Rivista Anarchica Online
Dopo l'automobile
di Colin Ward
Esce in queste settimane in libreria il volume "Dopo l'automobile" edito da Elèuthera. Ne è
autore l'anarchico
inglese Colin Ward. Eccone qualche stralcio.
Volevo scrivere un libro anarchico sui trasporti. Non è un'impresa da
poco e non è facile collegare una cosa
all'altra. Dev'essere per questo che l'ultimo tentativo, intrapreso da George Woodcock, con il suo pamphlet
Railways and Society, risale al 1943. L'anarchismo è un'ideologia sociale che si batte per
una società senza
Stato, autogestita. Sostiene, come scriveva Kropotkin alla voce "anarchismo", dell'undicesima edizione
dell'Encyclopaedia Britannica, "che in assenza di un potere stabile, la società si
autoregolerebbe mediante un
eterno aggiustamento e riaggiustamento di equilibri fra molteplici forze e influenze" che si esprimono in "una
rete organica, composta da infinite varietà di gruppi e di federazioni di ogni dimensione e grado, locali,
regionali, nazionali e internazionali (temporanei o più o meno permanenti), che si propongono ogni
scopo
possibile: produzione, consumo e scambio, comunicazione, organizzazione sanitaria, istruzione, protezione
reciproca. difesa del territorio e via dicendo...e, ancora, per la soddisfazione di un numero sempre crescente di
bisogni scientifici, artistici, letterari e sociali".
I trasporti d'altra parte, nell'accezione corrente di trasferimento di gente e merci da un luogo a un altro, sono
un'attività pesantemente regolata dallo Stato. Tale controllo è stato imposto non nell'interesse
degli operatori
commerciali del ramo, ma anzi contro la loro forte opposizione e quella degli ideologi della "libera" impresa.
Ciò valeva per le spedizioni marittime e ferroviarie del XIX secolo. Samuel Plimsoll passò la
vita ad ascoltare
storie terribili di persone morte su imbarcazioni che non avrebbero mai dovuto prendere il mare, i cui armatori
non si facevano nessuno scrupolo nel mettere a repentaglio la vita dei viaggiatori e dell'equipaggio e
ammassavano intere fortune grazie al loro cinismo.
Dopo anni di sforzi ottenne l'approvazione del Merchant Shipping Act che imponeva l'ispezione di ogni natante
da parte del Ministero del commercio e l'istituzione della "linea Plimsoll" che, dipinta sul fianco della nave,
mostrava il limite massimo di carico. Ancora negli anni '80 veniamo a sapere di proprietari che appena possono
infrangono le regole per sfruttare al massimo i loro mezzi di trasporto.
Lo stesso accade con la ferrovia. Costruita in un'epoca in cui si credeva che le forze di mercato potessero
premiare ciò che era utile e buono, eliminando quanto vi era di cattivo e socialmente inutile, già
nel 1840 il
ministro del commercio fu costretto a introdurre una regolamentazione e un controllo, per la pura e semplice
salvaguardia del pubblico. Non è facile arrivare a conclusioni anarchiche. Parte del problema deriva
dal fatto
che abbiamo una sola parola per designare il traffico delle merci mondiale, gli spostamenti quotidiani per
raggiungere la scuola o il luogo di lavoro, l'industria del turismo di massa, le grandi migrazioni di gente in cerca
di una vita migliore e tutta quella serie di motivi quali gli acquisti o i rapporti sociali che spingono le persone
ad andare da un posto all'altro.
Nel XX secolo, i veicoli privati a motore hanno completamente trasformato i trasporti. Cinque sono state le
conseguenze di questo cambiamento. La prima è la pretesa di tutti noi di muoverci rapidamente, la
seconda il
mutamento profondo delle strutture architettoniche, la terza l'enorme mortalità, la quarta un massiccio
impoverimento delle limitate risorse naturali e l'ultima il contributo all'effetto serra e al consumo dello strato
di ozono.
Per quest'ultima conseguenza, non possiamo che affidarci a quanto dicono gli scienziati, anche se tutti possiamo
constatare il "normale" inquinamento atmosferico. Quale attenzione presteremo a questo pericolo universale,
visto che accettiamo le conseguenze letali dell'era automobilistica come uno dei tanti eventi della nostra vita?
C'è forse un adulto che non abbia mai conosciuto qualcuno la cui esistenza è stata distrutta da
uno "sfortunato"
incidente d'auto?
