Rivista Anarchica Online
L'ipotesi municipalista
di AA. VV.
Il 30 maggio scorso si è tenuto a Bologna, nella Sala dei Notai in piazza Maggiore, un convegno sul
tema
«Autogestione comunitaria e cooperazione sociale». In queste pagine pubblichiamo il testo di alcuni degli
interventi. Chi volesse approfondire l'argomento e/o stabilire contatti, può rivolgersi al «Coordinamento
per la
cooperazione sociale e l'autogoverno comunitario», ed in particolare all'Associazione «Arti e pensieri», via S.
Donato 119 oppure via S. Giuliano 15/B, sempre a Bologna.
Oltre gli steccati Care compagne e
compagni, innanzi tutto vorrei ringraziare quanti hanno fatto in modo di poter essere presenti
a questo incontro affrontando lunghe distanze. L'impegno assunto da «Ar.Pe» di organizzare il convengo
«Autogoverno Comunitario e Cooperazione Sociale»
è sorto dagli incontri effettuati con alcuni gruppi operanti in diverse parti d'Italia. Dal primo
incontro del settembre '92 avvenuto al Vanka Tanka si sono succeduti altri due incontri a Bologna
e Mantova, da questo lavoro è nato un progetto tendente ad un preciso obiettivo: mettere in
collegamento tra
loro tutte quelle realtà che hanno nel loro agire sociale e politico il fine di promuovere diversi rapporti
sociali
tra i cittadini, le persone, le figure economiche. Come suol dirsi il tema è ampio ed articolato, ed
assume contorni al cui interno si muovono tutte le tematiche
di fondo che definiscono quell'utopia del vivere fatta di una costante e tenace resistenza a tutto ciò che
offende
la dignità umana. Nel corso degli anni '80, il fenomeno della polverizzazione delle esperienze,
l'isolamento individuale di molti,
le difficoltà di operare fattivamente sul terreno dell'antagonismo hanno di fatto facilitato
quell'importante
fenomeno che si è concretizzato nella attivazione di una miriade di azioni, individuali e collettive, fatte
di
esperienze di lavoro, di iniziative politiche sui temi più diversi, di una resistenza sui posti dì
lavoro che sta
mettendo seriamente in crisi il ruolo e la legittimità rappresentativa dei sindacati confederali,
così come hanno
dato vita ad importanti battaglie sul fronte ecologista. Vi è un filo che considero comune e che
desidererei fosse ancora più comune, che collega tra loro queste
esperienze: è la tensione verso il superamento delle ideologie e degli steccati che hanno diviso
l'antagonismo. Là dove si sono realizzate esperienze che hanno attuato questo metodo si sono
verificati importanti risultati, così
come quando l'operatività delle azioni si è indirizzata verso i temi economici molto spesso si
sono raggiunti
obiettivi che hanno avuto il merito di garantire almeno il soddisfacimento dei più elementari bisogni
di questa
società complessa e dispendiosa, cioè si sono dimostrati economicamente validi di per
sé. Inoltre molto spesso queste esperienze hanno vissuto di una marginalità estrema rispetto
ai processi economici
dominanti, una sorta di mercato parallelo che si interroga sul come interagire, e se interagire, con quello basato
sullo sfruttamento, irrazionale per di più, di tutto ciò che può determinare profitto.
