Rivista Anarchica Online
Riflessione necessaria
Ho letto con interesse le osservazioni fatte da Janet Biehl (207 marzo '94) al mio articolo
sul Municipalismo
libertario apparso in 204, novembre '93. Convengo con Janet, e colgo qui l'occasione per scusarmene
ampiamente sia con i compagni del Social Ecology Project sia con i lettori, per non avere mai citato Murray
Bookchin in relazione alle idee presenti nel mio articolo. In effetti ho pensato che i lettori sapessero bene quali
fossero le origini della teoria dell'Ecologia Sociale e del progetto politico municipalista libertario, vista l'ampia
diffusione avuta dai libri e dagli articoli di Murray Bookchin. Spero comunque che nessuno abbia pensato che
volevo presentare queste idee come prive di paternità. Anche perché una prima visione di questo
scritto
compariva come introduzione alla mia tesi di laurea, dedicata proprio al pensiero e alle teorie politiche di
Murray Bookchin. Quello che io intendevo proporre era solo un'introduzione alle questioni e alle
problematiche dell'Ecologia
Sociale e del Municipalismo Libertario. In quanto solo un'introduzione, seppure ampia e articolata, non ha
potuto entrare nel merito di «tutte» le questioni. Soprattutto poi, ho mantenuto questa mia introduzione in una
dimensione essenzialmente storico/culturale, tentando di calarla in quella che è la storia e l'esperienza
particolare del movimento anarchico, e più in generale, dei movimenti antagonisti e alternativi del
nostro paese. Non è mia intenzione qui rispondere punto su punto alle critiche di Janet, tuttavia
credo che alcune precisazioni
siano necessarie. L'immaginario a cui mi riferisco non è certo «un mondo transitorio di fantasie», ma
quella
dimensione utopica che scorre, per ora, sotto la crosta delle istituzioni sociali date, quel progetto che di volta
in volta si concretizza in eruzioni sociali visibili più o meno ampie. Vorrei che i compagni del Social
Ecology
Project tenessero a mente la storia degli ultimi decenni di conflitto sociale in Italia, e soprattutto ciò che
è
avvenuto durante gli anni Settanta. Forse un movimento così radicale ed ampio raramente è
apparso nei paesi
del capitalismo avanzato. La sconfitta subita dai movimenti degli anni Settanta, alla quale ha contribuito in
particolar modo la diffusione della lotta armata e la conseguente reazione statale, è stata una sconfitta
talmente
profonda da disintegrare, pressappoco, qualunque idea a livello sociale di una società libera, giusta e
autogovernata. La distruzione di queste utopie e della critica politica di massa che ne era conseguita, avvenuta
durante gli anni Ottanta e agli inizi di questo decennio, è tra le cause, soprattutto tra i giovani,
dell'affermazione
della destra, fascista e non, a queste ultime elezioni. Se questi progetti, tali immaginari che avevano mosso
migliaia di giovani, donne, studenti, li dobbiamo però concepire come una «fantasia» ormai superata
dallo
sviluppo storico, ciò potrebbe voler dire che non c'è più speranza per nessuna
opposizione sociale. Lo stesso ragionamento lo possiamo fare per quanto riguarda le pratiche di democrazia
diretta, di economia
alternativa, di autogestione di quartieri, scuole, università, centri sociali. Tali pratiche, alle quali
partecipo da
circa venti anni, rinnovatesi in anni recenti, sono una realtà vitale, seppure molto frammentata e ancor
priva di
un ampio radicamento, nel nostro paese. Periodicamente, ma ormai con una frequenza che fa pensare a una
continuità, rinascono movimenti che, con tutti i limiti, sperimentano pratiche di autogestione e
autoorganizzazione: si dimentica Janet Biehl di quell'assemblea con Murray Bookchin svoltasi nella
facoltà di
Scienze Politiche di Padova occupata dagli studenti nel gennaio del 1990? Sempre riguardo alle pratiche:
è di
quest'ultimo periodo il tentativo di dare un po' più di solidità e di coordinamento a una rete di
realtà municipali,
o comunali che dir si voglia, che in varie situazioni stanno sperimentando pratiche di autogoverno cittadino,
esperienze di cui avete scritto in Green Perspectives n. 28, Dicembre 1993. Con tali intenzioni il19 e il 20 marzo
si è svolto a Bologna un incontro su queste tematiche. Incontro di discussione e di confronto politico
tra
esperienze molto diverse, di origine sia marxista che anarchica/libertaria. Stranamente elaborazioni teoriche e
proposte politiche hanno dimostrato significative convergenze, anche se il futuro di questo movimento
dell'autogoverno non è ancora ben delineato e proprio per questo la discussione è molto aperta.
Infine, nessun accademismo contraddistingue chi scrive. C'è soltanto la consapevolezza, di fronte
allo sviluppo
di formazioni politiche come le Leghe, che si richiamano ai valori del federalismo e del localismo di cattanea
memoria, di dover anche approfondire problematiche storiche, politiche, sociali, antropologiche; di affilare
insomma gli strumenti della critica. Di fronte alla sensibile diffusione di pratiche politiche alternative e di
opposizione, che certamente non hanno niente da spartire con le Leghe, quello che ancora manca è una
certa
cornice di riflessione con la quale supportare tali pratiche. Ciò che si respira in Italia, in questo periodo,
è
veramente una cattiva cultura e un'asfittica dimensione critica di pensiero. Siamo tutti molto subordinati alle
idee dominanti. Inoltre, e su ciò non posso dilungarmi, è avvenuto che la destra abbia mutuato
parte della sua
analisi e delle sue proposte da ciò che i movimenti alternativi vanno dicendo da decenni, per esempio
in
relazione alla critica dello stato. E non abbiamo certamente a disposizione un equivalente di quei laboratori di
elaborazione socio-politica e teorica che sono l'lstitute for Social Ecology e, con altro ruolo, il Goddard College.
Alla fine di questo mio intervento vorrei però aggiungere un'ultima nota. La lettera di Janet
potrebbe avere il
pregio, se vogliamo usare in senso positivo le critiche che vengono avanzate da altri compagni, di favorire e
spronare una discussione non solo per così dire nazionale, bensì, come è giusto,
transnazionale. Se così è, allora
vorrei proporre di aprire il dibattito, se mi è consentito, su alcune questioni: nelle tesi sul municipalismo
libertario di Murray Bookchin ricorre spesso il concetto di «popolo». Ora questo concetto, come ho tentato di
dimostrare nella mia recensione al libro di Murray Bookchin «Democrazia Diretta», tradotto da Salvo Vaccaro,
in Germinal n. 63 inverno 1993, è in parte ambiguo, e occorre riconsiderarlo alla luce dell'esperienza
italiana
che di populismo ne ha sofferto, e ancora ne soffre, fin troppo. Desidererei si aprisse su questo una
chiarificazione, così come sul termine «comunità», un'altra di quelle categorie che, se usata
oltremodo, rischia
di ingenerare confusioni e, questa sì, di scadere nel localismo del campanile. Non penso di
suscitare in questo modo discussioni accademiche e intellettualistiche. Parlare tra compagni e alle
persone in un modo o in un altro, con l'uso di un lessico chiaro e comune, è questione sostanziale per
lo sviluppo
di qualsiasi progetto di autogoverno sociale.
Dario Padovan (Padova)
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