Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 2
marzo 1971


Rivista Anarchica Online

Note sull'anarchismo
di Noam Chomsky

Presentiamo, per la prima volta in italiano, ampi stralci delle "Note sull'anarchismo", comparse sul n.116 (settembre 1970) della rivista anarchica mensile inglese "Anarchy". L'autore, Noam Chomsky, è professore di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, dove insegna fin dal 1955. Laureato all'Università della Pennsylvania, Noam Chomsky è stato membro della Fondazione Nazionale per le Scienze e del Centro di "Studi conoscitivi" di Harvard. È stato attivissimo nelle organizzazioni antimilitariste statunitensi sin dagli inizi della guerra imperialista nel Vietnam.
Noam Chomsky, forse il più noto esponente della New Left (Nuova Sinistra) americana, non è anarchico. Per sua stessa definizione, il suo pensiero si ricollega sia all'anarco-sindacalismo sia ai "marxisti non bolscevichi come Rosa Luxemburg".
Rimandiamo i lettori, per un approfondimento del pensiero di Noam Chomsky, al suo libro "I nuovi mandarini" (ed. Einaudi, 1969), in cui sono raccolti suoi saggi politici tra cui, particolarmente interessante, quello sulla rivoluzione spagnola.

I PERICOLI DELLA BUROCRAZIA

... "Gli anarco-sindacalisti sono convinti che l'ordine economico socialista non possa essere creato per mezzo dei decreti e delle decisioni di un governo, ma solo dalla collaborazione solidale dei lavoratori manuali ed intellettuali in ogni speciale branca della produzione; togliendo, cioè, ai dirigenti di fabbrica l'iniziativa della pianificazione economica, e stabilendo essi stessi i piani per i diversi rami dell'industria, i produttori diventano membri indipendenti di un generale organismo economico e sistematicamente aumentano la produzione e la distribuzione nell'interesse della comunità, sulla base del libero accordo sociale". Così scriveva durante la rivoluzione spagnola Rudolf Rocker, proprio quando queste idee venivano messe in pratica in maniera drammatica. Appena prima dello scoppio della rivoluzione, l'economista anarco-sindacalista spagnolo Diego Abad de Santillan aveva scritto:
"Di fronte al problema della trasformazione sociale, la rivoluzione non può considerare lo stato come un mezzo, ma deve basarsi sull'organizzazione dei produttori. Noi abbiamo seguito questa norma e non sentiamo affatto la necessità di un potere superiore al lavoro organizzato, che stabilisca un nuovo ordine di cose. Noi ringrazieremo chiunque ci indichi quale funzione, se pure una funzione può esservi, lo stato possa esercitare in un'organizzazione economica, dove la proprietà privata sia stata abolita e dove non vi sia più posto per il parassitismo e per i privilegi. La soppressione dello stato, lungi dall'essere un affare di secondaria importanza, deve essere il primo compito della rivoluzione. Si danno solo due possibilità: o la rivoluzione dà ricchezza sociale ai produttori, nel qual caso essi stessi si organizzano per la distribuzione sociale e lo stato non ha alcun compito da svolgere; oppure la rivoluzione non dà ricchezza sociale ai produttori, nel qual caso la rivoluzione è stata solo una menzogna e lo stato continuerebbe la sua esistenza. Il nostro consiglio federale dell'economia non è un potere politico, ma un potere regolatore economico ed amministrativo. Esso riceve il suo orientamento dal basso ed agisce in coordinazione con le risoluzioni delle assemblee regionali e nazionali".
Friedrich Engels, in una lettera del 1883, polemizza con questa concezione:
"Gli anarchici capovolgono i termini della questione. Essi dichiarano che la rivoluzione proletaria deve iniziare con il far piazza pulita dell'organizzazione politica dello stato... Ma distruggere lo stato proprio in quel momento equivarrebbe a distruggere l'unico organismo per mezzo del quale il proletariato vittorioso può consolidare il potere da poco conquistato, eliminare i suoi avversari capitalisti, e portare avanti quella rivoluzione economica della società senza la quale l'intera vittoria finirebbe in una nuova sconfitta ed in un massacro degli operai, simile a quello che avvenne dopo la Comune di Parigi".
Gli anarchici, invece - e Bakunin più chiaramente di tutti - misero in guardia contro i pericoli della "burocrazia rossa", che sarebbe stata "la più vile e terribile menzogna creata dal nostro secolo". L'anarco-sindacalista Fernand Pelloutier domandava:
"Deve proprio lo stato provvisorio cui ci sottomettiamo essere necessariamente e fatalmente il carcere collettivo?
Non può forse esso consistere in una libera organizzazione, limitata esclusivamente dalle necessità della produzione e del consumo, essendo scomparse tutte le istituzioni politiche?"
Io non pretendo di rispondere a questa domanda, ma sembra evidente che se vi è, in una forma qualsiasi, una risposta affermativa, le possibilità di una rivoluzione veramente democratica che possa realizzare gli ideali umanistici della sinistra non sono molte.

