Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 181
aprile 1991


Rivista Anarchica Online

Tra passato e presente
di David Koven

Una cronaca e alcune riflessioni a ruota libera di un libertario statunitense sulle ultime mobilitazioni contro la guerra a San Francisco. I ricordi delle proteste all'epoca del secondo conflitto mondiale e della campagna del Vietnam.

Ancora una volta, sabato 25 gennaio, più di 100.000 persone sono scese in strada a San Francisco per esprimere la propria opposizione alla guerra in Medio Oriente. Ancora una volta la folla era composta da persone dalle provenienze e dalle opinioni politiche più diverse. Il fattore unificante era rappresentato dalla loro richiesta di una immediata cessazione delle ostilità. I gruppi religiosi invocavano la pace e la cessazione delle uccisioni, appellandosi ad alti principi morali. I gruppi marxisti, formati da ex-stalinisti, trotzkisti e maoisti dotatisi di nomi nuovi e sgargianti, scandivano dei vecchi slogan riciclati, invocando il passaggio dalla guerra alla guerra rivoluzionaria contro il Capitalismo. (Tra gli altri vi era il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori, che chiedeva aiuti militari per Saddam Hussein.)
Gli anarchici portavano cartelli che invitavano la gente a "disfarsi dello stato" e ad esprimere la propria resistenza alla guerra dando il via ad uno sciopero generale. I gruppi pacifisti invocavano la nonviolenza gandiana per fermare la guerra. I gruppi di attivisti gay chiamavano in causa l'insensibile indifferenza del governo verso la piaga dell'AIDS, chiedendo che i fondi usati per uccidere la gente vengano dirottati verso la salvaguardia di vite umane. Un gruppo che rappresentava Greenpeace metteva in primo piano i pericoli ecologici che la guerra implica per tutta l'umanità.
Una rappresentanza dei Federalisti Mondiali chiedeva un rafforzamento dell'O.N.U. e una riapertura dei negoziati politici per porre fine alla crisi. Probabilmente la parte più numerosa dei dimostranti, che portava cartelli e striscioni fatti in casa, consisteva di giovani famiglie con bambini politicamente non allineate, di giovani studenti liceali e universitari che si sentivano minacciati in prima persona dalla guerra, e di un largo numero di neri, asiatici, arabi e cittadini di origine ispanica, che richiamavano l'attenzione sulla natura razzista della guerra.
È stato emozionante e stimolante partecipare, a conflitto appena iniziato, ad una manifestazione così ampia e attiva. All'inizio della Seconda guerra mondiale, della guerra di Corea e di quella del Vietnam eravamo solo uno sparuto gruppetto ad opporci. Sabato la quantità delle persone scese in strada sembrava promettere un movimento contro la guerra che il governo non avrebbe potuto ignorare. Non si poteva però evitare di pensare, allo stesso tempo, che le forme della protesta dovranno subire delle modifiche, se si desidera che un'opposizione coerente ed energica alla guerra continui ad esistere. Marciare con cartelli fatti in casa fino al City Hall e poi starsene lì in piedi ad ascoltare politicanti arrabbiati che declamano vecchi slogan, predicando ai già convertiti, non servirà certo a mantenere alto il livello della protesta non-violenta.
Se il nostro scopo è quello di arrivare a smuovere oggi milioni di persone che non hanno opposto una sfida seria alla posizione patriottistica assunta dal governo, o che hanno incondizionatamente appoggiato i suoi sforzi bellici, e se riconosciamo il bisogno di raggiungere in qualche modo queste persone con i nostri punti di vista, dobbiamo renderci conto che la ripetizione senza fine degli slogan e l'appoggio a soluzioni politiche trite (soluzioni la cui inadeguatezza, per non dire letalità, è stata provata dalla storia) non sono in grado di suscitare la risposta costante e motivata che è necessaria per fermare effettivamente la guerra.
Sono convinto che se intendiamo raggiungere quei giovani, che rappresentano la generazione che si sente più direttamente minacciata dalla guerra, ci troviamo di fronte ad un obiettivo particolarmente difficile e impegnativo. Per questi giovani la ripresa della chiamata alle armi rappresenta una preoccupazione reale. Essi hanno in larga misura perso ogni illusione riguardo a questa società. Per la maggior parte di essi il mito creato dai media, che proiettano l'immagine di un futuro di ricchezza e di potenza per tutti, si è rivelato essere una fantasia che è dissipata di fronte all'incapacità della struttura politica di occuparsi efficacemente dei bisogni dei singoli, se si eccettuano quei pochi privilegiati che controllano l'Oligarchia.