Il lavoro è sempre stata una delle categorie fondanti sia del controllo che della liberazione e chi
ha intrapreso
attività economiche sempre lo ha fatto per tentare di spezzare le catene poste da «un certo tipo di
lavoro», quello
salariato in primis. Dalla liberazione dal lavoro salariato inizia il processo di emancipazione, dal produrre
beni socialmente utili,
strettamente vincolati ai valori sociali che determinano il consumo, prende corpo quel processo economico che
è il reale momento di cambiamento nello stile di vita di ogni persona. Ed i valori economici si
saldano ai valori sociali in quanto sono le stesse categorie che ne sostanziano il
procedere, la cultura del rapporto equo e solidale dovrà, non solo interessare rapporti con paesi
extraeuropei,
ma diventare il «modus operandi» di un movimento, in divenire, certo, ma oramai ben radicato, la cui
progettualità complessiva non può essere altro che il risultato del continuo confronto ed
approfondito dibattito
tra le varie esperienze. Certo è che non è più tollerabile il ripresentarsi, anche sotto
mentite spoglie, di un qualsiasi tentativo di
riproporre forme organizzative basate su principi di chiara ispirazione autoritaria o determinati da trasformismi
repentini; chi ancora crede ed è convinto che il far politica significhi sovradeterminare il movimento
reale delle
cose, che quello che conta è guidare le masse riproponendo forme culturali e di prospettiva storicamente
e
definitivamente superate, è bene che venga subito disilluso, non è questo che si vuole. Il
tema della cooperazione sociale vede che la più ampia collaborazione e 1a realizzazione degli intenti
comuni
si danno «nella scoperta, attraverso l'associarsi effettivo, delle ragioni necessarie dell'associarsi stesso. Ci
associamo per elaborare insieme una prospettiva ed una linea di comportamento comune; e per provvederci dei
mezzi adeguati a realizzarle» (P.M. Toesca Eupolis N.4-5 '91). I temi su cui tutti stiamo lavorando: -
governo del territorio; - autogestione e federalismo; - autogoverno comunitario; - controllo e
gestione del territorio (municipalismo, comunalismo ed ecologia sociale); - matrice politica: libertaria
contro autoritaria; - rapporto con lo stato. Proposta operativa: Arti e Pensieri (e se vi è
disponibilità anche con altri coordinamenti) si rende disponibile a fungere da momento
coordinatore delle informazioni relative alle esperienze maturate nelle diverse situazioni. Facilitare il
confronto ed il dibattito realizzando un foglio di collegamento periodico ed alcune riviste che si
sono rese disponibili a tale fine. Si possono ipotizzare anche forme di collegamento di tipo informatico. Il
progetto richiede anche forme di finanziamento per cui è determinante che si crei un fondo economico
per
sostenere le spese. I principi che ne hanno sorretto la realizzazione sono molto semplici, basati su una
analisi della situazione che
coinvolge le forze di opposizione che a diverso titolo e da diversi punti di vista stanno lavorando per definire
metodiche che abbiano come fine l'emancipazione dell'individuo dal giogo degli apparati di potere. In
questa prospettiva si inseriscono quindi le strutture organizzate che hanno aderito a questo primo incontro
nazionale, che seppur nelle rispettive diversità hanno in comune molti aspetti. È tempo
di trovare convergenze ed unità di intenti, lo sfascio storico ed ideale delle forze sedicenti progressiste,
la disillusione sorta dopo le evidenti connivenze tangentizie, la palese struttura di un governo fatto per salvare
il ceto padronale, non è un caso che le banche si prevede possano entrare a far parte delle
società, convogliando
così il risparmio a sostegno del capitale, il tutto naturalmente a tassi agevolatissimi; sono tutti elementi
che
sostanziano la possibilità di uno sviluppo delle iniziative rivoluzionarie.
Nerio Casoni
Noi a Spezzano Albanese Considerando
estremamente utile l'incontro che oggi si tiene a Bologna fra le varie «realtà che operano sulle
tematiche municipaliste, dell'autogoverno comunitario e della cooperazione sociale», e non potendovi
partecipare in maniera diretta per impegni che ci trattengono quaggiù, abbiamo ritenuto utile prendere
carta e
penna per offrire ai convenuti, ai quali per l'intanto rivolgiamo un caloroso saluto, un modesto contributo a
testimonianza della nostra esperrienza municipalista territoriale. Ci siamo costituiti come struttura
all'incirca un anno fa, in piena campagna elettorale amministrativa. Lo stimolo
ci è stato offerto dalla proposta avanzata dal locale Gruppo Comunista Anarchico nel corso della sua
campagna
astensionista in occasione delle elezioni amministrative. Praticamente, nel bel mentre i Partiti politici del
luogo erano impegnati nella loro campagna elettorale per la
conquista di un comune commissariato della Prefettura in seguito ad una ventennale attività
amministrativa
clientelare, corrotta e corruttrice, gli anarchici, che avevano per un ventennio rappresentato nel luogo
