Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 195
novembre 1992


Rivista Anarchica Online

Morire di amianto
di Elisabetta Minini

Impiegato per decenni nella produzione di migliaia di manufatti, l'amianto è il responsabile di temibili malattie

Ironia della sorte. Quando nei primi anni venti la parola "amianto" (asbestos) fece la sua comparsa a caratteri cubitali sul sipario dei teatri americani, qualcuno volle decifrarla come "benvenuto" in latino. E in effetti la scritta era intesa a celebrare l'utilizzo del materiale su larga scala, anche per le tende a prova di fuoco del palcoscenico.
L'amianto, già conosciuto dai greci e dai romani, entra nell'industria alla fine del 1870, quando nel Quebec viene aperta la prima miniera per estrarre circa 300 tonnellate annue di minerale. Da allora la crescita è stata esponenziale: 30.000 tonnellate nel 1910, 500.000 a metà degli anni '30, oltre cinque milioni di tonnellate alla fine degli anni '70. L'etichetta che lo caratterizzava negli anni '60 come "il minerale dai mille usi" è diventata presto obsoleta perché ora l'amianto è impiegato in oltre tremila prodotti industriali, soprattutto nell'edilizia: rivestimenti antincendio, isolanti termo-acustici, condutture, tubi per il trasporto dell'acqua, tetti, pavimentazioni, soffittature pannelli e inoltre nell'industria navale, centrali elettriche, trasporti (in particolare carrozze ferroviarie), nell'industria tessile, della plastica, chimica, cartaria, orafa e in odontoiatria.
L'enorme produzione di manufatti di amianto sicuramente supera le nostre aspettative di trovarlo in pochi oggetti di uso quotidiano come i guanti da forno, il copri-asse-da-stiro o i famosi tetti ondulati Eternit. (Probabilmente anche questa vecchia macchina per scrivere ne sa qualcosa).
L'utilizzo massiccio degli anni '60-'70 1o ha portato nelle case, negli ospedali, nelle scuole, sui treni; in alcuni casi, nei luoghi vicini alle miniere di estrazione, si può dire che sono sorte intere città di amianto, presente ovunque negli edifici, per le strade, nei campi da bocce, nelle aie dei contadini.
Un esempio è Casale Monferrato (AL) e, nel Canada, la cittadina di Asbestos, omonima.
Questa triste ricognizione diventa tragica perché, come molti sanno, l'amianto è un "materiale imputato". E' una causa certa di vari tipi di tumore: polmonare, gastro-intestinale, laringe, pleura e peritoneo (mesotelioma) e della malattia che provoca irrigidimento del tessuto polmonare e perdita della capacità respiratoria (asbestosi). Da tempo sono noti gli effetti dell'esposizione ad amianto: nel 1924 il fisico inglese Cooke diagnosticò la prima morte per asbestosi su una ex-operaia tessile e da allora gli studi sulle malattie del lavoro hanno sempre riscontrato una altissima incidenza della mortalità per tumore ai polmoni presso i lavoratori a contatto con l'amianto, estesa ai loro familiari.
Ad esempio, la ricerca condotta nel 1962-63 a New York da un gruppo di medici della scuola "Monte Sinai" su 1117 lavoratori nel settore "materiale isolante" rivela che una buona metà di questi soffriva di asbestosi, mentre tra quelli esposti per più di vent'anni, la percentuale sale all'87 percento.
Anche Casale Monferrato è stata al centro di indagini sulla salute visto che qui si è lavorato e utilizzato l'amianto per ottant'anni. Non mi addentro qui nei dettagli di dati e statistiche; basti sapere che le morti per tumore hanno superato di molto la media nazionale (su 3367 persone, 164 decessi in più rispetto alla cifra "attesa" di 190). Questa altissima incidenza riguarda non solo la popolazione considerata esposta in fabbrica, ma anche quella comune abitante nei paraggi o lungo il percorso di trasporto del materiale dalla miniera di Balangero (TO) fino al posto di lavorazione.
L'amianto entra nell'organismo soprattutto per inalazione, sotto-forma di polvere, oppure più raramente per ingestione, nell'acqua e nel cibo. E' la sua struttura fisica a renderlo così pericoloso, perché le sue fibre lunghe e sottili si introducono nei tessuti e alterano il funzionamento delle cellule. Una volta entrate negli organi, le fibre di amianto sono molto difficili da eliminare e possono sfaldarsi in senso longitudinale, generando così fibre di diametro più piccolo.
In natura l'amianto si trova all'interno della roccia-madre, da cui va asportato. Ce ne sono diversi tipi, suddivisibili comunque in due categorie: serpentino (silicato di magnesio) e anfiboli (silicato di calcio e magnesio). Il primo, detto anche asbesto bianco, è quello più usato e ritenuto meno dannoso; del secondo tipo sono invece l'asbesto blu e quello bruno, ora strettamente limitati.
Dove si produce amianto: 50% in URSS, 30% Canada ,5% Zimbabwe, 5% Sud Africa ,3% Cina, 2,5% Italia, 2% USA, Brasile. Questa mappa, aggiornata alla fine degli anni '70, è destinata a trasformarsi per l'ingresso nella produzione dei paesi in via di sviluppo, una vera ancora di salvezza per le nazioni industrializzate che hanno così compensato alle cadute di mercato degli ultimi dieci anni.
Da quanto detto finora circa i rischi della lavorazione e uso dell'amianto, è evidente che la produzione si è dovuta imporre qualche limite o precauzione, nonostante le scandalose campagne di copertura del pericolo commissionate dalle industrie produttrici in collaborazione con equipes di medici professionisti e pubblici funzionari. Spesso il problema è stato così sapientemente spostato dall'asse della salute pubblica e sicurezza, da apparire solo come una scaramuccia accademica fra rivali di categoria medici, avvocati, amministratori.
Dagli anni '30 ai '70 le due maggiori industrie manifatturiere americane la Johns-Menville, di New York e la Raybestos-Manhattan di Bridgeport, colpite da denunce dei lavoratori per aver loro nascosto i rischi cui sottoposti, hanno risposto con una pervasiva campagna di occultamento e contraffazione dei dati.

