Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Sangue indiano in agente federale
Il Federal Bureau of lnvestigations, FBI per amici e nemici, è stato
battezzato tale dal 1935 e, com'è noto, è stato istituito allo scopo di reprimere rei di interesse
superiore al singolo Stato operando così sulle zucche
presumibilmente più vuote delle polizie locali. L'ideologia che correva ha voluto che, per lunghi anni,
i suoi membri impersonassero il bene e l'acume che sempre abbisogna per individuarlo, mentre l'ideologia che
corre vuole,
da un po' di tempo in qua e chissà per quanto ancora, che i suoi membri impersonino il male e la
dabbenaggine che sempre abbisogna per praticarlo con successo. Come sei al cinema e come compare "uno
dell'FBI", puoi
già scommettere che più prossimamente agisca in nome di turpi motivi e che meno
prossimamente le cose non
gli vadano bene. Sono aspetti, se vogliamo, del sempiterno manicheismo che affligge noi tutti.
Non sfugge alla regola neppure Cuore di tuono, un film di Micheal Apted che riesce
ciononostante a piacere, raccontando cronaca di appena ieri, coinvolgendo, emozionando, suscitando in poche
battute prima lo sdegno
e poi la complicità dello spettatore.
Vi si parla di rispetto da mantenere verso culture e tradizioni rese minoritarie da chi ha avuto più fucili
e più
munizioni in mano. Gli americani hanno costretto in ghetti senza scampo sociale gli indiani, ne irridono e ne
conculcano i sentimenti, fanno scempio di chi si ribella. Il fatto che, in caccia di un assassino che falcidia
l'opposizione, ci mandino due agenti dell'FBI non prometterebbe nulla di buono se non fosse che a uno dei due
scorre sangue indiano nelle vene (per l'ennesima dimostrazione che l'Evoluzione se ne frega delle contraddizioni
ideologiche
e degli stadi ossequiosi della razionalità di chi la racconta...). E il DNA la sa lunga, più lunga
delle "versioni
ufficiali" del regime e più lunga di quanto ne sappia chi di questo DNA è il risultato finale -
tanto quanto basti,
comunque, per iniettare una minima dose di speranza in quel torvo mondo ove il capitale spadroneggia
speculando sul razzismo e sull'intolleranza.
Ben intonato sul filo della tensione, dei ritmi che alternano saggiamente dubbio e dramma, nonché delle
belle
immagini più studiate che colte, il film viene a meritare un posticino dignitosissimo fra coloro che, nel
coraggio
della denuncia e della lealtà delle argomentazioni, si susseguono sulla strada aperta tanto mirevolmente
da altri -
Peter Weir in testa - che tornano alla Storia dopo aver buttato le lenti deformanti fornite dal regime di ogni
tempo e paese.
Rimarrebbe a suo disdoro, alla fin fine, soltanto l'aver attinto al più ovvio repertorio manicheo
riproducendoci
una vicenda in cui l'FBI passa di nequizia in nequizia senza commettere, nell'esercizio delle sue funzioni, una
sola buona azione. Il che, come rimprovero, suona forse inconsistente, perché se e vero che mancano
buoni film
in cui la distribuzione dei valori non sia fatta in omaggio alle stereotipie dominanti, è anche vero che,
Storia
alla mano, è ben difficile andare a pescare il caso in cui l'FBI abbia combinato qualcosa di buono
mantenendosi
al di sopra di qualsiasi sospetto. E' forse uno di quei casi rari in cui al narratore viene lasciata poca o nessuna
libertà.
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