Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 190
aprile 1992


Rivista Anarchica Online

Quale università
di Commissione Ecologia Interfacoltà - Roma

I padroni del vapore - Confindustria in testa - vogliono aumentare la "produttività" dell'Università. C'è chi, al contrario, lotta per la costruzione di un modello alternativo, egualitario, ecocompatibile

Università e modello di sviluppo

Nelle dichiarazioni degli stessi suoi portavoce, la Confindustria non punta a ridurre il numero degli studenti universitari, ma ad aumentarne la funzionalità al sistema produttivo: l'Università deve produrre una forza-lavoro non troppo specializzata per rispondere con facilità al mutare rapido del mercato e delle tecnologie, dotata di una formazione di base sufficiente ad un ruolo attivo e creativo nell'impresa. Non è esatto che la ricerca di base e gli studi umanistici vengano svantaggiati nel nuovo quadro delineato dalla legge Ruberti: ogni banca del sapere svolge un proprio ruolo, seppure indiretto, nel governo capitalistico della realtà. Spetta soprattutto ai finanziamenti dello Stato sopperire alla ristrettezza di vedute dell'impresa privata, nel quadro però del medesimo modello di sviluppo fondato sulla crescita, sul profitto, sul dominio sopra le persone e i territori. Al modello economico e sociale dominante non servono solo conoscenze immediatamente traducibili in profitto, ma anche la trasmissione (nelle modalità verticali ed individualistiche dello schema docente-studente) dei modelli gerarchici di conoscenza fondati sulla separazione fra umano e naturale, fra corpo e mente, fra inconscio e razionalità, fra sapere scientifico e umanistico, fra lavoro intellettuale e manuale, che hanno accompagnato e giustificato il dominio planetario dell'Occidente dall'invasione dell'America ad oggi.
L'ideologia implicita in questo apparato culturale si può così riassumere: l'Uomo (identificato con il genere maschile, di razza bianca, di collocazione sociale-culturale borghese e urbana) è destinato ad estendere il suo dominio sul Mondo (senza confini né nell'infinitamente grande - astrofisica, esplorazioni spaziali - né nell'infinitamente piccolo - ingegneria nucleare, bioingegneria) e ad accrescere la sua capacità di sfruttamento delle risorse del pianeta. Il modello di conoscenza cartesiano, giunto a noi attraverso l'illuminismo e il positivismo, nei suoi fondamenti ancora ispira la relazione fra l'Uomo e la realtà: questa può essere sezionata in parti distinte e indipendenti, il cui ordinamento secondo schemi gerarchici è necessario al dominio antropico. Il potere dei proprietari dei mezzi di produzione sui salariati e sulle risorse, l'esistenza di categorie sociali detentrici del potere politico o scientifico-culturale, le relazioni gerarchiche fra popoli, fra sessi, la subordinazione delle esigenze del corpo (= salute) a quelle del modo di vita metropolitano, così come le contraddizioni più tremende del modello occidentale, dalla guerra alla fame, dall'effetto serra alla morte di fiumi e mari, dal carcere ai manicomi, dalla vivisezione all'annullamento di minoranze etniche sono giustificate dalle "finalità generali" della macchina del dominio.
D'altra parte la fase del capitalismo compatibile, in cui attraverso l'innovazione tecnologica, l'accentramento dei poteri statali ed economici anche a livello sovranazionale, l'integrazione di sempre nuove fasce sociali ed aree geografiche nel suo sistema di vita e di valori, l'assistenzialismo, la bioetica, ecc..., vengono attenuati gli effetti più evidenti delle contraddizioni, permanendo naturalmente queste ultime.
Dall'architettura all'economia, dalla storia alla filosofia, dall'ingegneria alla sociologia, dalla psicologia alle lettere, dal diritto alle scienze politiche, dalla fisica alla pedagogia, dalla medicina alla chimica, dalla geografia alle scienze naturali e biologiche, dalle scienze linguistiche alle discipline dello spettacolo, ogni materia universitaria partecipa, nei suoi indirizzi fondamentali, dell'impianto ideologico capital-industrialista-eurocentrico.

La committenza alternativa

Il dibattito sulla costruzione di un progetto antagonista al presente modello di università dovrà svilupparsi rispetto a diverse questioni: il rapporto con il territorio e la committenza alternativa; un cambiamento di indirizzo culturale-scientifico; il percorso concreto da intraprendere.
Contro il sapere accademico che ha prodotto l'energia nucleare, le armi chimiche, l'edilizia metropolitana, le biotecnologie, che ha storicamente fornito il suo sostegno culturale e scientifico allo Stato, alle classi dominanti, all'imperialismo, occorre dare impulso ad elementi di università alternativa che crescano insieme ad un progetto di società ecologica, egualitaria, libertaria. Proprio i movimenti studenteschi che ci hanno preceduto (soprattutto quello del '77) hanno sedimentato, oltre il riflusso della protesta verbale e l'integrazione dei più negli ingranaggi del sistema, alcuni elementi concreti di questo progetto: quelle micro-strutture che lavorano nel commercio naturale ed equo-solidale, nelle tecnologie appropriate (bioedilizia, energie dolci...), nell'agricoltura biologica, nella solidarietà sociale, nell'educazione e nella cultura. Si tratta di una realtà con i suoi limiti e contraddizioni, di dimensioni ridotte (per ragioni ideologico-culturali) rispetto ad altri Paesi come la Germania, ma che pure esprime forme sociali fondate su relazioni molto diverse da quelle capitalistiche. Contro un'università funzionale all'industria e allo Stato, si possono sviluppare una didattica e una ricerca alternativa funzionali agli interessi dei lavoratori, delle donne, delle strutture alternative, delle comunità rurali o di immigrati, dei
centri sociali e dell'auto-produzione, che diano sostegno alla costruzione di un percorso sociale diverso sia da quello statalista che da quello capitalista.