Migliaia di persone
Si è spesso invocata la formula dell'"uso controllato dell'amianto", necessaria per poter rendere accettabile una pratica rivelatasi commercialmente vantaggiosissima ma socialmente deleteria.
Questo nei paesi industrializzati ha significato l'introduzione di una normativa di maggiore sicurezza, senza peraltro pretendere di eliminare del tutto il rischio perché evidentemente ciò richiederebbe la fine di questo tipo di industria. Dunque, ammesso che la legge esistente risulti, diciamo così, "adeguata", è evidente che la sua mancata applicazione e consapevolezza da parte degli interessati la vanifica immediatamente. Comunque, i riferimenti legislativi in Italia sono questi : DPR 303/56 art. 15 sulla pulizia dei locali, art. 48 sull'obbligo di notificare alla USL la costruzione o modifica di locali; DPR 1124/65 art. 157 sull'obbligo della visita medica e assicurazioni; DL 277/91, il più recente, sui limiti delle sostanze nocive (approccio capzioso, questo dei limiti, come si è visto spesso), sulle misure di emergenza, controlli sanitari, sanzioni, informazioni etc.
Sul decreto 277/91, che vorrebbe essere il più avanzato in materia di amianto, i sindacati non sono completamente soddisfatti: non si applica al settore della navigazione marittima e aerea, nega il principio dell'impiego della tecnologia più avanzata per salvaguardare la salute, stabilisce pene troppo blande, è vago sui valori limite. L'unica vera battaglia contro i rischi dell'amianto mira alla sua progressiva eliminazione da ogni ciclo di produzione. Esistono dei sostituti come le fibre di vetro o di legno - quanto alle altre fibre di roccia, scoria, ceramica, non è comprovata la loro sicurezza.
Per oltre un secolo la produzione di amianto è stata un consapevole attentato, riuscito, alla salute e alla vita pubblica: lo testimoniano, prima ancora che le imponenti cifre, le vicende particolari di migliaia di persone, le loro comuni inaudite sofferenze nel nome di un profitto industriale senza dubbio al di sopra di loro. Ora, oltre a tentare di rimediare ai danni di un utilizzo così sconsiderato di un materiale nocivo, cosa niente affatto facile, si è disposti a bandirlo dalla circolazione e a resistere nel contempo alla tentazione di venderlo o svenderlo ai paesi poveri?