Quanto a noi, divulgatori più che esperti, abbiamo utilizzato un po' tutti questi dati, uno dopo l'altro,
nel
tentativo di indurre i nostri concittadini ad adottare mezzi sociali per provvedere alla mobilità personale.
Non
c'è infatti alcun dubbio che il ricorso a soluzioni individuali abbia distrutto la praticabilità di
quelle sociali. Lo
scopo di questo libro è solo di offrire un compendio dei dati raccolti dagli specialisti, citando fonti di
ogni tipo,
nella speranza di modificare il nostro modo di vedere la questione dei trasporti. Ci sono ambiti, come quello
aereo e navale, che non ho trattato, consapevole della loro sconfinata complessità, preferendo piuttosto
cercare
di guidare il lettore in una semplice esplorazione personale di ciò che tutti dovremmo conoscere. (...
)
Cavalieri solitari o carovane di carri?
L'economia politica tende a un egoismo consacrato; il socialismo è incline a porre la
società davanti a ogni
altra cosa... Ora, la critica moderna ha dimostrato che in un conflitto di questo tipo la verità non va
ricercata
nell'esclusione di uno dei due termini, ma nella loro sintesi...Non potremmo dunque, mentre aspettiamo la
chiave che il futuro senza dubbio ci offrirà, prepararci a questo grande cambiamento analizzando le
forze
opposte e volgendo lo sguardo alle loro qualità, sia positive che negative? Un'impresa simile, condotta
con
scrupolo e coscienza, se anche non ci portasse diritto alla soluzione, avrebbe almeno l'inestimabile vantaggio
di rivelare la natura del problema e quindi di metterci in guardia contro ogni utopia.
Pierre-Joseph Proudhon,
Il sistema delle contraddizioni economiche, 1846.
In ogni filosofia politica, compreso l'anarchismo, esiste una tensione fra soluzioni individuali e comunitarie.
Il trasporto, di merci o di persone, costituisce al contempo una parabola e un'epitome di questa tensione.
Vogliamo provvedere come collettività a questo bisogno universale o accettare che lo facciano i singoli
con le
loro forze individuali, "con il proprio vapore", come diceva una metafora rivelatrice del XIX secolo?
È questo precisamente il dilemma del XX secolo, di cui forse i nostri figli, nel XXI, troveranno la
soluzione.
Il problema nasce da un evento sociale particolare: l'invenzione e la successiva democratizzazione, per quanto
riguarda i Paesi ricchi, dell'automobile. Se il XIX secolo è stata l'Era della Ferrovia, il XX è
fuor di dubbio
quella dell'automobile.
Se per una sorta di svista dell'immaginazione inventiva il motore a combustione interna non fosse mai nato,
avremmo ugualmente problemi di trasporto, ma sarebbero molto diversi e molto più facili da affrontare.
Economicamente non ci sarebbero state difficoltà a creare una vasta rete ferroviaria, che si sarebbe
potuta
ramificare così da collegare ogni centro abitato; al loro interno poi le comunicazioni locali sarebbero
state
assicurate da un fitto sistema di tram, quelle "gondole del popolo" di cui parlava Richard Hoggart. Lo
smistamento delle merci dalle stazioni di arrivo sarebbe rimasto affidato a compagnie di carri a cavallo di
proprietà delle ferrovie (nel 1947 le scuderie di King's Cross erano ancora in uso), di mezzi a vapore
e chiatte
elettriche.
Invece il motore a combustione interna aspettava solo la nascita del suo inventore. Tutti volevano una carrozza
senza cavalli e nel 1884 sia Daimler che Benz contemporaneamente furono i primi ad arrivare a una soluzione
funzionante. Fu la scintilla che dette il via alla progettazione di piccole auto a vapore (gli appassionati di vetture
d'epoca non finiscono di ammirare l'accelerazione rapida e silenziosa della Stanley Steamer del 1904) e di quelle
elettriche che stranamente, a dispetto di tutti i progressi compiuti nel XX secolo nel campo dell'ingegneria
elettrotecnica, non sono mai riuscite a superare il problema del peso e della ricarica della batteria.
