Rivista Anarchica Online
Riforme e schedature
di Carlo Oliva
L'Italia, si sa, è quello strano paese in cui l'incarico di studiare una
riforma radicale del sistema
politico-istituzionale è stato affidato a una commissione controllata dalle forze politiche che da sempre
gestiscono,
e non senza loro vantaggio, il quadro istituzionale che va riformato. E' ovvio che a noi estranei il risultato dei
suoi
sforzi potrà sembrare, talvolta, un po' surreale. Per esempio, non so se abbiate seguito tutti le vicende
della
"riforma" del finanziamento pubblico dei partiti, un istituto che i cittadini, per ovvie ragioni, non sopportano
più
e che tutti i partiti, con sospetta unanimità, hanno dichiarato di voler trasformare radicalmente. La
materia, mentre
scrivo, è ancora allo stato fluido, ma sembra che in sostituzione dell'elargizione diretta prevista dalla
legge attuale,
su cui incombe comunque un referendum che le lascerebbe ben poche speranze di sopravvivenza (e che,
soprattutto, ha certi risvolti sgradevoli, prevedendo per chi non si attiene alle sue pur rilassatissime norme, delle
ipotesi di reato penale) sarà istituito un "fondo per la democrazia" finanziato mediante un insignificante
prelievo
dal gettito IRPEF, una percentuale minima di cui i cittadini non si accorgeranno nemmeno, qualcosa come il
5
per mille o giù di lì. La quota del prelievo, veramente, non è stata ancora definita,
ma visto che il 5 per mille è la media quasi esatta
tra l'1 richiesto dagli onesti liberali e il 9 preteso dagli avidi socialdemocratici, due partiti noti per lo zelo e la
competenza con cui svolgono il loro gioco delle parti a favore degli interessi altrui, si tratta di un'ipotesi
altamente
probabile. Bene, pochissimi tra quanti hanno dato la notizia si sono presi la briga di fare qualche calcolo
elementare, ma se lo avessero fatto avrebbero scoperto che la cifra in questione ammonterebbe a un migliaio
abbondante di miliardi, al posto dei 150 circa distribuiti attualmente: come riforma moralizzatrice, ammetterete
che non è niente male. Tanto più che, per ovvi motivi di equità, non sarà lecito
a nessuno sottrarsi al prelievo,
come non è lecito oggi sottrarsi all'analogo prelievo a favore della chiesa cattolica o delle
organizzazioni similari.
Al massimo, sembra, si potrà decidere, indicandolo sul modello 740, a chi destinare il proprio obolo,
il che
indubbiamente aiuterà molto a realizzare quella schedatura generale dei cittadini che è da
sempre nei voti di
qualsiasi regime. Pazienza, direte voi, un modo per ribellarci lo troveremo lo stesso, magari non andando
a votare. E' un vecchio
pallino degli anarchici e forse stavolta faremo qualche proselite in più. Errore: il voto in Italia è,
a norma di
Costituzione, un "dovere civico", e non occorre seguire la stampa anarchica per aver notizia di un infittirsi dei
casi di cittadini che, non essendo andati a votare l'ultimo 5 aprile, sono stati convocati in comune e si sono
sentiti
intimare di fornire le giustificazioni del caso. Sì, d'accordo, anche la normativa elettorale è in
corso di riforma,
ma se riuscirete a trovare in tutti i progetti in discussione il riferimento a un qualsiasi comma o paragrafo che
abolisca le norme in base a cui chi non ha votato è convocabile dal sindaco (e schedabile, mediante
apposita
annotazione sul certificato di buona condotta) siete molto più bravi di me. In fondo, anche chi si
azzardasse a non indicare sul 740 a quale partito (o a quale chiesa) va devoluto il suo zero
e qualcosa per mille, dovrebbe soggiacere a un analogo provvedimento. Poche balle: se il voto è
obbligatorio,
anche finanziare i partiti dovrebbe esserlo, se no per chi mai si potrebbe votare? E viviamo in uno stato di
diritto
e in uno stato di diritto chi non adempie agli obblighi di legge sa di dover affrontare le debite conseguenze.
Sì,
ma possiamo davvero fidarci della magistratura? Fino a ieri esprimere la pur minima critica al suo operato
era equiparato ipso facto a un gesto di terrorismo o,
come minimo, all'apologia di insurrezione armata. Oggi, sembra che le cose stiano cambiando. Un paio di
settimane fa, in una sua trasmissione a Canale 5, il celebre Sgarbi ha duramente attaccato il giudice Di Pietro.
Gli
ha cantato chiaro e tondo che non sa neanche parlare un italiano corretto. Ora, non che io consideri il giudice
Di
Pietro quella sorta di eroe popolare che un giorno sì e un giorno no ci descrive il buon Giorgio Bocca,
ma mi
sembra che incarni, come dire, un caso interessante di contraddizione tra i poteri dello stato, una contraddizione
che a me, critico dello stato, non è affatto indifferente. E adesso mi vengono a dire che è un
povero analfabeta. Da un liberale come Sgarbi, confesso, questa non me la sarei proprio aspettata. Non tanto
per la banalità
dell'argomentazione (quella di uso improprio della lingua italiana è l'imputazione classica di chi non
sa che pesci
pigliare: rientra, stringi stringi, nella categoria delle "accuse di classe", risolvendosi in un addebito di
appartenenza
a una categoria socialmente inferiore, che è una cosa che oggi si preferisce non dire), ma per la sua
inopportunità. Che un inquisito (e non vorrei sbagliare, ma mi sembra proprio che Sgarbi, nel suo
piccolo, sia stato inquisito)
attacchi un giudice è cosa assai poco fine. Controproducente, al limite. Guardate cosa è
successo al povero Craxi:
lo scorso autunno era già abbastanza nei guai, ma solo quando si è messo a borbottare oscure
minacce contro i
suoi giudici ha cominciato davvero ad andare a picco, e più agli occhi dell'opinione pubblica che a
quelli della
magistratura. Ma è anche vero che il poveraccio non aveva molte possibilità di scelta, fine o
non fine, producente
o controproducente. Con i tempi che corrono, qualcuno deve avergli raccomandato di dire qualcosa, qualsiasi
cosa, ma in fretta. Farsi difendere da Sgarbi a Canale 5: beh, consoliamoci, devono essere ridotti alla frutta.
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