LEGGERE L'AMIANTO
Due libri molto diversi tra loro, ma in qualche modo complementari sull'argomento, sono:

"Breath Taken: Landscape and biograpy of asbestos", catalogo di una mostra realizzata in 7 anni di lavoro del fotografo Bill Ravanesi.
La parte fotografica è innanzitutto una testimonianza in senso diacronico di persone che si sono ammalate per esposizione all'amianto, Più qualche immagine da paesaggio industriale "disumanizzato". Il resto comprende interventi scritti di giornalisti, medici "esperti" sul tema.
Trattandosi di una Pubblicazione americana (1991) non è facile da reperire. Chi fosse interessato ad averla può
contattare l'editore: Centez for Visual Arts in the Public Interest Inc., 348 Congress St., Boston, Ma. 0221O, USA.

"No all'amianto - Manuale di difesa e di iniziativa contro i rischi e l'uso di amianto".
È uscito come supplemento al n.° 79 (nov-dic. '91) della rivista di Medicina Democratica, a cura di questa associazione e della CGIL-commissione amianto. E' una sorta di prontuario, diviso in due parti: una introduttiva e una di specifica applicazione al mondo del lavoro. Presenta la normativa vigente, integrata da spiegazioni e commenti, e i provvedimenti immediati ad uso dei lavoratori per tutelarsi di fronte a un atteggiamento irresponsabile del datore di lavoro.

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UN CASO EMBLEMATICO: il nuovo mercato del Canada nel terzo mondo

Il Canada è il primo esportatore di amianto. Nel passato, gli acquirenti erano soprattutto gli USA e in genere i paesi industrializzati. Con il riconoscimento dei rischi, con oltre centomila persone morte negli Stati Uniti, questo flusso è calato. Il Canada ha cominciato a guardare ai paesi in via di sviluppo, in particolare Asia, Africa e America Latina, dove l'ignoranza dei rischi, dovuta ad una ancora scarsa applicazione, può risultare vantaggiosa.
E' il caso tipico di una tecnologia screditata nel primo mondo, che viene trapiantata nei paesi più poveri, con la scusa appunto che sono in via di sviluppo, quindi se non li aiutiamo noi...
L'incremento dell'uso dell'amianto nei paesi del terzo mondo, sollecitato dai paesi estrattori, non è stato accompagnato da un sistema di sicurezza per i lavoratori. In Brasile ad esempio non ci sono nelle fabbriche strumenti di ventilazione e i valori limite sono venti volte più alti di quelli nordamericani. I brasiliani impiegati in questo settore sono circa 30mila e in condizioni così nocive che qui l'asbestosi viene diagnosticata appena dopo 10 anni di lavoro.
Non è ancora stato vietato l'amianto a spruzzo.
In Egitto i lavoratori lo maneggiano senza protezione.
Insomma, l'uso incontrollato dell'amianto è stata la norma in molti paesi del terzo mondo; qualcosa fa pensare che il rischio si appresta ad essere ridotto? Il compito sarebbe dei produttori, ma come possiamo aspettarci che questi si sobbarchino i costi di misure di controllo straordinarie, quando neppure esiste una qualche pressione da parte dell'industria o delle autorità governative?
Dunque anche qui risulta chiaro che la produzione dell'amianto è in declino, perché non può assicurare condizioni di sicurezza accettabili.
L'unico modo per renderlo sicuro è di bandirlo.

(da Barry I. Castleman, Canada's growth market: asbestos cancer in third world)