l'opposizione sociale al clientelismo, ai ricatti ed alla corruzione amministrativa, spiegano per l'ennesima volta
alla comunità il perché della loro scelta astensionista e rilanciano il discorso autogestionario
avanzando la
proposta di essere pronti ad andare a discutere con tutte le persone interessate alla costituzione di una struttura
municipalista di base, alternativa all'istituzione amministrativa, per fronteggiare in maniera diretta ed
autogestionaria tutte le problematiche sia territoriali che relative al mondo del lavoro. Considerando che
la proposta avanzata era stata positivamente accolta da larghe fasce della collettività, sempre
in piena campagna elettorale, in una vivacissima assemblea cittadina in merito organizzata, si costituisce il
Comitato Promotore per la Federazione Municipale di Base, che raccoglie aderenti sia fra gli astensionisti che
fra coloro intenzionati a votare ma non a concedere delega in bianco agli eletti. Cosicché, nel dopo
elezioni,
mentre la nuova amministrazione comunale andava insediandosi, il Comitato Promotore per la Federazione
Municipale di Base discuteva e ratificava lo Statuto, da un'apposita commissione elaborato, dando ufficialmente
vita alla F.M.B. In questo primo anno di esperienze municipaliste di base i risultati raggiunti dall'impegno
autogestionario nel
sociale sono nel luogo a tutti palesi: a) messa in discussione delle tariffe riguardanti le tasse comunali e
soprattutto quella riguardante l'acqua, con
l'approvazione delle nuove tariffe in un'apposita assemblea cittadina dinanzi alla quale il Sindaco si è
impegnato
a rispettarne la volontà; b) contro la scellerata politica delle privatizzazioni di cui godono impresari
senza scrupoli, corrotti e corruttori,
si è costituita la Cooperativa di Servizi «Arcobaleno», per fare in modo che il denaro che la
collettività dà in
tasse al Comune diventi lavoro autogestito per disoccupati della collettività. La Cooperativa
è pertanto interessata soprattutto ai servizi di parte della nettezza urbana, del verde pubblico,
della manutenzione della rete idrica e fognaria ed in prospettiva in servizi in campo agricolo ed edile.
Inoltre, proposte per la difesa ambientale, per il pieno rispetto dell'autonomia delle associazioni culturali
e
ricreative presenti nel luogo, da concretizzarsi in regole precise che garantiscono a tutte gli stessi diritti per
porre fine alla logica clientelare e repressiva: sono questi ulteriori esempi dell'impegno futuro che ci attendono.
Questa in sintesi la testimonianza della nostra esperienza, a cui alleghiamo lo Statuto della F.M.B. e
qualche
documento dalla stessa elaborato: auspichiamo che il tutto possa interessare le varie realtà presenti al
Convegno,
così come a noi interessa il ricevere materiale documentario di chiunque operi come noi in maniera
autogestionaria nel sociale. Auspichiamo inoltre un proficuo rapporto di interscambio delle esperienze di
autogoverno che ci
contraddistinguono, ed un esito positivo al Convegno, di modo che si gettino, perché no, le basi per un
«coordinamento operativo tra le varie esperienze», coordinamento che potrebbe stimolare le esperienze di
ognuno federandole in prospettiva alle esperienze di altri, in piena sintonia, dunque, con il metodo
antigerarchico dell'autogoverno comunitario.
Municipalisti di base Spezzano Albanese (CS)
Per esempio, Marinaleda Ringrazio i
compagni che hanno organizzato questa interessante iniziativa; si sentiva da tempo il bisogno di
sedersi a parlare insieme e di riuscire a vedere, soprattutto dopo gli anni '80, dopo questa fase di resistenza e
di una militanza fine a se stessa, di iniziare un ragionamento comune su esperienze di autogestione e di
autogoverno. Il mio breve intervento si baserà su due riflessioni, la prima sulla esperienza di
Marinaleda e delle realtà
autogestionarie spagnole che sono tutt'ora presenti nella penisola iberica. La seconda su quella che è
la realtà
palermitana in questo momento a partire dall'89. In Spagna, dopo la caduta del franchismo c'è stata
una ripresa di una prassi autogestionaria sia di presenza che
di rinascita del movimento anarcosindacalista, al di là delle spaccature che sono conseguite nel tempo.
Si tratta
di esperienze di collettivismo e municipalismo che la guerra civile, o meglio la rivoluzione del '36, aveva
lasciato intravvedere. Nel '77 a Marinaleda, un paesino dell'Andalusia, una lista civica di sinistra del
sindacato della SOC, di
ispirazione catto-marxista che adotta una metodologia di tipo anarchico, vinse le elezioni ed ebbe la
maggioranza assoluta nel consiglio comunale. Praticamente dopo l'insediamento del Consiglio fu
proclamato il comune libero; questa esperienza di
municipalismo fu organizzata a livello di commissioni, strutturata in assemblee settimanali dove si discutevano
quelli che erano i problemi generali del paese (con circa 2.000 abitanti) con prevalenza di braccianti agricoli
e che per molto tempo ha vissuto delle sovvenzioni e dei finanziamenti dello stato, un paese molto povero.