Solo in questi ultimi decenni del nostro secolo gli effetti ambientali delle automobili hanno cominciato a
ricevere una seria considerazione da parte del pubblico. Negli anni '70, quelli che parlavano delle conseguenze
degli additivi a base di piombo nella benzina venivano trattati da eccentrici e allarmisti. Dal 1980, iniziarono
ad avere un certo peso sulle legislazioni nazionali. A quel tempo si manifestò una certa preoccupazione
attiva
per gli effetti degli idrocarburi incombusti, del monossido di carbonio, degli ossidi di azoto e via dicendo,
prodotti in enorme quantità dalle automobili. I fabbricanti ebbero l'occasione di ammantarsi in
virtù osservando
leggi tardive e mettendo in produzione modelli con o senza marmitta catalitica, a seconda del mercato su cui
dovevano essere venduti.
Ma i nefasti effetti sull'ambiente della proliferazione delle auto, non vennero rilevati se non quando ormai troppe
persone erano completamente dipendenti dalle macchine. La rivoluzione dei trasporti e la trasformazione
dell'ambiente fisico risalivano a molto prima che qualcuno cominciasse a preoccuparsi delle conseguenze
sull'atmosfera, e nel frattempo tutti noi eravamo diventati meno sensibili al prezzo di vite umane. E' il trionfo
finale di quello che Proudhon chiama la consacrazione dell'egoismo, di quanto cioè ha sistematicamente
minato
ovunque la possibilità economica di sistemi di trasporto pubblico (...).
Quell'autobus mezzo vuoto Il contributo più interessante alla reazione
individualistica è quello di Peter Neville, collaboratore della stampa
anarchica. Dovendo andare a un incontro degli Amici della Terra, che si teneva in un luogo piuttosto distante
dalla linea ferroviaria, prese la propria automobile.
Pioveva molto forte e quando arrivai alla riunione incredibilmente non trovai un posto dove mettere
la
macchina, perché il parcheggio era stracolmo. Quando entrai, vidi che tutti erano belli asciutti. Solo
dopo un
po' ne capii la ragione: ognuno era arrivato in automobile. Incontro spesso compagni cosi, che pontificano
senza sosta su ciò che secondo loro bisognerebbe fare della propria vita, delle risorse economiche e dei
propri
beni aspettandosi di veder accolti tutti i loro atteggiamenti e le loro prescrizioni, pronti a insulti rabbiosi in
caso contrario. Se poi però vai a scavare più a fondo nella loro vita scopri talvolta che su
ciò che li riguarda
non sono poi così onesti.
Continuava poi spiegando come fosse convinto che non sarebbe riuscito a salire sull'autobus al ritorno dalle
ex
officine Austin di Longbridge negli anni '60, finché non scoprì che era mezzo vuoto
perché tutti i lavoratori
tornavano a casa in macchina. Diceva inoltre che contrariamente alle immagini retoriche, "la gran parte dei
membri della classe operaia in Gran Bretagna oggi possiede una casa, un'automobile, vive in famiglie
monogame ed è assai poco convinta delle proteste di coloro che considera appartenenti alla "classe
media","
concludendo che
Allo stato attuale delle cose, una società anarchica è una società che estende
la libertà dell'individuo e uno dei
modi migliori di farlo è avere un autoveicolo. Molti compagni a quanto pare vedono l'anarchismo
nell'ottica
restrittiva di una specie di Stato assistenziale. Sicuramente dovremmo cercare altri sistemi per estendere la
nostra libertà, invece che altri modi per circondarci di restrizioni.
Uscite di sicurezza
II movimento anarchico non può sfuggire a quella contraddizione che è la rovina di ogni
movimento
rivoluzionario, politico o sociale, minoritario: privo di potere politico, qualunque soluzione formuli per
risolvere i mali della società, può essere messa in pratica solo da quella stessa struttura politica
che vorrebbe
distruggere. Proprio perché, giustamente, rifiutiamo qualsiasi potere politico, saremo sempre inefficaci
poiché,
per quanto si sia ben riflettuto sulle questioni del momento, è la corrotta amministrazione della specifica
società esistente che bisogna forzare ad accettare le soluzioni ai loro problemi da noi proposte e a
renderle operative....
Possiamo fare opera di propaganda, portare degli esempi... ma nel campo delle riforme sociali possiamo solo
promuovere idee e azioni tra i militanti politici fino a quando la burocrazia politica decide di accettarle nel
suo stesso interesse".
Arthur Moyse: Prophets without honour, "Freedom", 27 novembre 1971.
