Rivista Anarchica Online
Processo Galeotto
di Sarah Zilio
Convocato la prima volta il 5 febbraio e subito rimandato
all'11, per richiesta di proroga da parte del Pubblico Ministero,
il processo per direttissima al pacifista vicentino Alberto
Galeotto, imputato della distribuzione di volantini istiganti al
reato di diserzione, si è concluso con la sentenza penale di
dieci mesi di reclusione a carico del Galeotto. Un processo che
ha rivelato fin dal suo "incipit" volto e intenti del P.M.
e della Corte: la legalizzazione giuridica dell'illegalità
consistente nella violazione attuata dal Governo dell'art. 11 della
Costituzione italiana e nello stesso tempo la non presa di posizione
del presidente della Corte in merito alla Guerra nel Golfo e
quindi allo stato di guerra in cui anche l'Italia con una
decisione antidemocratica è stata spinta a trovarsi. La
difesa, sostenuta dall'avvocato romano Galasso e dal padovano
Lovantini, ha più volte puntato il dito a sottolineare
l'insostenibilità giuridica del reato per cui Alberto
Galeotto è stato accusato in una situazione di manifesta
illegalità come quella in cui si è vista finire
l'Italia. E in più l'avvocato Lovantini ha portato ed
esposto in fase istruttoria una serie di perizie atte ad avallare
con maggiori e più pregnanti testimonianze (come quelle di
alcuni giornalisti italiani provenienti da Baghdad e dell'on. Falco
Accame, presenti in aula) l'argomento della sua difesa: ma le
perizie sono state immediatamente rifiutate e dunque respinte dalla
Corte, perché ritenute materiale non attinente e non idoneo
all'ambito o, vorrei meglio dire, all'impronta processuale
premeditata e precostituita contro Alberto. Si giudica e si
accusa non sui fatti avvenuti ma su ciò che arbitrariamente
si vuole; in sostanza: che Alberto Galeotto volantinasse
materiale inneggiante la diserzione (azione comunque non punibile!)
in tempo di pace o in stato illegale di guerra, come quello attuale,
sembrerebbe proprio la stessa cosa, hanno più volte fatto
intendere P.M. e presidente della Corte. Nonostante l'ovvia
impunibilità di un reato come quello "commesso" da
Alberto (anche pensare è reato, figuriamoci poi a quale
pena può incorrere chi parla o, come me, scrive queste cose!)
il P.M. ha chiesto la pena minima di 8 mesi di reclusione. E
da ultimo il giudizio della Corte che "in nome del popolo
italiano (ancora una volta bestemmiato, volgarmente raggirato e
defraudato) dichiara l'imputato Alberto Galeotto colpevole per
l'art. 266 e quindi condannabile a 10 mesi con le attenuanti
della non menzione nel casellario giudiziario e di aver agito per
motivi di particolare valore morale o sociale". E a questo
punto è necessario dire di che cosa parla l'articolo in
questione, mai citato durante tutto il processo, ma
improvvisamente emerso e utilizzato come elemento giudicante e
d'accusa. L'art. 266 dice che è punibile colui che istiga
militari al reato di diserzione. Triste ironia della
sorte! Alberto Galeotto viene accusato non più per un
reato peraltro non punibile, ma addirittura per un reato non
commesso, non avendo mai distribuito volantini a gente in divisa
militare. Ancora una volta il falso viene legalizzato e per di
più in sede giuridica, ed emerge in tutte le sue fasi la
farsa di un processo di cui si è capito fin dall'inizio la
linea di condotta, e cioè quella guerrafondaia a cui la
magistratura, imperdonabilmente succube e tacita osservatrice delle
decisioni del Governo, ha fatto riferimento e si è
ancorata. Se ne punisce uno per accusare e forse spaccare tutto
il movimento pacifista, e questo in un'Italia che ha ancora il
coraggio e la presunzione di definirsi costituzionalmente una
Repubblica democratica.
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