IL DIBATTITO MARX-BAKUNIN

Bakunin riteneva che il problema della distruzione e della conquista dello stato fosse la discriminante fra sé e Marx. In una forma o nell'altra, il problema si è più volte ripresentato nel corso di questo secolo, dividendo i socialisti "libertari" da quelli "autoritari". Nonostante la validità degli ammonimenti di Bakunin riguardo alla burocrazia rossa, validità che ha trovato conferma sotto la dittatura di Stalin, sarebbe comunque un grave errore criticare gli attuali movimenti sociali riferendosi esclusivamente alle loro origini storiche. In particolare non è possibile considerare il bolscevismo come l'unica applicazione pratica del marxismo. Piuttosto, precise mi sembrano le conclusioni cui è giunta la critica da sinistra al bolscevismo, tenendo in considerazione le circostanze storiche della rivoluzione russa:
"Il movimento operaio anti-bolscevico si oppose ai leninisti poiché essi non si spinsero abbastanza avanti nell'indirizzare le sollevazioni russe verso fini strettamente proletari. In altre parole, i leninisti divennero prigionieri della loro stessa situazione e si servirono del movimento rivoluzionario mondiale per soddisfare le necessità particolaristiche della Russia, che ben presto divennero sinonimo delle necessità stesse del partito bolscevico. Gli aspetti "borghesi" della rivoluzione russa erano dunque scoperti nel bolscevismo stesso: il leninismo fu giudicato una parte della socialdemocrazia internazionale, differente da quest'ultima solo su questioni tattiche." (da "Marx and Keynes", di Paul Mattick).
Se si dovesse cercare una sola idea fondamentale nella tradizione anarchica, la migliore certamente sarebbe quella espressa da Bakunin quando, scrivendo sul tema della Comune di Parigi, presentò il seguente autoritratto:
"Io sono un fanatico amante della libertà, dal momento che la considero l'unica condizione sotto la quale l'intelligenza, la dignità e la felicità umana possano svilupparsi e crescere; non la libertà concessa come pura formalità, misurata e regolata dallo stato, eterna bugia che in realtà non rappresenta altro che il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù di tutti gli altri; non la libertà individualistica, meschina e fittizia predicata dalla scuola di Jean-Jacques Rousseau e dalle altre scuole di liberalismo borghese, che considera i diritti astratti di tutti gli uomini, rappresentati dallo stato che limita i diritti di ciascuno - idea questa che riduce i diritti di ciascuno a zero. No, io considero l'unica libertà degna veramente di questo nome, libertà che consiste nel pieno dispiegarsi delle capacità materiali, intellettuali e morali che sono latenti in ciascuno; libertà che non riconosce altra restrizione di quelle determinate dalle leggi della nostra natura individuale, che non possono in effetti essere ritenute restrizioni dal momento che queste leggi non ci sono imposte da un legislatore al di fuori od al di sopra di noi, ma sono immanenti e, formando le basi della nostra esistenza materiale, intellettuale e morale, non ci limitano, ma sono le condizioni reali ed immediate della nostra libertà".

