Rivista Anarchica Online
Berneri federalista
di Alessio Vivo
Un libro più attuale di quello che raccoglie numerosi scritti di Camillo
Berneri sul federalismo, curato da
Patrizio Mauti e proposto con intelligenza dalla Edizioni La Fiaccola di Ragusa (Camillo Berneri -
Il federalismo
libertario, Edizioni La Fiaccola, Ragusa, luglio 1992) è oggi difficile da trovare nel fiume
cronicamente lento
dell'editoria italiana.
La lucidità della visione del problema storico e politico costituito dalla concezione federale, la
capacità
berneriana di sondare in profondità questioni teoriche (che oggi nel mondo e in Italia sono ancora
quantomai
aperte, per il riapparire scottante di rivendicazioni di autonomia da parte di regioni ed etnie) collegandole a
possibili soluzioni pratiche, non possono lasciare indifferente chiunque tenti di comprendere il presente, pur non
condividendo quell'impostazione, e si sforzi di prevedere e di essere partecipe del futuro. Infatti i saggi di
Berneri raccolti nel volume e pubblicati su varie riviste libertarie, vanno al cuore del problema costituito dallo
Stato sovrano nazionale accentrato, della sua storia, che non è molto lunga, (soprattutto in Italia), ma
ben
definita nell'arco del suo ciclo di vita, del quale noi oggi abbiamo il privilegio di vedere la fine imminente.
Questo testimonia quanto Berneri andasse oltre i suoi tempi. Berneri sentiva già allora, quando scriveva
quegli articoli-saggio, quella puzza di cadavere dell'idea dello Stato nazionale unitario che noi sentiamo oggi.
Egli
dimostra in quegli scritti che lo Stato nazionale unitario e accentrato è condannato alla paralisi,
sovraccaricato
di funzioni com'è, che lo portano a diventare inevitabilmente autoritario, incapace di soddisfare le
esigenze
diverse di regioni ed etnie, ed è tendenzialmente totalitario, perché omogeneizzatore. Per sua
natura esso
soffoca la particolarità dell'autonomia e delle scelte, nega il diritto alla diversità, macina la vita
delle
popolazioni, imponendo l'uniformità legislativa e amministrativa a territori che hanno una storia e
spesso una
cultura diversa, crea una burocrazia mastodontica e incompetente, perché pretende di occuparsi di
tutto.
L'amministrazione di questo Stato si carica di parassiti che non conoscono le esigenze locali, che avendo tante
responsabilità finiscono per non averne nessuna, permettendo loro di spadroneggiare impunemente
generando
solo oppressione per i sottomessi. Già ai suoi tempi la propaganda unitarista sosteneva che
l'accentramento è
inevitabile in una società moderna (oggi gli statolatri unitaristi dicono "complessa") ed urbana. Berneri
invece
denunciava la loro ignoranza della realtà storica e politica, dimostrando che il decentramento ha
ragione di
essere ancor più in una metropoli che in un paese, confrontando le disfunzioni esistenti in città
senza autonomia
amministrativa e metropoli autonome, con amministrazioni piccole, competenti e controllabili. Solo oggi (dopo
la crescita economica) sappiamo, ma Berneri l'aveva intuito, che la tesi unitarista va contro la realtà:
perché la
crescita dei bisogni sovraccarica lo Stato di funzioni che non può svolgere, lo ingigantisce aumentando
anche
la sua corruzione, l'oppressione delle funzioni produttive. In pagine bellissime ed oltremodo attuali, Berneri
descrive il ruolo degli scandali che derivano dal complicato e parassitario meccanismo sul quale si basa
l'accentramento statale, tanto più camorristico, dedito a sperperi e ladrocini quanto più ci si
avvicina ai livelli
superiori dell'amministrazione.
Anticipando addirittura temi scientifici dell'odierna scienza politica, Berneri collega burocrazia e accentramento
al parlamentarismo. Anche il parlamento unico nazionale finisce per calpestare le particolarità e le
esigenze delle
popolazioni dislocate sul territorio, perché non può avere né il tempo né la
competenza per risolvere i complessi
problemi amministrativi, economici e giuridici delle diverse regioni e dei comuni. La prova di queste tendenze
Berneri la trova soprattutto nella storia italiana, della quale dimostra un'approfondita conoscenza.
L'Unità
nazionale in Italia è avvenuta sotto la bandiera dell'accentramento monarchico-unitario che stava alla
base della
conquista piemontese. L'enorme potere del governo centrale si è conservato prima nel regime liberale
e poi in
quello fascista (oggi sappiamo che non è mutato nemmeno nel secondo dopoguerra) e Berneri individua
giustamente in esso una continuità ininterrotta. Anche il fascismo è arrivato a Roma per
l'assenza di autonomie
locali e comunali dotate di milizie proprie che avrebbero potuto opporvisi. Gli attacchi ai municipi furono
possibili solo per la complicità dei prefetti, emanazione del governo. Lo Stato Nazionale accentrato ha
prodotto
(come previsto da Proudhon) i massacri di massa dei conflitti mondiali, ma anche il Fascismo e il regime
burocratico che ancora oggi subiamo. Come già Gaetano Salvemini, anche Berneri descrive il disastro
economico, della corruzione, provocato nel Meridione dall'unità amministrativa.
