Rivista Anarchica Online
Tra passato e presente
di David Koven
Una cronaca e alcune riflessioni a ruota libera di un
libertario statunitense sulle ultime mobilitazioni contro la guerra
a San Francisco. I ricordi delle proteste all'epoca del secondo
conflitto mondiale e della campagna del Vietnam.
Ancora una volta, sabato 25 gennaio, più di 100.000
persone sono scese in strada a San Francisco per esprimere la
propria opposizione alla guerra in Medio Oriente. Ancora una volta
la folla era composta da persone dalle provenienze e dalle
opinioni politiche più diverse. Il fattore unificante era
rappresentato dalla loro richiesta di una immediata cessazione delle
ostilità. I gruppi religiosi invocavano la pace e la
cessazione delle uccisioni, appellandosi ad alti principi morali. I
gruppi marxisti, formati da ex-stalinisti, trotzkisti e maoisti
dotatisi di nomi nuovi e sgargianti, scandivano dei vecchi slogan
riciclati, invocando il passaggio dalla guerra alla guerra
rivoluzionaria contro il Capitalismo. (Tra gli altri vi era il
Partito Rivoluzionario dei Lavoratori, che chiedeva aiuti militari
per Saddam Hussein.) Gli anarchici portavano cartelli che
invitavano la gente a "disfarsi dello stato" e ad
esprimere la propria resistenza alla guerra dando il via ad uno
sciopero generale. I gruppi pacifisti invocavano la nonviolenza
gandiana per fermare la guerra. I gruppi di attivisti gay chiamavano
in causa l'insensibile indifferenza del governo verso la piaga
dell'AIDS, chiedendo che i fondi usati per uccidere la gente vengano
dirottati verso la salvaguardia di vite umane. Un gruppo che
rappresentava Greenpeace metteva in primo piano i pericoli ecologici
che la guerra implica per tutta l'umanità. Una
rappresentanza dei Federalisti Mondiali chiedeva un rafforzamento
dell'O.N.U. e una riapertura dei negoziati politici per porre fine
alla crisi. Probabilmente la parte più numerosa dei
dimostranti, che portava cartelli e striscioni fatti in
casa, consisteva di giovani famiglie con bambini politicamente
non allineate, di giovani studenti liceali e universitari che si
sentivano minacciati in prima persona dalla guerra, e di un largo
numero di neri, asiatici, arabi e cittadini di origine ispanica, che
richiamavano l'attenzione sulla natura razzista della guerra. È
stato emozionante e stimolante partecipare, a conflitto appena
iniziato, ad una manifestazione così ampia e attiva.
All'inizio della Seconda guerra mondiale, della guerra di Corea e di
quella del Vietnam eravamo solo uno sparuto gruppetto ad opporci.
Sabato la quantità delle persone scese in strada sembrava
promettere un movimento contro la guerra che il governo non avrebbe
potuto ignorare. Non si poteva però evitare di pensare, allo
stesso tempo, che le forme della protesta dovranno subire delle
modifiche, se si desidera che un'opposizione coerente ed energica
alla guerra continui ad esistere. Marciare con cartelli fatti in
casa fino al City Hall e poi starsene lì in piedi ad
ascoltare politicanti arrabbiati che declamano vecchi slogan,
predicando ai già convertiti, non servirà certo a
mantenere alto il livello della protesta non-violenta. Se il
nostro scopo è quello di arrivare a smuovere oggi milioni di
persone che non hanno opposto una sfida seria alla posizione
patriottistica assunta dal governo, o che hanno incondizionatamente
appoggiato i suoi sforzi bellici, e se riconosciamo il bisogno di
raggiungere in qualche modo queste persone con i nostri punti di
vista, dobbiamo renderci conto che la ripetizione senza fine degli
slogan e l'appoggio a soluzioni politiche trite (soluzioni la cui
inadeguatezza, per non dire letalità, è stata provata
dalla storia) non sono in grado di suscitare la risposta costante e
motivata che è necessaria per fermare effettivamente la
guerra. Sono convinto che se intendiamo raggiungere quei giovani,
che rappresentano la generazione che si sente più
direttamente minacciata dalla guerra, ci troviamo di fronte ad un
obiettivo particolarmente difficile e impegnativo. Per questi
giovani la ripresa della chiamata alle armi rappresenta una
preoccupazione reale. Essi hanno in larga misura perso ogni
illusione riguardo a questa società. Per la maggior parte di
essi il mito creato dai media, che proiettano l'immagine di un
futuro di ricchezza e di potenza per tutti, si è rivelato
essere una fantasia che è dissipata di fronte all'incapacità
della struttura politica di occuparsi efficacemente dei bisogni dei
singoli, se si eccettuano quei pochi privilegiati che controllano
l'Oligarchia.
