Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 181
aprile 1991


Rivista Anarchica Online

Processo Galeotto
di Sarah Zilio

Convocato la prima volta il 5 febbraio e subito rimandato all'11, per richiesta di proroga da parte del Pubblico Ministero, il processo per direttissima al pacifista vicentino Alberto Galeotto, imputato della distribuzione di volantini istiganti al reato di diserzione, si è concluso con la sentenza penale di dieci mesi di reclusione a carico del Galeotto.
Un processo che ha rivelato fin dal suo "incipit" volto e intenti del P.M. e della Corte: la legalizzazione giuridica dell'illegalità consistente nella violazione attuata dal Governo dell'art. 11 della Costituzione italiana e nello stesso tempo la non presa di posizione del presidente della Corte in merito alla Guerra nel Golfo e quindi allo stato di guerra in cui anche l'Italia con una decisione antidemocratica è stata spinta a trovarsi.
La difesa, sostenuta dall'avvocato romano Galasso e dal padovano Lovantini, ha più volte puntato il dito a sottolineare l'insostenibilità giuridica del reato per cui Alberto Galeotto è stato accusato in una situazione di manifesta illegalità come quella in cui si è vista finire l'Italia. E in più l'avvocato Lovantini ha portato ed esposto in fase istruttoria una serie di perizie atte ad avallare con maggiori e più pregnanti testimonianze (come quelle di alcuni giornalisti italiani provenienti da Baghdad e dell'on. Falco Accame, presenti in aula) l'argomento della sua difesa: ma le perizie sono state immediatamente rifiutate e dunque respinte dalla Corte, perché ritenute materiale non attinente e non idoneo all'ambito o, vorrei meglio dire, all'impronta processuale premeditata e precostituita contro Alberto.
Si giudica e si accusa non sui fatti avvenuti ma su ciò che arbitrariamente si vuole; in sostanza: che Alberto Galeotto volantinasse materiale inneggiante la diserzione (azione comunque non punibile!) in tempo di pace o in stato illegale di guerra, come quello attuale, sembrerebbe proprio la stessa cosa, hanno più volte fatto intendere P.M. e presidente della Corte.
Nonostante l'ovvia impunibilità di un reato come quello "commesso" da Alberto (anche pensare è reato, figuriamoci poi a quale pena può incorrere chi parla o, come me, scrive queste cose!) il P.M. ha chiesto la pena minima di 8 mesi di reclusione.
E da ultimo il giudizio della Corte che "in nome del popolo italiano (ancora una volta bestemmiato, volgarmente raggirato e defraudato) dichiara l'imputato Alberto Galeotto colpevole per l'art. 266 e quindi condannabile a 10 mesi con le attenuanti della non menzione nel casellario giudiziario e di aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale". E a questo punto è necessario dire di che cosa parla l'articolo in questione, mai citato durante tutto il processo, ma improvvisamente emerso e utilizzato come elemento giudicante e d'accusa.
L'art. 266 dice che è punibile colui che istiga militari al reato di diserzione. Triste ironia della sorte! Alberto Galeotto viene accusato non più per un reato peraltro non punibile, ma addirittura per un reato non commesso, non avendo mai distribuito volantini a gente in divisa militare.
Ancora una volta il falso viene legalizzato e per di più in sede giuridica, ed emerge in tutte le sue fasi la farsa di un processo di cui si è capito fin dall'inizio la linea di condotta, e cioè quella guerrafondaia a cui la magistratura, imperdonabilmente succube e tacita osservatrice delle decisioni del Governo, ha fatto riferimento e si è ancorata.
Se ne punisce uno per accusare e forse spaccare tutto il movimento pacifista, e questo in un'Italia che ha ancora il coraggio e la presunzione di definirsi costituzionalmente una Repubblica democratica.