Obiettivi più ampi e positivi

Il crollo delle strutture interne dell'attuale società capitalista (il sistema bancario, le grandi industrie manifatturiere che si sono rivolte "ad altri lidi", abbandonando gli operai del nostro Paese) unito alla minaccia diretta al loro futuro che questa guerra rappresenta, rende loro difficile immaginarsi delle opportunità che possano mantenere la promessa di un lavoro interessante, produttivo, di un alloggio decente, di un'assistenza medica a basso costo e di un ambiente nel quale la sicurezza, la solidarietà e il senso della comunità possano diventare una felice realtà. La vita deve sembrare loro come un ennesimo spettacolo televisivo. Molti dei giovani che partecipano alle manifestazioni contro la guerra possono cedere, a causa delle loro disillusioni, alla tentazione di far emergere in primo piano i loro sentimenti di rabbia, angoscia, frustrazione e di mancanza di fiducia nel futuro. In una società che ha usato i media per riempire le loro giovani menti con immagini di violenza, diventerà sempre più difficile per loro mantenere un atteggiamento nonviolento. Una testimonianza di questa condizione sono stati gli atti di vandalismo di questi giovani dimostranti e i loro scontri con la polizia, ai quali abbiamo assistito. Queste azioni, forse, li solleveranno da una parte delle loro sensazioni di angoscia e di frustrazione, ma allo stesso tempo essi tenderanno così ad alienarsi le simpatie del settore più ampio dei dimostranti non violenti e, in misura maggiore, quelle dei cittadini comuni che dobbiamo cercare di raggiungere.
Se vogliamo che questo movimento contro la guerra diventi più forte e più incisivo, dovremo saperci porre degli obiettivi più ampi e più positivi. La morale non è di esclusiva competenza delle religioni, essa può rappresentare anche la codificazione di atti di mutua assistenza che hanno accompagnato la pratica dell'umanità fin dall'inizio della sua presenza sulla terra. Dobbiamo trovare il modo di mettere tutte le persone in grado di rendersi conto che il rifiuto di quegli aspetti di una società che generano dei fenomeni così orribilmente immorali come sono la guerra, la sofferenza, l'alienazione e la povertà, rappresenta in realtà di per se stesso un atto di grande moralità.
Quando i gruppi marxisti invocano la "rivoluzione operaia", devono nascondersi il fatto che, almeno qui negli Stati Uniti, essi si rivolgono a delle persone che non si possono identificare come appartenenti ad una "classe operaia". Sono anche costretti a chiudere gli occhi sulla rivelazione che ci ha dato la storia più recente: la bancarotta morale, la corruzione e la natura dittatoriale di tutti i regimi marxisti. La "dittatura del proletariato" si è rivelata non essere altro che un'ennesima forma di governo sanguinaria e immorale che tiranneggia i propri popoli.
Le bandiere e gli striscioni che sono stati dispiegati nel corso della manifestazione e che chiedevano L'aiuto militare per le forze armate irachene, mi hanno riportato alla mente un'esperienza fatta nei primi tempi della resistenza alla guerra del Vietnam. Quando il Vietnam Day Committee stava cominciando a prendere forza fui aggredito con virulenza da giovani dimostranti che scandivano slogan in favore delle vittorie dei Viet Cong. Quando parlai ad una manifestazione del VDC e affermai energicamente che non era necessario appoggiare un'organizzazione potenzialmente totalitaria come quella dei Viet Cong per opporsi alla politica della guerra del governo americano, è stato solamente grazie all'intercessione di persone come James Ivory, che si trovava allora presso l'Università di Berkeley, che evitai di essere aggredito fisicamente da alcuni giovani teste calde. Se gli "yahoo" (i bruti del Paese dei cavalli nei "Viaggi di Gulliver" di J. Swift - n.d.t.) dell'ala sinistra che invocano la vittoria militare di Saddam Hussein continueranno a far sentire la loro presenza nelle prossime manifestazioni, non faranno altro che tenere lontane le persone che abbiamo bisogno si uniscano a noi se vogliamo arrivare ad avere una forza di protesta tale da rendere possibile il contenimento di questa guerra.
Temo che non vi siano soluzioni semplici per questo genere di problemi. Siamo rimasti tutti in qualche modo incantati dai miraggi di una "buona vita" che ci sono stati dipinti dai ruffiani politici dei nostri tempi. Se ci mettiamo ad esaminare le radici di guerre come questa, dovremo renderci conto del fatto che siamo quasi sempre impotenti e che abbiamo ben poco controllo sulle "grandi" decisioni che incidono sulla nostra vita. Questo secolo ha assistito alla crescita, al rafforzamento e alla centralizzazione del potere politico, fenomeni che sono arrivati ad un grado che non era mai stato raggiunto prima nella storia. La causa concomitante, e allo stesso tempo quella della maggiore influenza della crescita del potere dello stato è stata l'espansione e, allo stesso tempo, la centralizzazione del benessere e del potere di influenza nelle mani di una ristretta cricca di industriali e banchieri sparsi per il mondo (o, come nel caso degli stati marxisti) nelle mani di un piccolo gruppo di burocrati appartenenti ad una struttura totalitaria di partito). La ricchezza e il potere di questi gruppi vengono raggiunti grazie al sacrificio della maggior parte della popolazione mondiale. Continuando ad accettare e partecipare alle attuali forme di società, la gente in pratica non fa altro che permettere che il proprio lavoro e a volte anche le proprie vite, o le vite dei propri figli, vengano sacrificati nelle ripetute guerre di cui queste Oligarchie hanno bisogno per mantenere le loro ricchezze e il loro potere sotto controllo.
L'unico recente segno di speranza del quale siamo stati testimoni è stato il fallimento dell'oligarchia marxista nell'Europa Orientale.