Questa "committenza alternativa" è portatrice di una domanda di conoscenza (sui problemi del modello autogestionario, sulla scienza del territorio, sulla qualità della vita, su migliori qualità relazionali fra gli individui, sull'urbanistica, sulle scienze umane...) e al contempo di un'offerta: medicine alternative, bioedilizia, antipsichiatria, storia e cultura popolare, geografia sociale, pedagogia libertaria, agricoltura biologica, permacoltura, elementi indicativi di un progetto culturale ancora da sviluppare, trovano attualmente poco o nessuno spazio nella didattica ufficiale.
Rapporto alternativo con il territorio deve anche significare mettere in discussione l'attuale fruizione elitaria dello studio universitario, rispondente ad una selezione sociale e culturale più ancora che banalmente economica, e puntare ad un'università aperta all'intera popolazione.

Alcune linee di indirizzo culturale

Su quali linee è possibile sviluppare un percorso di "rifondazione ecologica e anti-gerarchica" del sapere? Anche alla luce dei (piuttosto scarsi) movimenti propositivi espressi dai movimenti studenteschi anche all'estero, emergono alcuni spunti iniziali (che pure lasciano il quadro incompleto):
- sostituire l'idea di sviluppo quantitativo con quella di reintegrazione delle attività umane nei cicli ecologici degli elementi;
- sostituire i concetti di gerarchia, uniformità, compartimentazione con cui si "legge" e si misura la realtà, con quelli di complementarietà, differenza, interdipendenza. Ogni luogo è il centro del mondo;
- sostituire alla centralità della metropoli (intesa anche come universo simbolico collettivo) uno sguardo non gerarchico sul territorio, osservato nella sua complessità e nelle sue specificità geomorfologiche, climatiche, ideologiche, bio-ecologiche, etnico-culturali, come base per una resistenza effettiva allo sviluppo capitalistico e alla sua opera di omologazione e alienazione;
- valorizzare l'apporto delle culture non industriali, da quelle rurali locali a quelle dei popoli extraeuropei, con il loro enorme bagaglio di conoscenze, di creatività, di valori antagonisti, la cui memoria e vitalità sono minacciate dall'azione omologante degli Stati e dell'economia di mercato;
- avviare una critica delle discipline storiche e letterarie, su nodi come le bonifiche, il rapporto città/campagna, le rivolte antiche e medioevali, l'avvento degli stati nazionali, lo sviluppo della scienza, la rivoluzione industriale, il colonialismo e l'invasione dell'America, le minoranze, il ruolo delle donne, le rivoluzioni francese e sovietica...;
- valorizzare le esperienze di incontro/contaminazione reciproca fra diverse discipline scientifiche e umanistiche;
- superare la separazione fra studio libresco e applicazione lavorativa.

Didattica: dalla co-gestione all'autogestione

Venendo ad affrontare il nodo dell'iniziativa concreta attualmente messa in atto su questo percorso, occorre valorizzare ma al tempo stesso aprire una riflessione critica sulle esperienze dei seminari autogestiti, delle iniziative didattiche alternative e del loro collegamento con le istanze politiche del Movimento. E' sicuramente questa la direzione in cui lavorare: diventare agenti diretti e autonomi della produzione didattica. Ma ne vanno tenuti presenti i rischi, in cui sono spesso cadute, ci sembra, alcune esperienze originate dal Movimento del '90.
Il rischio è che i gruppi di studio formatisi attorno a progetti didattici e a seminari, spesso portatori di indirizzi di ricerca interessanti e innovativi, scivolino dall'autogestione verso un ruolo di co-gestione, invece che di conflitto con l'istituzione universitaria. I1 gruppo nasce e rimane chiuso nell'ambito di una facoltà o dipartimento, delimitato dalle stesse compartimentazioni accademiche tradizionali, sganciato da un progetto antagonista complessivo sulla didattica. Spesso si trova nella collaborazione con i docenti, nei finanziamenti istituzionali, ecc..., una strada che porta, più che a contestare il sistema, ad arricchirlo di nuove idee ed energie, con la contropartita di alcune cooptazioni nell'establishment accademico.
Un percorso di autogestione (che non esclude a priori collaborazioni con i docenti più disponibili) lascia indubbiamente più libertà nella determinazione degli indirizzi di ricerca, nei metodi di lavoro paritari e cooperativi, nella contaminazione reciproca fra discipline diverse, nell'apporto di contributi esterni all'università, e soprattutto colloca la produzione didattica alternativa nell'ambito di un più generale progetto antagonista. Quel che manca su questo percorso è innanzitutto un coordinamento, un laboratorio che unisca gruppi di diverse facoltà (e anche della Commissione Ecologica Interfacoltà) attivi sulla didattica e sulla ricerca.
Questo laboratorio potrà essere il punto di partenza per l'obiettivo di un vero e proprio "Dipartimento autogestito transdisciplinare", che realizzi una solida e permanente programmazione didattica, alternativa all'Università ufficiale nei contenuti, nei metodi, nei fruitori, che fra l'altro potrebbe svolgere un ruolo importante nel quadro della prossima occupazione delle facoltà.

Gruppo di lavoro su ecologia sociale e bioregionalismo

della Commissione Ecologica Interfacoltà

Roma