Si è trattato di una vera annessione operata con le armi, alla burocrazia e ai ministeri di Roma. Se
Berneri avesse
potuto vedere la repressione del movimento separatista siciliano dopo il secondo Conflitto mondiale, avrebbe
trovato conferme alle sue analisi. Per lui i problemi della vita economica e sociale del popolo italiano hanno
una fisionomia propria, a seconda delle regioni, che decenni di tentata omogeneizzazione (a cui va aggiunta,
come sappiamo oggi, quella culturale dell'espansione economica, il sacrificio dei dialetti, ecc.) non sono riusciti
a sopprimere. La pretesa di soffocare, tipica dello stato nazionale, l'aspirazione decentratrice ed autonomista
del popolo italiano, legata alle sue condizioni storiche ed etnografiche, è una violenza che secondo lui
non
avrebbe potuto aver successo nel tempo. La sua critica antistatale e anarchica presenta molti punti di contatto
con quella del federalismo repubblicano della tradizione di Ferrari, Cattaneo, emarginati nella cultura politica
italiana da una fobia antiautonomista feroce. Le critiche mosse a Berneri nell'ambito dell'anarchismo italiano
per questa sua vicinanza teorica, appaiono però oggi del tutto ingiustificate. Egli infatti non abbandona
certo
la sua concezione federale integrale che deriva dalla tradizione proudhoniana- bakuniniana- pisacaniana e
dall'esperienza della Comune di Parigi, ma pensa che la realizzazione degli ideali di Cattaneo sia il primo passo
realistico e necessario sul quale può trovare un innesto il programma del federalismo libertario.
Quest'ultimo
non si accontenta certo della restaurazione dell'indipendenza regionale, ma vede l'autonomia amministrativa
e soprattutto legislativa delle varie regioni (in possesso anche di milizie popolari proprie) come atta a favorire
quella dei singoli comuni, dei loro consigli autonomi, nonché la loro volontà di reciproca
associazione e aiuto.
Il comune che non è più una succursale dello Stato.
Il comunalismo allora, come in Kropotkin (al quale dedica quella autentica perla tradotta in varie lingue
contenuta al centro della raccolta), ma con significativi aggiornamenti del suo pensiero, diventa il fulcro del
federalismo libertario. Solo in esso si realizza pienamente l'eliminazione dell'alienazione politica. Il cittadino,
come diceva Salvemini, si abitua a contare solo sulla propria iniziativa e non su quella di lontani e irresponsabili
rappresentanti. L' uomo riacquista la propria individualità perché riesce a decidere del proprio
destino e può
tornare a collaborare con altri uomini solo ora che il suo rapporto con l'altro non passa più solo
attraverso il
decisore centrale che regola tutti i suoi rapporti con i suoi vicini. ll governo centralizzalo dello Stato nazionale
si basa infatti, usurpando tutte le decisioni, sulla reciproca estraneità fra i cittadini. Questa è
la più straordinaria
risposta che Berneri può dare ancora oggi, a quarantacinque anni dalla sua morte, a quei paladini dello
Stato
unitario accentrato che parlano di "solidarietà" con le regioni meridionali in Italia: una
solidarietà che non potrà
mai esistere con questa struttura politica.
"Congresso comune per le cose comuni, ma ogni fratello padrone in casa sua" dice Berneri. Solo in seguito
potrà
agire la solidarietà sociale, in libere federazioni e con liberi accordi, dai più vicini fino ai
più lontani. L'idea di
patto rinnovabile periodicamente fra comuni avvicina Berneri alle modernissime concezioni del neo federalismo
(i patti federali vanno rinegoziati in continuazione e volontariamente dalle comunità, data la morte delle
"federazioni coatte" che non ponevano alcun limite di tempo allo "stare insieme", e l'invecchiamento di formule
come quella statunitense). La sua continua insistenza sulla necessità di studiare nuove forme, di non
fermarsi
alle dottrine del passato, anche a quelle dell'anarchismo, lo pone ad un livello altissimo nel dibattito politico dei
nostri giorni, sebbene pochi se ne accorgano.
Berneri non ha potuto vedere il secondo Dopoguerra perché la sua vita e la sua intelligenza sono state
spezzate
dai più feroci fra quei "conservatori di ogni colore" (come li definiva), che difendono il principio di
unità
politica e di totale, esasperato e totalitario accentramento (gli staliniani). Avrebbe però certamente
plaudito al
risorgere di quelle forze autonomiste e federaliste, ispirate al federalismo repubblicano e liberale, che oggi si
vanno organizzando nella vita politica italiana. "Seguiamo le correnti autonomiste che vanno determinandosi
nella vita politica odierna, con attenzione e spirito critico", diceva. E anche alle forze libertarie assegnerebbe
il compito di affiancare quelle forze federaliste, per decenni emarginate, per "creare in ogni comune un centro
di resistenza contro le forze tendenti all'accentramento statale". Da poche parole il regalo di un insegnamento
e di un'eredità limpide come il suo pensiero.
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