Obiettivi più ampi e positivi
Il crollo delle strutture interne dell'attuale società
capitalista (il sistema bancario, le grandi industrie manifatturiere
che si sono rivolte "ad altri lidi", abbandonando gli
operai del nostro Paese) unito alla minaccia diretta al loro
futuro che questa guerra rappresenta, rende loro difficile
immaginarsi delle opportunità che possano mantenere la
promessa di un lavoro interessante, produttivo, di un
alloggio decente, di un'assistenza medica a basso costo e di un
ambiente nel quale la sicurezza, la solidarietà e il senso
della comunità possano diventare una felice realtà. La
vita deve sembrare loro come un ennesimo spettacolo televisivo.
Molti dei giovani che partecipano alle manifestazioni contro la
guerra possono cedere, a causa delle loro disillusioni, alla
tentazione di far emergere in primo piano i loro sentimenti di
rabbia, angoscia, frustrazione e di mancanza di fiducia nel futuro.
In una società che ha usato i media per riempire le loro
giovani menti con immagini di violenza, diventerà sempre più
difficile per loro mantenere un atteggiamento nonviolento. Una
testimonianza di questa condizione sono stati gli atti di vandalismo
di questi giovani dimostranti e i loro scontri con la polizia, ai
quali abbiamo assistito. Queste azioni, forse, li solleveranno da
una parte delle loro sensazioni di angoscia e di frustrazione, ma
allo stesso tempo essi tenderanno così ad alienarsi le
simpatie del settore più ampio dei dimostranti non violenti
e, in misura maggiore, quelle dei cittadini comuni che dobbiamo
cercare di raggiungere. Se vogliamo che questo movimento contro
la guerra diventi più forte e più incisivo, dovremo
saperci porre degli obiettivi più ampi e più positivi.
La morale non è di esclusiva competenza delle religioni, essa
può rappresentare anche la codificazione di atti di mutua
assistenza che hanno accompagnato la pratica dell'umanità fin
dall'inizio della sua presenza sulla terra. Dobbiamo trovare il modo
di mettere tutte le persone in grado di rendersi conto che il
rifiuto di quegli aspetti di una società che generano dei
fenomeni così orribilmente immorali come sono la guerra, la
sofferenza, l'alienazione e la povertà, rappresenta in realtà
di per se stesso un atto di grande moralità. Quando i
gruppi marxisti invocano la "rivoluzione operaia", devono
nascondersi il fatto che, almeno qui negli Stati Uniti, essi si
rivolgono a delle persone che non si possono identificare come
appartenenti ad una "classe operaia". Sono anche costretti
a chiudere gli occhi sulla rivelazione che ci ha dato la storia più
recente: la bancarotta morale, la corruzione e la natura
dittatoriale di tutti i regimi marxisti. La "dittatura del
proletariato" si è rivelata non essere altro che
un'ennesima forma di governo sanguinaria e immorale che tiranneggia
i propri popoli. Le bandiere e gli striscioni che sono stati
dispiegati nel corso della manifestazione e che chiedevano L'aiuto
militare per le forze armate irachene, mi hanno riportato alla mente
un'esperienza fatta nei primi tempi della resistenza alla guerra del
Vietnam. Quando il Vietnam Day Committee stava cominciando a
prendere forza fui aggredito con virulenza da giovani dimostranti
che scandivano slogan in favore delle vittorie dei Viet Cong. Quando
parlai ad una manifestazione del VDC e affermai energicamente che
non era necessario appoggiare un'organizzazione potenzialmente
totalitaria come quella dei Viet Cong per opporsi alla politica
della guerra del governo americano, è stato solamente grazie
all'intercessione di persone come James Ivory, che si trovava allora
presso l'Università di Berkeley, che evitai di essere
aggredito fisicamente da alcuni giovani teste calde. Se gli "yahoo"
(i bruti del Paese dei cavalli nei "Viaggi di Gulliver" di
J. Swift - n.d.t.) dell'ala sinistra che invocano la vittoria
militare di Saddam Hussein continueranno a far sentire la loro
presenza nelle prossime manifestazioni, non faranno altro che tenere
lontane le persone che abbiamo bisogno si uniscano a noi se vogliamo
arrivare ad avere una forza di protesta tale da rendere possibile il
contenimento di questa guerra. Temo che non vi siano soluzioni
semplici per questo genere di problemi. Siamo rimasti tutti in
qualche modo incantati dai miraggi di una "buona vita" che
ci sono stati dipinti dai ruffiani politici dei nostri tempi. Se ci
mettiamo ad esaminare le radici di guerre come questa, dovremo
renderci conto del fatto che siamo quasi sempre impotenti e che
abbiamo ben poco controllo sulle "grandi" decisioni che
incidono sulla nostra vita. Questo secolo ha assistito alla
crescita, al rafforzamento e alla centralizzazione del potere
politico, fenomeni che sono arrivati ad un grado che non era mai
stato raggiunto prima nella storia. La causa concomitante, e allo
stesso tempo quella della maggiore influenza della crescita del
potere dello stato è stata l'espansione e, allo stesso tempo,
la centralizzazione del benessere e del potere di influenza nelle
mani di una ristretta cricca di industriali e banchieri sparsi per
il mondo (o, come nel caso degli stati marxisti) nelle mani di un
piccolo gruppo di burocrati appartenenti ad una struttura
totalitaria di partito). La ricchezza e il potere di questi gruppi
vengono raggiunti grazie al sacrificio della maggior parte della
popolazione mondiale. Continuando ad accettare e partecipare alle
attuali forme di società, la gente in pratica non fa altro
che permettere che il proprio lavoro e a volte anche le proprie
vite, o le vite dei propri figli, vengano sacrificati nelle ripetute
guerre di cui queste Oligarchie hanno bisogno per mantenere le loro
ricchezze e il loro potere sotto controllo. L'unico recente segno
di speranza del quale siamo stati testimoni è stato il
fallimento dell'oligarchia marxista nell'Europa Orientale.
