersi
affatto della succulenta torta. Col risultato quasi scontato che ,
almeno allo stato attuale delle cose, il loro apporto è
esattamente come quello di tutti gli altri frequentatori del palazzo,
nullo dal punto di vista dell'alternativa dichiarata. Né più
né meno fanno parte del minestrone indistinto di cui si
compone la partitocrazia.
Vecchia illusione
Chiedo scusa se ho speso forse troppe
parole, col rischio di tediare i lettori, attorno al fenomeno dei
verdi nelle istituzioni. Ma sono convinto che essi, anche se
individualmente sono molto più onesti e in buona fede dei
pescecani che da sempre ci comandano, in un certo senso hanno un po'
più colpa degli altri. Simbolicamente rappresentano infatti
l'ultima speranza di un effettivo cambiamento della società.
Si sono approcciati alle istituzioni
dichiarando che avrebbero portato un vento forte di novità,
capace di sovvertire la logica di dominio oppressivo e guerrafondaio
su cui si sorregge il vigente stato di cose. Questa vecchia
illusione, perpetrata a suo tempo circa un secolo fa dai socialisti,
ci ha messo pochi anni a mostrare il fiatone. Ed ora i verdi
istituzionali, non solo non danno l'idea di esser capaci di
innovazione all'interno dei lugubri palazzi del potere, bensì
cominciano a dare l'idea di esserne pienamente parte, contribuendo
assieme a tutti gli altri, che almeno lo dichiarano apertamente, a
conservarne l'essenza, lo stile, la condotta e, ciò che per me
è più grave, l'etica.
Il fatto è che non poteva esser
diversamente. La macchina burocratica partitica, su cui si fondano le
democrazie occidentali, sotto un certo punto di vista è
perfetta ed efficiente per i propri fini. Entrare a farne parte, non
vuol solo dire, con furbesca illusione, accettarne formalmente le
regole del gioco, ma introiettare il senso che la permea e su cui si
fonda, cioè la capacità di perpetuare il dominio
politico attraverso l'estorsione del consenso collettivo, accettando
di partecipare a prendere le decisioni per tutti là dove,
protetti dalla forza, le prendono in pochi.
Dato lo stato delle cose, sempre più
irreversibile finché è incentrato nel palazzo, i verdi
non possono che contribuire al mantenimento delle strutture di
dominio. Per essere nelle istituzioni si sono allontanati dalla
società che li aveva partoriti. Sia un insegnamento che valga
per tutti. Solo rimanendo all'interno della società, senza
estraniarcene entrando in strutture che la sovrastano, ci sono le
possibilità di rinnovare la società stessa, superando e
togliendo legittimità agli apparati che ne sono padroni.
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