Rivista Anarchica Online
Alle radici di una cultura solidale «classista»
di Giorgio Sacchetti
Già i risultati del convegno di studi storici su "Gli 80 anni
dell'In marcia!", organizzato a Milano nel 1988 dalla
"Mutua Macchinisti", ci erano apparsi fecondi di spunti di riflessione (1). Dagli interventi degli studiosi si erano
allora evidenziati soprattutto due comuni aspetti salienti: da una parte la ricchezza straordinaria e le implicazioni
di una storia, quella dei ferrovieri, le cui vicende particolari si rivelano determinanti nel percorso ormai quasi
secolare del sindacalismo italiano; dall'altra - per dirla con Riosa - il "panorama piuttosto sconsolante" della
produzione storiografica su questo argomento, produzione che, a parte alcuni pregevoli saggi su aspetti
particolari, era sostanzialmente ferma alla fase pionieristica (Guerrini, Finzi, De Lorenzo, ecc .. ). Oggi l'uscita
dell'opera a più mani "Il Sindacato Ferrovieri Italiani dalle origini al fascismo 1907-1925" (edizioni
Unicopli)
pone di nuovo l'attenzione degli studiosi sul tema (2). La questione "ferrovieri e storiografia" era stata
autorevolmente posta fin dagli anni '60: "Le vicende di questa
organizzazione - ne scriveva già allora Procacci (3) - furono ricche di elementi che
contenevano insegnamenti
e norme per tutto il movimento operaio italiano. Ché, anzi, uno dei tratti caratteristici di
quest'ultimo è
costituito proprio dal ruolo di avanguardia che, a differenza della maggioranza dei paesi
europei, vi ebbe il
movimento associativo e rivendicativo dei ferrovieri". Neppure l'avvento del regime
fascista riuscirà a chiudere
definitivamente una storia così ricca e complessa che, al pari di un fiume carsico, emergerà di
nuovo e con forza
alla luce del sole nel secondo dopoguerra pur se in un "paesaggio" sociale e politico ormai reso irriconoscibile.
Alla base di tutto questo c'è un elemento immediatamente percettibile: la ferrovia che, dopo aver
"unificato"
un paese nella comunicazione, simboleggia ora con la sua peculiare classe lavoratrice un'ipotesi inedita per
cementare anche l'unità del movimento operaio in Italia. Il Sindacato Ferrovieri Italiani (SFI), che vede
la luce
in piena epoca giolittiana quale risultante di una lunga precedente esperienza, si fa da subito carico di questioni
che vanno ben oltre il mero rivendicazionismo. La "filosofia" adottata appare ispirata ai principi
dell'autovalorizzazione, ciò nel senso di approntare anche un'utile alternativa nella direzione di un
radicale
ricambio gestionario nell'Azienda ferroviaria. Si rivendica la partecipazione ed il concorso pieno del personale
-
degli «umili" si dice - alla risoluzione delle questioni tecniche che si pongono, "dalla traversa al treno che
passa,
dal casello all'anticamera del direttore". I ferrovieri saranno anche per questo bersaglio frequentissimo degli
elzeviri di Luigi Einaudi, economista emergente ed opinionista autorevole del Corriere della Sera.
Una
polemica più che decennale vedrà questo giornale costantemente schierato contro le "pretese"
del sindacato.
Se le impietose analisi einaudiane sugli sprechi e le inefficienze dell'Azienda hanno, in via di paradosso, punti
di convergenza con quelle che il SFI da sempre sostiene e fa pubblicare sul proprio organo (La
Tribuna dei
Ferrovieri) e sugli altri giornali amici (Avanti, Guerra di Classe, ecc .. ), ovvio che i rimedi
che vengono
rispettivamente proposti siano di opposta natura. E nei momenti cruciali, quando - come durante il "mitico"
sciopero ferroviario del gennaio 1920 - la posta sociale e politica si fa alta, il senatore piemontese diviene il
portavoce ufficiale di una campagna di orientamento dell'opinione pubblica contro i presunti privilegi ed i
"lauti" stipendi accordati ai pubblici dipendenti (4). La categoria è inoltre al centro di un annoso
dibattito sul diritto di sciopero che tocca questioni delicate quanto
vitali per il movimento operaio tutto. Curiosa ed emblematica, specie se vista alla luce delle vicende successive,
la schermaglia che su questo tema vede protagonisti all'epoca della Settimana Rossa da una parte il segretario
generale della riformista CGdL Rinaldo Rigola, dall'altra il socialista rivoluzionario Benito Mussolini. Il primo,
pur riconoscendo il "grave danno per tutta la nazione" causato dalle agitazioni ferroviarie, non ne ritiene giusta
la proibizione. Il secondo ritiene lo sciopero comunque un'arma contro lo stato borghese; ed in proposito
preconizza: "Nello stato futuro basato sul possesso e sulla gestione collettiva degli strumenti di produzione e
di scambio lo sciopero non è nemmeno pensabile" (5). Nel dopoguerra si renderà ancora
più evidente quel
disegno che Giolitti aveva iniziato ad approntare fin dall'epoca dello sciopero ferroviario del 1902, minacciato
ma non attuato perché "non ammesso dalla legge". Dopo anni di uso indiscriminato del famigerato art.
