Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Valori che trapassano lo schermo
Finzione e realtà sono dotate di statuti solo apparentemente indipendenti. Voglio dire che, nella
percezione della
gente non sempre ciò che nasce come finzione rimane sempre al suo posto; c'è anche il caso
in cui questa
finzione deborda o il contratto implicito in grazia del quale viene considerata tale viene improvvisamente
disatteso. Un perché ci sarà. Faccio un paio di esempi. Il primo è quello di Arnold
Schwarzenegger, l'attore
americano. Sembra che abbia speso tre miliardi dei suoi risparmi per togliersi la soddisfazione di far sparire
dalla circolazione un suo vecchio film, Pumping Iron, del 1976. E non è che
abbia voluto evitare alle cineteche
di tutto il mondo un film mediocre in più, ma ha voluto far sparire per l'esattezza le prove a carico di
una
propria cattiva condotta. Propria per interposta persona, tuttavia, perché la cattiva condotta di cui si parla
è
quella ascrivibile al personaggio da lui interpretato nel film, un drogato ed un violento. Nella convinzione di
caricarsi di valori positivi, la persona Schwarzenegger non esita ad espropriare i suoi personaggi dei valori
negativi. C'è da chiedersi se il problema è e rimane soltanto suo o, piuttosto, non coinvolga il
suo pubblico: se
si sente più amato interpretando soltanto personaggi virtuosi, o è davvero più amato
interpretando soltanto
personaggi virtuosi. Il secondo esempio me lo fornisce Lietta Tornabuoni recensendo l'ultimo film di Clint
Eastwood, Un mondo
perfetto. Come i critici cinematografici hanno quasi sempre il coraggio di fare, la Tornabuoni dice
la sua sugli
attori e spiega che Kevin Costner «non è mai stato bravo quanto nella sua parte di cattivo-buono, anche
se
dovrebbe assolutamente dimagrire». Occhio e croce, la Tornabuoni, qui, non dista molto - in quanto a
metodologia degli apparati critici - dalla giovin signora che, al cinema, alle mie spalle, sulle prime inquadrature
del film dedicate al volto di Costner, ha detto a voce alta «cominciamo bene, cominciamo con un bonazzo».
A
Costner, allora, viene riconosciuto il ruolo che svolge, di attore, ma soltanto fino ad un certo punto,
perché la
pancia rimane sua, e non appartiene al personaggio. Sullo schermo, in altre parole, c'è un doppio duttile
e
malleabile: se dice una cosa, la dice uno, se tira un pugno, è sempre quello di prima a farlo, ma se ha
un po'
di pancetta rispetto ai modelli di «bonazzi» in auge, la pancetta ce l'ha quell'altro, se poi gli sparano e lo
bucherellano dappertutto pancia compresa, uno muore e l'altro si salva, ma una cura dimagrante, come
imperativo categorico dell'immaginario popolare, l'aspetta. Come un ambasciatore cui non sempre si
riconosca di «non portar pena», l'attore entra ed esce dai suoi
personaggi sopportando quel tasso di razzismo - perché ogni costrutto ideologico eretto sulla forma del
vivente
conduce, prima o poi, al razzismo - che il momento della società cui lui appartiene gli elargisce. Anzi,
non solo
lo sopporta, ma, in quanto veicolo di nuove associazioni fra forme e valori, contribuisce al rinnovo dei suoi
fasti. La cosa, a ben vedere, non è incoraggiante. Vuol dire che al mondo c'è gente - fra cui
gli attori medesimi, e i
critici cinematografici - che non sanno stare ai patti: entri al cinema e ne accetti la finzione, ma ne esci convinto
di quanto sia antipatico il tale - un tale che, dalla finzione, protrae la sua vita nella sua realtà che a
quella
finzione non appartiene. Un perché, dicevo, ci sarà. Il razzismo, intanto, c'è davvero
e non è una finzione
cinematografica: basterebbe dire che dal tipo fisico desumiamo tutto un patrimonio morale - figuriamoci cosa
non ricaviamo da tutto un campionario di azioni, dichiarazioni, vita morte e miracoli. E poi non è mica
vero che
quel contratto che implicitamente firmiamo nel momento stesso in cui entriamo in una sala cinematografica ci
vincola alla considerazione di pure e semplici finzioni. Come finto accettiamo l'evento complessivo, ma dopo
averlo segmentato in dettagli cui, almeno in parte, concediamo un lasciapassare di autenticità per un
eventuale
prosieguo oltre lo schermo. All'insegna del fatto che, anche loro, prima o poi, da quel paradiso tutto speciale,
tornano nella nostra stessa barca. Se no come potrebbero un maschietto ed una femminuccia desiderare davvero
di uscire a cena, rispettivamente, con Kim Basinger e con Kevin Costner?
P.S. - La giovin signora che teneva banco alle mie spalle, peraltro, sapeva
benissimo tener distinto l'oro da tutto
quel che luccica. Tanto è vero che, trascurando il problema estetico dello specifico filmico,
nell'intervallo si
è chiesta: «e se al bonazzo puzzasse il fiato?».
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