I temi trattati da queste commissioni toccavano argomenti come la casa, l'edilizia, l'antimilitarismo, il
lavoro
dei campi e la lotta al latifondo. Esiste poi un livello istituzionale che ratifica le decisioni prese nelle varie
assemblee, cioè in pratica il consiglio
comunale vero e proprio che, al termine delle assemblee, si riunisce e ratifica le decisioni prese in sede
assembleare. E' chiaro che questa esperienza rimane sempre all'interno della situazione statale spagnola
perché di fatto esiste
un rapporto di mediazione con le istituzioni, regionali e centrali. ( ... ) Dal '77 fino ad oggi c'è stata
una grande serie di iniziative che hanno cambiato il volto di questo paese,
che era molto povero, privo di servizi. Si è fatta una campagna di costruzione di case, di nuovi edifici,
è stato
sviluppato un forte lavoro di cooperazione internazionale; sopratutto con il Nicaragua e il fronte del Polisario
ed ultimamente per quanto riguarda l'iniziativa delle colombiadi e dell'expo di Siviglia, Marinaleda è
stato il
punto di riferimento per tutto il movimento antagonista spagnolo durante le manifestazioni che si sono svolte
a Siviglia. Rimane chiaro che il punto di forza è dato dal sindacato della SOC, sindacato contadino
che si rifà come
metodologia alla CNT, sezione braccianti, tanto è vero che spesso negli anni sono state organizzate delle
iniziative comuni soprattutto quelle di lotta al latifondo. Quella di Marinaleda, come comunità
rurale, non è l'unica esperienza; ci sono la comunità anarchica andalusa,
quella di Bineffer che un anno fa ha dato vita, unitamente ad altre due comunità, alla «comunità
anarchica de
campo» che era la vecchia federazione anarchica che raccoglieva le comuni contadine ed i villaggi autogestiti.
Si rifanno ad un discorso di rivalutazione e di intervento nelle campagne, ecologia e bioregionalismo e
stanno
tentando di collegarsi al più ampio movimento dei centri sociali in Spagna per un discorso di rete e di
coordinamento nazionale più complessivo. Esistono poi alcune esperienze nella zona dei Pirenei,
ma si tratta di comuni più legate al mondo del circuito
RAINBOW, che hanno in Italia il loro referente in AAM Terranuova. Vi è un'altra
comunità, Adelfas in Estremadura, comunità anarchica che da 15 anni vive in autogestione,
queste
esperienze sono interessanti perché continuano una tradizione che nel '36 ebbe la sua massima punta
di
esperienza storica. Con l'entrata della Spagna nella CEE si sono definite nuove politiche agrarie che stanno
condizionando
fortemente i livelli di sopravvivenza di queste realtà, che stanno affrontando il grosso problema di
definire livelli
di produzione appropriati e corrispondenti alle esigenze del momento. L'invito è quello di poter
verificare concretamente queste esperienze che sono in continuo fermento dagli anni
'70 e che lasciano intravedere possibili sviluppi futuri.
Antonio Rampolla
Nonostante Orlando Per quanto riguarda
questa realtà, andando oltre al solito luogo comune di mafia ed antimafia che vincolano il
dibattito, c'è da dire che alla fine degli anni '80 abbiamo occupato un centro sociale che ha vissuto tre
anni in
autogestione, cercando di attivare un lavoro sul territorio che permettesse la creazione di strutture di
autoproduzione, di pedagogia libertaria ed altre forme di autodeterminazione. Ciò non ha avuto
sviluppi a causa di due punti nodali: - una incapacità nostra come compagni a rapportarci ed a fare
un salto di qualità tra un vecchio tipo di militanza
e le reali esigenze, denotando tutti i limiti che ci hanno accompagnato negli anni '80; - altro fatto è
la città in se stessa, con una forte presenza dello stato evidenziata dalla militarizzazione del
territorio. Vi è poi l'antimafia che condiziona ogni iniziativa in virtù di un processo di
egemonia da parte di Orlando e la
sua Rete. Infatti la maggior parte di quei settori detti «società civile» che un tempo erano interessanti
ed
interessati e che ora parteggiano per il «Principe» Orlando, nei confronti del quale è negata ogni forma
di critica
perché la Rete da questo punto di vista esprime una cultura integralista, non a caso nel periodo della
seconda
giunta Orlando si è dato vita ad un comitato cittadino COCIP A, che affrontava le varie problematiche
sociali
palermitane, funzionando egregiamente per un anno e diventando soggetto politico indipendente. A questo
