Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Un anniversario? È già
successo, su queste pagine: mi ritrovo oggi a parlarvi di qualcuno che conosco personalmente e mi sento
in bilico sulle parole, timoroso come sono di scivolare su quella che potrebbe sembrare una buccia di banana
pubblicitaria gratuita. Prendiamo il discorso da lontano. Sotto molti punti di vista non è facile scrivere
su di un
giornale, specie se il giornale è una rivista come questa: A, una rivista anarchica. È, sotto
altri punti di vista, ancora più difficoltoso occuparsi, in questo giornale, di argomenti come «la musica»:
con tutti i problemi che ci sono, con argomenti ben più «importanti» e «seri», dedicare un paio di
pagine alle
canzonette ... Non sono mancate, in passato, le critiche di chi vedeva un'apertura in questo senso come una
specie di disimpegno politico. Mi sembra sia stato dimostrato che invece attraverso l'espressione musicale
sono passate e passano delle
motivazioni, delle urgenze, delle problematiche complesse: era ed è di questo che si voleva parlare.
Queste
pagine sono state una finestra - magari piccola - aperta su un modo di intendere la vita: una colonna sonora che
accompagna ogni gesto, ogni cambiamento d'umore. Una finestra aperta, su questo giornale, da dieci anni.
Con A Rivista Anarchica e con «Musica & Idee» il rapporto va avanti regolarmente, felicemente e
da tanto
tempo: continuo ancora oggi a ricevere lettere, suggerimenti, materiale, critiche, telefonate, informazioni,
richieste, proposte, inviti, un segno, secondo me, che un certo meccanismo si è riusciti a farlo muovere
e a
tenerlo in movimento. Passando attraverso gli anni ottanta, queste pagine sono state occupate da un
mucchio di frammenti di
informazioni sull'esistenza di forme di espressione sonora anticonvenzionale. Dal punk al rumorismo, dalla
melodia folk all'estremismo sonoro che oltrepassava l'inascoltabile, dalle forme più sperimentali di
comunicazione musicale (s'è incontrata qui della gente che ha prodotto musica «facendo rumore» con
le cose
più diverse: sassi, ossa umane, bidoni, oggetti trovati per strada) alle proposte strutturalmente
più «a portata di
mano», più semplici e «povere», come la voce umana, o i rumori della vita d'ogni giorno raccolti dentro
a una
cassetta. In queste pagine abbiamo incontrato chitarre autocostruite oppure modificate oppure ancora
suonate in modo
poco o per nulla ortodosso. Canzoni popolari e musica prodotta con computers e altre attrezzature elettroniche,
virtuosi del proprio strumento e ragazzini che proprio non sanno suonare, che sono proprio negati ma che ci
provano, che ci danno dentro lo stesso. Gente che cerca di metterci tutto l'impegno, che si danna l'anima, o che
semplicemente si illude di farlo: i muri della cantina scompaiono, e si immagina di diventare quasi come gli U2
o ci si accontenta di meno. Sogni gratis, ragazzi. Sono dieci anni che, approfittando di questo appuntamento
mensile con «la musica con le idee dentro», vi parlo
di cassette, chitarre, dischi e canzoni, cercando di farvi sapere che, dietro, dentro, ci sono delle persone, ci sono
le loro fantasie, i loro pensieri trasformati in note musicali, la loro immaginazione in forma di suoni sparsi al
vento o imprigionati su di un nastro magnetico. Perché ci sono delle idee dietro e dentro, e si ha
voglia-bisogno-necessità-prurito-facciatosta di farlo sapere in giro. «Musica e idee» non è
mai stata, nelle mie intenzioni, una vetrina pubblicitaria per i musicisti alternativi o per
etichette discografiche indipendenti. Meno che meno, un pezzo di terra che coltivo egoisticamente, e dove
pianto e faccio crescere solo le cose che mi piacciono (è stato detto anche questo). Direi piuttosto
che queste pagine sono state e sono un'occasione per conoscersi, per stabilire dei contatti, magari
un pretesto per incontrarsi e mangiare una pizza e bere una birra assieme, per scambiare opinioni o solo per far
sapere che qualche cosa è stata fatta, pensata, immaginata, realizzata, pubblicata. Nessuno ha proposto
della
merce: di solito questi dischi, queste cassette e libretti, rappresentano la materializzazione di un'idea. Nessuno,
qui, si è arricchito con le sue canzoni. Per tutto il resto ci sono i circuiti apposta: i negozi giusti,
i giornalisti compiacenti, le riviste con gli eroi in
copertina e un mucchio di programmi «specializzati» sugli indipendenti («veri» o presunti tali. .. ) alla radio
e
alla televisione. Di operazioni pubblicitarie in mezzo a queste righe, e men che meno su queste pagine, su questo
giornale, non ne ho mai viste. Chi vuole mettersi in mostra di solito ha altro da offrire, e non cerca spazio ne'
attenzione da queste parti. Un'ultima nota. Sono state pensate e realizzate sino ad ora due iniziative
interazionali a sostegno di questo
giornale: la prima, «F/Ear this!», è del 1986, l'altra, «Les mystéres des Voix Vulgaires», del
1990. Sono raccolte
di musica, disegni e parole pensate ed organizzate apposta per raccogliere dei fondi e mandare avanti la baracca.