Riusciremo, nel XXI secolo, a sfuggire all'era automobilistica del XX? L'automobile vi si è
insinuata come
giocattolo da ricchi, condannata dalla gente normale come un'arma letale sguinzagliata per le strade. Man mano
che il secolo procedeva, è stata considerata sempre più una necessità per tutte le
famiglie, distruggendo
l'economicità di altre forme di traffico, trasformando l'ambiente e facendo sì che le sue vittime
fra gli altri utenti
della strada venissero considerate responsabili della propria stessa vulnerabilità. Grosse industrie sono
sorte per
soddisfare le sue esigenze.
Le idee della gente possono cambiare, mentre invece è difficilissimo cambiarne le abitudini. Eppure,
milioni
di decisioni individuali hanno portato al nostro asservimento alla macchina.
Riusciranno milioni di libere scelte a liberarcene?
Se non è un deterrente la perdita di vite provocate dalla motorizzazione, si può pensare che le
previsioni degli
scienziati sull'innalzamento della temperatura del pianeta e l'effetto serra basteranno a far mutare le abitudini?
Tutte le informazioni sulle varie emissioni tossiche dei veicoli sono state pubblicate vent'anni fa, ottenendo
come unico effetto un abbassamento delle tasse sulla benzina "verde" e la prospettiva di marmitte catalitiche
obbligatorie, misure entrambe che non hanno niente a che fare con l'effetto serra. Dobbiamo riconquistare
l'indipendenza dall'auto. In una società dominata da un governo centrale, questo significa una politica
che
invogli la gente a tornare a un sistema di trasporto pubblico migliorato intervenendo sulle tariffe. L'alternativa,
di intervenire a livello fiscale sul possesso della macchina o sul carburante, o di sofisticati dispositivi per far
pagare la strada, si limiterebbe a penalizzare i poveri, lasciando le arterie di comunicazione in mano ai ricchi,
a coloro che amano l'ostentazione e ai guidatori con la nota spese in tasca. Alcuni di noi da anni invocano
la
gratuità dei mezzi pubblici nelle città e nei paesi, sia per ragioni ideologiche che come
soluzione, la meno
costosa di tutte, al problema di tirare la gente fuori dalle automobili. Il pendolo dell'opinione pubblica in questo
momento è lontano da questa ipotesi, ma tornerà ad avvicinarvisi quando gli ineludibili dilemmi
di una società
di individui motorizzati costringeranno il governo a tornare sui suoi passi.
L'INCIDENTE
di Carlo Capuano (da "Il Mecenate")
Il paesaggio scorreva morbido e ordinato attorno ai finestrini, reso più vario dalla velocità
dell'auto.
Anche lo scambio di affettuosità tra i due aiutava a rendere più gradevole la gita. A un
tratto, per un'incauta manovra, il giovane alla guida investì un cane e lo scaraventò
violentemente
oltre il ciglio della strada. Fu un agghiacciante stridore di freni. L'auto si fermò. La ragazza
ebbe un sobbalzo, si nascose istintivamente il viso fra le mani, mentre presa ancora dallo
spavento, esclamò: - Che hai fatto? - Col capo chimo incapace di guardarsi attorno, il giovane rispose
con
sconforto: - E' terribile, non riesco a spiegare, è stata una disgrazia. - Sembravano impietriti da una
colpa che impediva qualsiasi movimento, finché fu la ragazza a riprendersi
e a ritrovare per prima una naturale sicurezza. - Bisogna scendere, - disse abbassando il finestrino, - bisogna
che qualcuno vada a vedere. - Il giovane scese e si portò dalla parte che aveva colpito il cane.
Controllò il cristallo delle luci, la
cromatura, ispezionò l'intero parafango e ripassò più volte la vernice con i
polpastrelli. Dal finestrino aperto la ragazza chiese con impazienza: - E' successo niente? - - Niente,
neppure un graffio, neppure un piccolo segno, - rispose l'amico con incredula soddisfazione,
continuando a lucidare la vernice con la manica della giacca. - E' andata bene, - osservò felice la
ragazza, - allora torna subito alla guida che dobbiamo ripartire. - Il giovane rimise in moto, sorrise e si
allontanò veloce, mentre il cane guaiva ancora offrendo il suo
lamento dal fondo del fosso per un dolore che non interessava nessuno. |
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