LA TERZA RIVOLUZIONE

Gli anarco-sindacalisti cercavano, anche sotto il regime capitalista, di creare libere associazioni di liberi produttori che avrebbero dovuto ingaggiare la lotta e prepararsi a rovesciare l'organizzazione della produzione su una base democratica. Queste associazioni avrebbero dovuto essere, secondo la definizione di Fernand Pelloutier, "una scuola pratica di anarchismo". Se la proprietà privata dei mezzi di produzione è, secondo la famosa definizione di Pierre-Joseph Proudhon, un furto, cioè in altre parole l'espropriazione del debole da parte del forte, allora anche il controllo della produzione da parte di una burocrazia statale, non importa quanto buone siano le sue intenzioni, non può creare le condizioni per cui il lavoro, manuale ed intellettuale, possa divenire la più alta esigenza della vita.
Sia la proprietà privata, sia il controllo da parte della burocrazia statale devono dunque essere abbattuti. Nel suo attacco al diritto di proprietà ed al controllo burocratico sui mezzi di produzione, l'anarchico prende posizione con coloro che lottano per compiere la terza ed ultima fase storica di emancipazione, dal momento che la prima ha elevato gli schiavi al rango di serbi, che la seconda ha elevato i servi al rango di salariati, e che la terza abolirà il proletariato in un atto finale di liberazione che darà il controllo dell'economia alle libere e volontarie associazioni dei produttori, come affermava nel 1848 Charles Fourier. L'imminente pericolo della cosiddetta civilizzazione era notato anche da un attento osservatore come Alexis de Tocqueville, che, sempre nel 1848, scriveva:
"Finché il diritto di proprietà era all'origine ed alla base di molti altri diritti, esso era facilmente difeso - o piuttosto non veniva attaccato; esso era la cittadella della società, e tutti gli altri diritti erano le sue fortificazioni; esso non tollerava di venire attaccato, ed in ogni caso non fu mai seriamente attaccato. Ma oggi, quando il diritto di proprietà è considerato l'ultimo indistrutto residuo del mondo aristocratico, quando esso rimane come l'unico privilegio in una società egualizzata, il problema si pone in termini differenti. Considerate ciò che sta accadendo nei cuori della classe operaia, anche se ammetto che sono tuttora calmi; è vero che essi sono meno infiammati di prima dalla passione politica propriamente detta: ma non vedete che le loro passioni, lungi dall'essere politiche, sono divenute sociali? Non vedete forse che, a poco a poco, si stanno diffondendo fra le classi operaie idee ed opinioni che puntano non al cambiamento di alcune leggi, di un ministro o di un certo governo, ma alla rottura delle fondamenta stesse della società?"
I lavoratori di Parigi, nel 1871, ruppero il silenzio, e proclamarono (come afferma Karl Marx ne "La guerra civile in Francia"):
"di abolire la proprietà, base di tutta la civiltà! Sì, gentiluomini, la Comune intendeva abolire la proprietà di classe che rende il lavoro di molti utile al profitto di pochi. Essa si proponeva l'espropriazione degli espropriatori. Essa voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando i mezzi di produzione, la terra ed il capitale, che ora sono mezzi per schiavizzare e sfruttare il lavoro, in semplici mezzi di lavoro libero ed associato."
La Comune, naturalmente, fu soffocata nel sangue; la civiltà che i lavoratori di Parigi cercarono di sconfiggere nel loro attacco alle "fondamenta stesse della società" si rivelò ancora una volta quando le truppe del governo di Versailles riconquistarono Parigi dalla sua stessa popolazione. Come scrisse, amaramente ma con notevole precisione, Karl Marx:
"La civiltà e la giustizia dell'ordine borghese viene alla sua lurida luce ogni qual volta gli schiavi e le vittime di quest'ordine si ribellano contro i loro padroni. Allora la civiltà della giustizia si rivelano nient'altro che manifesta crudeltà e smontata vendetta. Le imprese infernali della soldataglia riflettono lo spirito innato di quella civiltà, di cui essi sono vendicatori mercenari. La borghesia di tutto il mondo, che assiste con compiacimento al massacro dopo la battaglia, rabbrividisce d'orrore al veder profanati la calce ed i mattoni!"
Nonostante la violenta distruzione della Comune, Bakunin scrisse che Parigi "apriva una nuova era, quella cioè della definitiva e completa emancipazione delle masse popolari e della loro futura solidarietà, al di sopra e contro i confini degli stati... La prossima rivoluzione dell'uomo, internazionale e solidale, sarà la resurrezione di Parigi" - una rivoluzione che il mondo attende ancora.