Non mollate! In conclusione, noi crediamo che la ragione debba trionfare.
Purtroppo ciò non potrà avvenire fino a quando si
continueranno a sacrificare moltitudini di uomini, donne e bambini
di tutte le razze e di tutte le origini etniche. Esprimere la
propria opposizione alla guerra è un atto di umanità e
di ragione. Se saremo capaci di concentrare le nostre energie
nella trasmissione e nella diffusione della nostra visione di una
società pacifica e creativa, il nostro scopo immediato,
che è quello di arrestare questa guerra, si trasformerà
in qualcosa di più di una semplice reazione ad un evento
specifico, per diventare l'adempimento di una razionalità
ancora più grande. Si tratta di una opportunità per
distogliere la società umana da queste ripetute follie e per
dirigere le nostre energie verso la creazione di una società
nella quale gli individui possano prendere direttamente parte alle
decisioni di prima importanza che li riguardano, invece di delegare
la loro fiducia a politici folli e corrotti che prendono decisioni
che influiscono sulla nostra vita. Tutti i politici sono folli, se
cercano di conquistare posizioni dalle quali possono assumersi la
responsabilità di prendere delle decisioni che influiscono
sulla vita di milioni di persone, quando in realtà molti di
essi sono incapaci di prendere delle decisioni razionali perfino
sulle proprie vite e in tutte le società i politici sono
corrotti, se non dal denaro, perlomeno dalla loro sete di potere.
Dobbiamo sforzarci di sviluppare delle forme di relazioni sociali
che si differenzino dalle pericolose istituzioni che dominano
attualmente le nostre vite. È ormai chiaro che né il
capitalismo, né il socialismo marxista sono capaci di
soddisfare i bisogni umani fondamentali senza ricorrere allo
sfruttamento dei propri popoli, a spargimenti di sangue e alla
distruzione della dignità umana. È vero, non ci
troviamo di fronte ad un compito facile. Ci potrebbero volere
delle generazioni per arrivare ai cambiamenti necessari, ma dobbiamo
cominciare a muoverci prima che il momento giusto ci sia scappato.
Dobbiamo cercare di sostituire l'isolamento, la competitività
e la violenza brutale che distinguono così marcatamente la
nostra società attuale, con una struttura sensibile che
incoraggi la cooperazione, il mutuo appoggio e la formazione di una
comunità decentralizzata, allargata, non autoritaria e
familiare. Se il potere rimarrà nelle mani dei mandarini che
ci dominano attualmente è probabile che essi, nella loro
auto-compiaciuta miopia, giungano fino alla distruzione del
pianeta. Noi dobbiamo intanto continuare a portare avanti le
nostre ragioni e i nostri valori morali non soltanto tra i nostri
compagni che dimostrano contro la guerra, ma all'interno della
comunità nelle quali viviamo e con chiunque possiamo entrare
in contatto. Sarà probabilmente una lotta difficile,
ardua, ma non abbiamo davvero altre alternative. Anche
se nell'immediato non saremo in grado di realizzare grandi
cambiamenti nelle nostre vite, fermare la strage rappresenta di
per se stesso un fine importante. Cercate di ricavare più
gioia possibile dal fatto di rendervi conto che non siete da soli.
Come potrebbe dire uno dei miei amici anarchici italiani: "non
mollate !". (traduzione di Andrea Ferrario)
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