Ad entrambe hanno aderito persone da un mucchio di paesi del mondo: i contributi sono giunti
generosamente
da musicisti famosi e da persone sconosciute. Si sta progettando proprio in questo periodo una nuova iniziativa:
il materiale è già arrivato, e le adesioni sono ancora numerose. Dovrebbe essere tutto pronto
tra poco. È importante per me sottolineare che si tratta di un'operazione del tutto trasparente: il
ricavato delle vendite va
direttamente ed immediatamente all'Editrice A, che pubblica questo giornale. Se vi interessa dare una mano,
se vi interessa anche ascoltare qualcosa di diverso dal solito, ebbene, unite le due cose e fatevi vivi: sapete bene
come e con chi. Da qualche parte, in questo numero, c'è una lista di materiali discografici in
vendita. Non è il catalogo di vendita
per corrispondenza di qualche negozio. È tutto più semplice: alcuni musicisti hanno messo a
nostra disposizione
un po' dei loro dischi e delle loro cassette per dare una mano al bilancio. Parte del ricavato della vendita nostro
tramite (vengono pagate ai vari musicisti solo le spese vive) serve a sostenere A Rivista Anarchica.
Stefano M. Ricatti «L'idea di una
rappresentazione dove parole, suono e lo stesso gesto musicale si incontrino in un gioco di
rimbalzi e rapporti via via cangianti. Uno spazio ed un tempo da costruire, dove le masse sonore alternino
risolute combinazioni e guizzi sfuggenti intorno e dentro la voce, mutando i testi in suoni e i colori in parole.
Un luogo dove la vicenda umana, con tutti i suoi valori e forte dell'ironia, riviva la sua festa ... ».
Ritorniamo al discorso iniziale: vi sto per parlare di Stefano M. Ricatti, un musicista che, grazie anche a
questa
rubrica su questo giornale, ho avuto modo di conoscere di persona, complice la vicinanza delle città
dove
viviamo e un comune interesse per la sopravvivenza culturale nella provincia del nostro paese. Stefano,
per propria scelta, lavora da sempre ai margini della popolarità. Non che di «buone occasioni» non ne
abbia avute, anzi. Ha partecipato con successo alla rassegna della canzone d'autore promossa dal Club Tenco;
ha fatto parte di gruppi leggendari come il Nuovo Canzoniere Italiano ed il Nuovo Canzoniere Veneto, ha
suonato davanti a migliaia di persone in centinaia di concerti in Italia e all'estero. Come s'è detto
di lui, il suo modo di concepire la musica e la canzone non accetta compromessi di mercato,
come d'altra parte il mercato non ha alcuna intenzione di dedicargli delle attenzioni ... Anni Settanta: del
«giro» folk-popolare e dei cantautori impegnati veneti (Gualtiero Bertelli, Alberto D'Amico,
Luisa Ronchini) Stefano Ricatti è il più giovane e - musicalmente - il più originale, nel
senso che era il più
esposto e disponibile alle nuove tendenze musicali di allora, prima fra tutti il movimento Rock In Opposition.