LA SINISTRA MARXISTA E GLI ANARCHICI

L'anarchico conseguente, quindi, dovrebbe essere un socialista, ma un socialista di tipo particolare. Egli infatti non solo combatterà il lavoro alienato e specializzato e mirerà all'appropriazione del capitale da parte dell'intero corpo dei lavoratori, ma sottolinerà continuamente che questa appropriazione deve essere diretta, cioè non esercitata da alcuna forza d'elite agente in nome del proletariato.
Come afferma nelle sue "Cinque tesi sulla lotta di classe" il marxista di sinistra Anton Pannekoek, olandese, uno dei principali teorici del movimento comunista dei consigli operai,
"Bisogna opporsi all'organizzazione della produzione da parte del governo, cioè al socialismo di stato. Infatti, l'obiettivo della classe lavoratrice è la fine dello sfruttamento, e ciò non può certo essere raggiunto da una nuova classe dirigente che si sostituisca alla borghesia. L'abolizione dello sfruttamento può essere ottenuto solo dei lavoratori stessi, proprio nel momento in cui diventano padroni della produzione."
Questa citazione del marxista di sinistra Anton Pannekoek dimostra quanto il marxismo rivoluzionario ("radical Marxism") sia connesso con le correnti anarchiche; a questo proposito vale anche il seguente passo sul "socialismo rivoluzionario", scritto da William Paul nella sua opera "Lo stato, le sue origini e le sue funzioni", pubblicato per la prima volta nel 1917, prima che Lenin scrisse "Stato e rivoluzione", ritenuta la sua opera più "libertaria":
"Il socialista rivoluzionario afferma che la proprietà statale non può finire altro che nel dispotismo burocratico. Lo stato non può esercitare un controllo democratico sull'industria, poiché essa può essere posseduta e controllata democraticamente solo dai lavoratori, che scelgono direttamente dal loro seno dei comitati per l'amministrazione dell'industria. Il socialismo sarà fondamentalmente un sistema industriale; le circoscrizioni elettorali avranno carattere industriale. Coloro che svolgeranno attività sociali oppure saranno impegnati nelle industrie di proprietà dell'intera società saranno direttamente rappresentati nelle assemblee locali e centrali di amministrazione sociale. In questo modo i poteri di tali delegati saranno sempre controllati dai mandatari, nonché saranno strettamente collegati con le necessità della comunità. Quando si riunirà il comitato per l'amministrazione centrale dell'industria, in esso ogni fase dell'attività sociale sarà rappresentata. Da questo momento, lo stato capitalistico, da un punto di vista politico o geografico, sarà rimpiazzato da un comitato amministrativo industriale del socialismo. La transizione da un sistema sociale all'altro sarà la rivoluzione sociale; e poiché nel corso della storia lo stato politico ha significato il governo sugli uomini da parte delle classi dominanti, la repubblica del socialismo sarà il governo sull'industria, amministrato nell'interesse dell'intera comunità. Nel primo caso esso rappresentava la sottomissione economica e politica della maggioranza; nel secondo, invece, il governo sull'industria rappresenterà la libertà economica per tutti - cioè la vera democrazia."
È interessante notare che William Paul, autore delle precedenti osservazioni sul "socialismo rivoluzionario", è stato membro del Partito socialista del lavoro, ispirantesi, oltre che al marxismo, anche alle tesi sindacaliste rivoluzionarie di De Leon, e successivamente è stato fra i fondatori del partito comunista britannico; la sua critica al socialismo di stato riassume la dottrina libertaria proprio in un suo punto fondamentale: dato che sia la proprietà privata sia la direzione statale non possono che condurre al dispotismo burocratico, compito della rivoluzione sociale dev'essere quello di sostituire allo stato l'organizzazione industriale della società autogestita dai lavoratori. E questa non è che una delle tante affermazioni che possono essere citate.

LA VERA DEMOCRAZIA

Ciò che è ancora più importante è il fatto che queste idee sono state realizzate con spontanea azione rivoluzionaria, per esempio in Germania ed in Italia dopo la prima guerra mondiale ed in Spagna (soprattutto nella zona industriale di Barcellona) nel 1936. Si potrebbe affermare che certe forme di comunismo consiliare siano la forma naturale del socialismo rivoluzionario nella società industriale. Ciò riflette l'intuitiva comprensione che la democrazia è in buona parte un inganno, quando il sistema industriale è controllato da una qualsiasi forma di elite autocratica, sia essa composta di proprietari, affaristi o tecnocrati, da un partito sedicente "d'avanguardia", oppure dalla burocrazia statale.

Noam Chomsky
(trad. di P.F.)