56 del
regolamento disciplinare, ci si orienta così definitivamente verso un'impostazione di legittimità
dell'istituto del
licenziamento per attività antigovernativa nei confronti del pubblico impiegato. Si precorrono in tal
modo alcuni
principi della successiva normativa fascista in materia, terreno concettuale e giuridico su cui si innesteranno le
misure di militarizzazione del personale. Mentalità e cultura del lavoratore delle ferrovie si misurano
di
conseguenza anche sull'antagonismo risoluto verso questi provvedimenti liberticidi, si manifestano nella
"gogna" a cui vengono impietosamente sottoposti i crumiri. Contro le promozioni di qualifica fatte in emergenza
a beneficio di chi, pur privo della necessaria professionalità, sostituisce gli scioperanti, si scagliano le
ire delle
rappresentanze categoriali. Sui crumiri inesperti alla guida dei treni fiorisce tutta una letteratura; il giornale dei
macchinisti (In Marcia!) dedica addirittura alla questione una rubrica quasi fissa di polemica e
satira. In ballo
ci sono dignità professionale, orgoglio di mestiere, etica della solidarietà di classe. Questi
"buoni sentimenti"
rappresentano, insieme agli elementi concettuali fondanti del sindacalismo degli albori, anche i connotati di
quella "cultura professionale" che sarà essa stessa, nel corso dell'esperienza "consiliarista" del Biennio
Rosso,
una forma della lotta di classe "in quanto rende possibile la creazione di una organizzazione
del lavoro diversa
dall'attuale, che, raccogliendo dal capitalismo ciò che esso ha col suo sviluppo prodotto, faccia rivivere
quei
valori che con lo stesso sviluppo ha distrutto, e che sono indispensabili per la
società quale noi la vogliamo
costruire" (6). In tal senso va anche la rivendicazione categoriale della presenza di un rappresentante
del personale, designato
dal Sfi, nelle commissioni esaminatrici per il passaggio a macchinista dei fuochisti, contro le promozioni per
meriti di crumiraggio che creano situazioni di grave pericolo per la sicurezza dei trasporti. È
interessante poi
segnalare un dibattito culturale che nel 1917 si era aperto sulla rivista dei macchinisti. Si può accettare,
o no,
l'assegnazione individuale ai "migliori" della locomotiva? Dove era stato adottato questo semplice
provvedimento, come nelle ferrovie britanniche, esso aveva stravolto la tenuta di classe e sociale della categoria,
acuendone piuttosto le spinte di tipo corporativo-elitario, ma soprattutto legando indissolubilmente l'esistenza
così alienata dei guidatori alle "loro" macchine da accudire. L'opinione prevalente è
però quella o di rifiutare
tout-court simili innovazioni o, tutt'al più, di accettare l'assegnazione per gruppi fissi (es. 20 locomotive
x 30
macchinisti), seguendo i criteri oggettivi dell'anzianità di servizio. Il contenuto, altrettanto ideologico,
di questa
controproposta è evidente (7). Gli studiosi di storia del sindacalismo hanno già evidenziato
per le vicende dei ferrovieri la sostanziale sincronia
fra acquisizione della coscienza di classe e definizione di un prevalente orientamento politico radicale.
