Rivista Anarchica Online
La pelle dell'orso
di Maria Matteo
Un vecchio proverbio rivolto agli incauti suggerisce di evitare di vendere la pelle
dell'orso se non si è ben certi
di averlo ucciso. Mai come in questi ultimi mesi mi è capitato di pensare quanto opportuno sia l'invito
alla
prudenza in esso contenuto. La cultura di sinistra che era o quantomeno pretendeva di essere il più
possibile
laica e disincantata si è fatta cogliere completamente alla sprovvista dalle robuste zampate di un orso
che lungi
dall'essere morto si è risvegliato da un lungo letargo. La grande vittoria elettorale delle destre che
a molti può essere sembrata come mero fenomeno reattivo, niente
di più che una rivolta contro le miserie di tangentopoli, oggi palesemente appare come episodio
importante d'un
ben più vasto cambiamento. Un cambiamento che interessa non solo la sfera politica ma la cultura stessa
della
nostra società. Se i deliri teocratici di Irene Pivetti, i reiterati attacchi all'aborto di alcuni ministri e la
crescente
violenza delle invettive papali contro una sessualità libera e consapevole catalizzano il dibattito
pubblico,
significa che, al di là degli esiti più immediati dello scontro in corso, le destre sono già
riuscite a segnare un paio
di punti decisivi. Venti o fors'anche dieci anni fa Irene Pivetti sarebbe stata un personaggio patetico e ridicolo,
degno al più di un articolo di costume nelle ultime pagine di qualche quotidiano a corto di notizie. Oggi,
non
solo occupa una delle maggiori cariche dello stato, ma riesce altresì a focalizzare l'attenzione
dell'opinione
pubblica riempiendo le prime pagine dei maggiori organi di informazione. La stampa progressista tenta di
cavarsela tracciando qualche bozzetto satirico: «Irene la santa», «Irene la suora», «Irene novella Giovanna
d'Arco» ma tuttavia non riesce a celare il proprio imbarazzo di fronte al riapparire inusitato e paradossale di
concezioni che supponeva relegate nel ciarpame della storia. Nel secolo di Hitler, Stalin, Mao e Franco
è
indubbio segno di miopia e scarsa lungimiranza politica. D'altro canto una sinistra sostanzialmente incapace
di fare i conti con il 1989 ha finito con lo spalancare le porte alle velleità della destra più retriva
di regolare i
conti con il 1789. L'implosione dei regimi comunisti dell'est europeo ha finito col trascinare con sé la
tensione
e la speranza in una società di liberi ed uguali. Poco importa che il cosiddetto «socialismo reale» fosse
la
quintessenza dell'autoritarismo e della gerarchia. Berlinguer qualche anno fa fece la «storica» dichiarazione
sull'esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione di ottobre. Gli anarchici se ne erano accorti settant'anni
prima, tuttavia la questione della primogeniture è qui del tutto irrilevante. Ben più
importante è stata l'egemonia delle correnti marxiste ed autoritarie all'interno del movimento socialista
ed operaio conseguente la vittoria dei bolscevichi in Russia. Un'egemonia tanto forte che la crisi dell'89
anziché
spalancare le porte alle istanze libertarie ed anarchiche ha decretato toutcourt la fine del socialismo e delle
istanze di emancipazione che ad esso si erano accompagnate. Così il vecchio padreterno, in versione
cristiana
o musulmana, si sta prendendo una clamorosa rivincita sui propri sostituti laici e terreni. Con buona pace di
coloro che considerano la polemica antireligiosa ed anticlericale ormai superata, mero terreno di cultura per
vecchi massoni ed anarchici scemi.
La battaglia del Cairo Il processo di secolarizzazione iniziato due secoli
orsono rischia quindi di subire una brusca battuta d'arresto.
Liberalismo e socialismo pur su versanti opposti erano animati d'una robusta spinta utopica, sostenuti dalla
convinzione che l'emancipazione umana ed il benessere generalizzato fossero obbiettivi raggiungibili. Oggi
sappiamo che uno sviluppo illimitato non è compatibile con la conservazione dell'ambiente, che le
risorse
disponibili non sono infinite, che i meravigliosi successi della tecnica comportano pesanti conseguenze negative.