punto padre Pintacuda della Rete e padre Sorge della DC hanno deciso, utilizzando la loro influenza
su alcuni gruppi di società civile, di iniziare un lavoro di disgregazione creando grosse spaccature
all'interno
del comitato facendogli disperdere le capacità di intervento che aveva maturato. Ultimamente
l'aggregato di persone, di cui anch'io faccio parte, che ha partecipato all'esperienza del comitato
ha puntato molto su un discorso basato sullo studio e la controinformazione, è stata prodotta una analisi
sul
bilancio del comune che si è trasformato in un libro (il controbilancio) dove viene mostrato come nei
vari anni
le diverse amministrazioni che si sono susseguite avevano speso i soldi, anzi come non li avevano spesi, e tra
queste anche la decantata giunta Orlando. Vi è certo una presa di coscienza per quello che riguarda
discorsi di partecipazione diretta ma permane la cultura
della delega e molti si aspettano che «il principe» risolva tutto, sussumendo al proprio interno anche tematiche
di democrazia diretta. Seppur diverso dai precedenti gruppi clientelari e mafiosi, non lascia intravvedere
all'orizzonte cambiamenti
radicali e, non ultima cosa da sottolineare, è che di fronte alla militarizzazione del territorio questi
gruppi non
hanno mai preso posizione in modo chiaro, anche se a volte hanno criticato tale militarizzazione, alla fine
sempre hanno plaudito la presenza della Folgore e dei corpi scelti in Sicilia, così come mai hanno preso
posizione nei confronti dei giovani morti ammazzati da carabinieri e polizia che in nome dell'ordine pubblico
restano impuniti. Da parte di coloro che hanno dato vita all'esperienza del centro sociale autogestito ci
sarà il tentativo di riaprire
il discorso e di ritentare più avanti una seconda occupazione legata a tutte le problematiche del centro
storico
vera cruna dell'ago ove passeranno i tentativi di liberazione della città o i rinnovati tentativi di dominio.
Antonio Rampolla
Palermo, centro storico Nelle principali
metropoli europee, i destini dei centri storici hanno seguito un tragitto pressoché simile: degrado
e fatiscenza delle strutture - carenza di servizi pubblici e sociali - espulsione indotta degli abitanti - morte del
tessuto sociale e produttivo - progetti di ristrutturazione e di recupero dall'alto - ingresso di soggetti forti - piani
speculativi - acquisizione di spazi per imprese, uffici e studi professionali - decollo dei fitti abitativi - infine,
vetrina di lusso per il governo della città. Questo tragitto per tappe conseguenti ha rivoluzionato
in peggio i centri storici espropriandoli agli abitanti ed
ai cittadini per consegnarli come bene di prestigio per pochi eletti (danarosi). Anche Palermo si avvia su questa
strada? Una risposta dissonante rispetto alle analoghe esperienze europee, dettate
dall'omogeneizzazione forzata
di un modello dominante mentalmente, politicamente e urbanisticamente, può venire solo dalle forze
coalizzate
di chi progetta un futuro differente per la città di Palermo ed il suo centro storico. Un progetto
vivibile a misura degli abitanti, delle loro esigenze, del tessuto sociale e produttivo, di ben vivere
e della fruizione pubblica di un bene collettivo quale è la memoria storica delle civiltà
di una Palermo felix
ormai sepolta sotto degrado civile e culturale e speculazioni politico-mafiose. Un tale progetto
necessita di alcuni presupposti di fondo per la sua elaborazione e la sua realizzabilità realmente
dissonante rispetto ai modelli dominanti: - controllo costante e quotidiano da parte dei cittadini per
prevenire speculazioni e manovre poco trasparenti
ad opera di enti locali e di concezioni privatiste del bene collettivo; - elaborazione di un contro-progetto
di vivibilità per il centro storico a misura di uomo, di donna, di bambino
e di anziano; - costituzione di cooperative di auto-costruzione per la ristrutturazione ecologica del centro
storico, con la
previsione di verde, servizi pubblici e sociali, di fonti energetiche non dannose; - costituzione di assemblee
cittadine e di quartiere per l'auto-governo del territorio, parallelamente e al di fuori
degli organismi istituzionali (consigli di quartiere, municipio, provincia, regione) in cui esercitare
partecipazione diretta e non delega in bianco.
Circolo anarchico «30 febbraio» (Palermo)
|