Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
L'investimento
Per puro esempio: ancora nelle fasi
d'impostazione di Milou a maggio - L'ultimo film di Malle,
che, sia detto di passaggio, alla gradevole intelligenza della satira
concede qualche battuta a vuoto per eccesso d'enfasi, ma che,
tuttavia, rimane la più ghiotta occasione per rivisitare gli
umori della borghesia francese al tempo dell'indimenticabile
"maggio"-, proprio nelle fasi d'impostazione, dicevo,
veniamo a sapere che la vicenda si svolge presso una casa di campagna
dotata, convenientemente, di vigneti. L'elemento "vigneti"
giustificherà, più tardi - più "avanti",
nell'evoluzione del film -, la scoperta di una "cantina"
idonea al ricovero "amoroso" di due protagonisti.
Vi faccio un altro esempio: anche nella
fase iniziale di Sorvegliato speciale - l'ennesima variazione
nel genere "carcerario" (ahimè, cosa non riserva il
sistema dei media: che un genere di film sia detto "carcerario"!),
a firma di tal John Flynn, con Stallone negli scomodissimi panni del
carcerato buono e Sutherland in quelli più agiati del feroce
Direttore -, in una fase che potremmo definire di "ambientamento"
alla narrazione, viene mostrata, a scopo diciamo didattico, da
Direttore a Carcerato, una vetusta sedia elettrica quasi rimessa a
nuovo per l'intrapresa del primo a monito del secondo. Orbene, di tal
elemento narrativo non si farà più cenno nel corso del
film, fino al momento conclusivo in cui all'orrido marchingegno verrà
affidato l'arduo compito di sciogliere tutti gli intricati nodi della
narrazione, perché questa si concluda nella soddisfazione di
chi gioisce al trionfo del Giusto ed all'iniqua sorte dell'Ingiusto.
Questi elementi narrativi - il
"vigneto" e la "sedia elettrica"- potremmo
considerarli una sorta di "investimento": come
l'interramento di un seme, nel flusso della narrazione, un seme che,
prima o poi, germoglierà; come un benefico sanatore che, prima
o poi, verrà ad annullare la differenza che si è creata
nel lineare paradigma della narrazione più conveniente
possibile. Un investimento per il futuro - un futuro che più
avrà senso, più sarà coerente con quanto lo
precede.
Ci sono narrazioni che non riescono a
farne a meno. C'è chi fa un investimento sul carattere di un
personaggio, o su di una sua particolare attitudine (o disattitudine,
come le "vertigini" di James Stewart in La donna che
visse due volte), o su un meccanismo dotato di un certo grado di
autonomia, o sui fenomeni naturali, così plasmabili alle varie
esigenze del narrare grazie alla loro completa indipendenza (piovere
può in qualsiasi momento... oppure un ciclone sul mare -
elemento usato pari pari sia in The Abyss che in Leviathan
- può sparire con tempestività imprevista). E c'è
chi, come un risparmiatore poco paziente, l'investimento se lo spende
subito (meno bravo di colui che se lo fa durare, ma più bravo,
forse, di colui che se lo spende a pezzi e bocconi, più volte
nel corso del medesimo film). I nostri giudizi sulla narrazione
dipendono in gran parte dalla disposizione di questi elementi in
qualche modo privilegiati: varrebbe dunque la pena di rendersene
conto approfondendo la ricerca in questa direzione.
Allora, fra gli altri, scopriamo anche
il caso di colui che, improvvisamente, sorprendendoci, si spende un
investimento di cui non ci aveva informato. O un investimento mai
fatto, un "elemento" trovato lì, per puro caso, e
utilizzato senta ritegno. Come nella vita. Infatti, nella vita non
corre l'obbligo della coerenza. Se incontriamo un caro amico che,
appena ci vede, servendosi della mano destra, ci pianta un
coltellaccio da cucina nel costato abbiamo tutto il diritto di
rimanere sorpresi, visto che l'abbiamo conosciuto mancino per tutta
la vita, ma non per questo siamo autorizzati a dubitare di ciò
che ha appena fatto. Sarà stato anche mancino, ora ci ha
colpito servendosi della mano destra, ma ciò non toglie il
coltellaccio da dove l'ha ficcato: dell'incoerenza narrativa, i casi
della vita se ne fregano. In un racconto, invece, il fatterello -
dissociato in "racconto di qualcuno" e "ricostruzione
deduttiva" sarebbe sufficiente, invece, a far dubitare
l'investigatore dell'identità di un "colpevole".
Quando al cinema un regista approfitta
di uno stile narrativo troppo simile a quello della vita, la nostra
tranquillità di spettatori ne viene scossa. Parliamo di
inverosimiglianza, di gratuità, di sviluppi narrativi
ingiustificati da quanto li precede. A volte gli diamo del matto. E
qui possiamo cogliere in tutta la sua potenza la funzione
consolatoria e narcotizzante della narrazione popolare - intendendo
per "popolare", quella narrazione i cui elementi risolutivi
siano interamente fondati e spiegati nella narrazione medesima -,
mentre, di converso, possiamo cogliere il significato rivoluzionario
della narrazione che tiene aperto il proprio universo, ch'è
lasciata libera di attingere gli elementi del proprio sviluppo in una
gamma di alternative non preordinate - non preordinate da una
"logica" pretestuosamente universale, non preordinate da un
"genere", non preordinate dal mercato in cui la narrazione
va a mercificarsi.
Rivoluzionario, questo significato, per
il rapporto che instaura con noi spettatori, cui è concessa la
facoltà di sorprenderci, piacevolmente o meno, come, per
l'appunto, ci capita vivendo - protagonisti di una storia che, per
quanti sforzi razionalizzanti si faccia, non è stata ordinata
da nessuno che valga più di tutti gli altri, "estranei"
compresi, perché nel cast della vita ci siamo tutti.
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