L'incapacità di dare risposte concrete all'emergenza ecologica, al crescente ed incolmabile divario tra
nord e
sud, al moltiplicarsi di sacche di povertà nel cuore stesso del ricco nord hanno aperto la strada a vecchi
e nuovi
integralismi, permesso il risorgere prepotente dell'intolleranza, del razzismo, dell'egoismo sociale diffuso. Le
ultime vicende di casa nostra finiscono pertanto col riverberare una più generale situazione i cui
contenuti sono
assai preoccupanti. Ne abbiamo avuto evidente dimostrazione in occasione della conferenza su «Popolazione
e sviluppo» tenutasi di recente al Cairo. Una conferenza il cui obiettivo doveva essere l'elaborazione di un piano
atto a contenere lo spaventoso ritmo di crescita della popolazione mondiale, si è risolta in una guerra
di
religione, che ha visto significativamente uniti in una sorta di santa alleanza il vaticano e le tre maggiori
organizzazioni panislamiche. Sbaglierebbe tuttavia chi vedesse nella battaglia del Cairo una mera
riedizione dello scontro tra istanze
illuministiche e razionali ed oscurantismo religioso e clericale, una contrapposizione tra scienza e fede, tra
tecnici e mistici. Oggi infatti la razionalità tecnica non è più in grado di fare promesse
o prospettare soluzioni
a problemi in buona parte provocati dalla sua stessa prepotente invadenza, dell'arrogante pretesa di controllare
e dominare una pianeta che le si frantuma sotto i piedi. Compromesso impossibile
La Banca mondiale, organismo non certo sospettabile di vene filantropiche o di simpatie di
sinistra, già nel '90
nel suo annuale rapporto dedicato allo sviluppo, significativamente titolato «Povertà», suggeriva delle
politiche
di intervento nel sud del mondo che nel migliore dei casi avrebbero contribuito ad arginare la grave indigenza
cui erano condannati un miliardo e duecento milioni di esseri umani. Assistenza sanitaria di base, pianificazione
familiare, alimentazione ed istruzione elementare non avrebbero migliorato la situazione ma soltanto impedito
che peggiorasse. Le sorti magnifiche e progressive paiono definitivamente cancellate dall'orizzonte
dell'umanità:
i tecnici si arrendono impotenti, limitandosi a suggerire di tamponare qua e là le falle più
grosse. Al Cairo la
croce e la mezzaluna hanno combattuto e sostanzialmente vinto contro un nemico le cui armi erano decisamente
spuntate. Integralisti cristiani e musulmani hanno avuto buon gioco in una partita in cui lo spirito umanitario
e la razionalità era appannaggio di un nord opulento e predatore la cui preoccupazione per l'eccessivo
incremento demografico andava di pari passo con il timore di nuovi, potenti flussi migra tori. Si calcola
che oggi vi siano cinquecento milioni di persone in condizioni di fame che si triplicheranno nel giro
dei prossimi anni: non è difficile immaginare la turba minacciosa e prolifica dei senza speranza bussare
con
prepotenza alle frontiere dell'Europa e dell'America. Non li fermeranno legislazioni più restrittive, la
minaccia
delle armi o la deportazione, poiché già oggi vediamo che chi non ha nulla da perdere
può ben permettersi di
perdere tutto. Qualcuno potrebbe obbiettare che al Cairo per la prima volta si è tentato di evitare
un approccio semplicemente
tecnico, che è emerso il collegamento tra analfabetismo (soprattutto femminile) ed espansione
demografica, che
finalmente si è posto l'accento sull'importanza dell'emancipazione delle donne. Ma nei fatti la ricerca
di un
compromesso impossibile ha finito col depotenziare un documento che almeno sul piano dei principi poteva
avere una qualche rilevanza. Non sarebbe comunque stato sensato aspettarsi altro da un'assise composta dai
governanti della terra, da quegli stessi cui spetta la responsabilità del sottosviluppo, dell'ingiustizia,
della
predazione e della guerra. Tra i nemici della salute, dell'autonomia e della felicità della donne (e degli
uomini)
papa ed imam occupano un posto di rilievo: questa è una semplice verità che non poteva certo
emergere al
Cairo. Naturalmente il pragmatico di turno potrebbe osservare che al di là dei principi v'è
stato l'impegno concreto a
realizzare investimenti per migliorare la salute e l'istruzione. Tutto ciò sarebbe indubbiamente positivo
se non
sapessimo quali enormi truffe siano spesso stati i programmi di cooperazione con il terzo mondo. Una
cooperazione i cui frutti sono andati a regimi dittatoriali che li hanno destinati all'acquisto di armi per il
mantenimento di ristrette caste di privilegiati il cui unico merito era «l'amicizia» verso questa o quella potenza
del nord. Inoltre come più di un'analisi ha ormai sufficientemente evidenziato, nulla è stato fatto
né si vuole fare
per eliminare il debito che, tra i fattori di sottosviluppo, è forse il più grave. Quello del debito
è un meccanismo
perverso che fa sì che più del 60% del reddito dei paesi del terzomondo sia destinato a pagare
interessi calcolati
in dollari artificialmente sopravvalutati.