Erano tempi diversi, quelli: l'aria che si respirava costringeva quasi a trovare strade nuove, a tentare
esperimenti
e contraddizioni, a ridefinire i confini del lecito nei comportamenti e nella creatività, e a fare di questi
esperimenti e ridefinizioni una ragione d'essere. Con un piede ben saldo nello stile della canzone politica
«tradizionale» («tradizionale» come potevano esserlo
le canzoni di barricata degli Stormy Six, più che le ballate di Paolo Pietrangeli) e l'altro piede ben avanti
sulla
strada del più puro esperimento sonoro, Stefano Ricatti ha continuato per anni a immaginare e scrivere
canzoni
e brani musicali, rimbalzando fra gli stili, e divenendo lui stesso una specie di cantautore obliquo e trasversale.
La sua figura, nel recente passato, può essere accostata a quella di autori come John Greaves o Peter
Blegvad. Seguendo la sua biografia, si parte dal suo disco d'esordio «La corriera» (copertina azzurra e
grigia, etichetta
«Dischi del Sole», credo adesso introvabile), all'esperienza con quella che fu la «base veneziana» di Rock In
Opposition, cioè il collettivo Camerabanda: un gruppo affascinante e indimenticabile. E ancora
e soprattutto, musiche non fini a se stesse ma nate per accompagnare (meglio, per fondersi con) teatro,
cinema, poesia e danza: gli spettacoli sono innumerevoli, sul palco di un grande teatro o per la strada, nelle
scuole, nella piazza. Il suo lavoro più recente è «Blu», un CD che presenta (ed è
forse questo il suo limite ... ) solo una delle tante
facce artistiche di Stefano: è una raccolta di canzoni. Un progetto direi volutamente semplice, ma non
facilmente
accessibile. Un lavoro che potrebbe, a torto, essere confuso con una qualsiasi cosa «da cantautori» (in senso
deteriore), destinata ad essere consumata per radio in mezzo a dediche in FM, spots pubblicitari, dj ammiccanti
e improbabili telefonate. Dieci canzoni, dunque, che per giunta suonano come qualcosa di strano, di poco
commerciale. Dieci piccole
storie con dentro le cose più normali, come la pioggia, i fari delle macchine, stanze d'albergo, il sole
che non
c'è. La musica, come s'è detto, non è rock, non è jazz, non è nulla di
facilmente identificabile. C'è dentro molto
pianoforte e suonano davvero molto bene (un po' alla francese, à la Joseph Racaille ... ), sassofoni e
clarinetti,
ogni tanto un violino, o una chitarra, una fisarmonica. Tra i musicisti, segnalo l'ottimo Oreste Sabadin, da quasi
sempre in tandem con Stefano. Dunque, un cantautore troppo particolare. Difficile, refrattario anche
all'inserimento in questa categoria.
Un'offerta fragile, questa di «Blu»: una forma di espressione che, come si diceva, stenta a trovare non solo «un
mercato» ma anche un po' d'attenzione, un po' di tempo. Perché adesso si tende a usare la musica non
come un
qualcosa da rispettare, ma come fosse la carta di una gomma da masticare. A gettarla via. Accade spesso,
quando ci sono da dire cose nuove, cose così semplici da sembrare complicate. Di certa musica la gente
non sa
che farsene. C'è sempre meno posto, in questa fretta maledetta, per chi ti invita a pensare, a riflettere,
a fermarti
un attimo per guardarti le mani, per guardarti dentro. «Blu» è autoprodotto e, aggiungendo anche
questa alle difficoltà di cui sopra, non credo sia facilmente
reperibile nei negozi. Scrivete a questo indirizzo, magari chiedendo vi sia spedita una cassetta con alcune delle
numerose musiche per teatro, danza etc.: Stefano M. Ricatti, via Rinascita 22, 30030 Dolo (Venezia).
Stefano ha messo a nostra disposizione alcune copie di questo CD: lo trovate nella lista della «Musica per
A»,
e quindi, oltre a come e cosa fare, ora sapete anche perché.
|