Non mollate!
In conclusione, noi crediamo che la ragione debba trionfare. Purtroppo ciò non potrà avvenire fino a quando si continueranno a sacrificare moltitudini di uomini, donne e bambini di tutte le razze e di tutte le origini etniche.
Esprimere la propria opposizione alla guerra è un atto di umanità e di ragione. Se saremo capaci di concentrare le nostre energie nella trasmissione e nella diffusione della nostra visione di una società pacifica e creativa, il nostro scopo immediato, che è quello di arrestare questa guerra, si trasformerà in qualcosa di più di una semplice reazione ad un evento specifico, per diventare l'adempimento di una razionalità ancora più grande.
Si tratta di una opportunità per distogliere la società umana da queste ripetute follie e per dirigere le nostre energie verso la creazione di una società nella quale gli individui possano prendere direttamente parte alle decisioni di prima importanza che li riguardano, invece di delegare la loro fiducia a politici folli e corrotti che prendono decisioni che influiscono sulla nostra vita. Tutti i politici sono folli, se cercano di conquistare posizioni dalle quali possono assumersi la responsabilità di prendere delle decisioni che influiscono sulla vita di milioni di persone, quando in realtà molti di essi sono incapaci di prendere delle decisioni razionali perfino sulle proprie vite e in tutte le società i politici sono corrotti, se non dal denaro, perlomeno dalla loro sete di potere. Dobbiamo sforzarci di sviluppare delle forme di relazioni sociali che si differenzino dalle pericolose istituzioni che dominano attualmente le nostre vite. È ormai chiaro che né il capitalismo, né il socialismo marxista sono capaci di soddisfare i bisogni umani fondamentali senza ricorrere allo sfruttamento dei propri popoli, a spargimenti di sangue e alla distruzione della dignità umana.
È vero, non ci troviamo di fronte ad un compito facile.
Ci potrebbero volere delle generazioni per arrivare ai cambiamenti necessari, ma dobbiamo cominciare a muoverci prima che il momento giusto ci sia scappato. Dobbiamo cercare di sostituire l'isolamento, la competitività e la violenza brutale che distinguono così marcatamente la nostra società attuale, con una struttura sensibile che incoraggi la cooperazione, il mutuo appoggio e la formazione di una comunità decentralizzata, allargata, non autoritaria e familiare. Se il potere rimarrà nelle mani dei mandarini che ci dominano attualmente è probabile che essi, nella loro auto-compiaciuta miopia, giungano fino alla distruzione del pianeta.
Noi dobbiamo intanto continuare a portare avanti le nostre ragioni e i nostri valori morali non soltanto tra i nostri compagni che dimostrano contro la guerra, ma all'interno della comunità nelle quali viviamo e con chiunque possiamo entrare in contatto. Sarà probabilmente una lotta difficile, ardua, ma non abbiamo davvero altre alternative. Anche se nell'immediato non saremo in grado di realizzare grandi cambiamenti nelle nostre vite, fermare la strage rappresenta di per se stesso un fine importante. Cercate di ricavare più gioia possibile dal fatto di rendervi conto che non siete da soli. Come potrebbe dire uno dei miei amici anarchici italiani: "non mollate !".
(traduzione di Andrea Ferrario)