Tra l'incudine e il martello La solidarietà
tra nord e sud non può passare attraverso la mediazione degli stati, così come la libertà
delle
donne non si può negoziare con i preti. Gli «esperti» dell'O.N.U. annunciano il diluvio, mentre i due
terzi
dell'umanità ha già l'acqua alla gola. Tutti o quasi, riconoscono la necessità di
un'inversione di rotta ma poi per lo più si limitano a sgottare con
secchiellini bucati. Il modello di sviluppo del nord è tale da compromettere l'esistenza
dell'umanità e si regge
sulla povertà ed il sottosviluppo del sud: è anche questa una semplice verità che certo
non poteva essere
enunciata al Cairo. Il Vaticano quindi non può essere considerato l'unico campione nel negare
l'autonomia delle donne, poiché alla
fin fine il population estabilishment tenta di controllare le decisioni delle donne sul proprio corpo
non meno
del papa. Il quale peraltro risulta tutto sommato più credibile, poiché non si limita a tuonare
contro l'aborto e
la contraccezione ma stigmatizza anche lo scambio ineguale tra nazioni industrializzate e in via di sviluppo.
I divieti religiosi in materia d'aborto non sono meno devastanti per la salute e la libertà delle donne
delle
sterilizzazioni forzate. Le condizioni di una maternità consapevole e sicura non sono date dalla mera
diffusione
di pillole e preservativi ma dalla trasformazione profonda dello status etico, politico, sociale ed economico delle
donne, specie nei paesi più poveri. Al Cairo le donne si sono trovate tra l'incudine e il martello,
strette tra il fuoco di fila degli integralisti e le
bordate dei tecnici, spettatrici impotenti di una pantomima sui loro corpi che nella realtà di milioni di
donne è
tragedia quotidiana. Lo scontro tra integralismo ed occidente, tra religione e modernità non può
vederle
schierate per l'una o l'altra fazione ma le ritrova, ci ritrova impegnate a partire da noi, dai corpi mutilati delle
donne infibulate, dagli uteri martoriati delle madri-bambine, dai ventri distrutti dalle troppe gravidanze o dagli
aborti clandestini, dalla nostra soggettività negata ed infranta.
Pivetti da dimenticare La fine delle grandi narrazioni laiche è
disgrazia epocale per una sinistra timida e senza prospettiva non certo
per la libertà delle donne, sempre «dimenticata» dalle grandi rivoluzioni, troppo occupate a realizzare
la
palingenesi dell'intera umanità per aver tempo per i singoli. Cittadino e proletario sono universali
astratti che
non rappresentano ma celano l'identità delle donne e la possibilità stessa di percorsi di
liberazione in cui le
differenze, tutte le differenze siano una grande ricchezza da salvaguardare. Partire da sé, la pratica
delle donne libere di questo secolo, è l'unica capace di impallinare definitivamente quel
vecchio orso, l'unica atta a riportare Irene Pivetti nell'album dei ricordi da dimenticare.
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