Ciò come
diretta conseguenza di una sovrapposizione fra controparte sociale (lo Stato datore di lavoro) e controparte
governativa. Anche per questo motivo gli anarchici avranno un ruolo determinante, insieme ai socialisti di
tendenza rivoluzionaria, nei ranghi del sindacato, nelle stesse strutture dirigenti. Fra tutti bisogna almeno
ricordare Augusto Castrucci, e gli altri (Fantozzi, Signorini, Stagnetti, Sbrana, ecc .. ) tutti protagonisti di primo
piano eppure regolarmente ignorati - come ha sottolineato Antonioli - dal Dizionario biografico del movimento
operaio. Nel SFI gode pienamente del diritto di cittadinanza anche la minoranza riformista che inutilmente si
prodigherà, prima da sola e poi con l'appoggio tattico della corrente comunista, per l'adesione alla
Confederazione Generale del Lavoro. La scelta dell'autonomia, sia pure dall'USI, si rivelerà invece la
vera carta
vincente di un sindacato che persegue la via difficile ma dignitosa dell'affrancamento del movimento operaio
dai partiti politici. Fuori dal "rosso" SFI, largamente maggioritario nella categoria in epoca prefascista, si
muovono solo piccole organizzazioni. Fra queste si deve citare quella dei ferrovieri cattolici che fanno capo al
giornale Il Direttissimo, a cui spesso sono rivolte le più aspre critiche. Quando ad esempio
si era tenuto, nel
nome della Rerum Novarum - a Genova nel 1916 - il VI congresso di questo sindacato, l'organo
del Sfi aveva
sbeffeggiato i convenuti invitandoli alla espiazione dei peccati, mentre l'Avanti! aveva scritto:
"Considerato
che la vostra opera di carità cristiana sarebbe meglio apprezzata nelle sagrestie (...)
perché vi mettete in mezzo
alle lotte proletarie, quando vi manca il fegato di alzare la voce contro i soprusi?". Ed anche su
questi aspetti,
pur marginali, mancherebbero degli studi approfonditi. Sul mutualismo e sulla cooperazione fra lavoratori
delle ferrovie ci gioviamo invece delle ottime ricerche a suo
tempo pubblicate da Checcozzo e Stefanelli. Istituti come il Fondo di resistenza e le cooperative di consumo
funzionano persino durante la prima guerra mondiale, portando soccorso alle famiglie dei licenziati. E' questo
il segno evidente del permanere di una tradizione concretamente solidale all'interno della categoria. Dopo
il fascismo prende le mosse un'altra storia. Ed è un'altra storia fortemente condizionata, almeno per la
sua
parte iniziale, dalla situazione politica interna a sua volta indotta da quella internazionale. In un movimento
operaio risorto, ma egemonizzato dallo stalinismo, diviso con l'identica logica degli schieramenti est-ovest, si
restringono sempre più gli spazi per la realizzazione dei principi già sanciti dal vecchio statuto:
"Il Sindacato
Ferrovieri Italiani è [era] una organizzazione unitaria aperta a tutti i
ferrovieri senza distinzione di partito e
di religione, appartenenti ai gradi dal 16° all'8° escluso. Essa ha [aveva] lo scopo di tutelare
gli interessi
morali e materiali della classe ferroviaria e, senza essere accodata ad alcun partito politico, seguire, per
raggiungere tale scopo, il metodo della lotta di classe" (8). Castrucci, al pari di altri
anarchici già leader sindacali prestigiosi prima del fascismo (come Sassi, Meschi, per
non parlare di Borghi), si troverà in tarda età ad operare faticosamente per il mero recupero di
una memoria di
classe ormai resa illeggibile dal fascismo, dalla bolscevizzazione del movimento operaio, dalla guerra fredda
incombente.
1) Gli atti sono pubblicati su "Il Treno" Milano, n. 611989. 2) L'opera, a
cura di M. ANTONIOLl e G. CHECCOZZO, comprende una presentazione di G.Ferri (Società
Nazionale di Mutuo Soccorso fra Ferrovieri e Lavoratori dei Trasporto); l'introduzione di M. Antonioli; ed i
seguenti saggi: A. GIUNTINI, Le Ferrovie italiane dalla nazionalizzazione alla nascita del Ministero delle
Comunicazioni (1905-1924); R. BERNARDI, Il SFI dalla nascita al 1909; G.
DINUCCI, Il SFI nella fase a
direzione sindacalista; G. SACCHETII, Il SFI dalla "settimana rossa" alla grande guerra;
G. SACCHETTI, Il SFI durante il "biennio rosso"; F. DAMIANI, Il
SFI dal congresso di Bologna allo scioglimento della CGdL. 3) Cfr G. PROCACCI, La classe
operaia italiana agli inizi del secolo XX, in "Studi Storici", a.III (1962) fasc.
I. 4) Agli "sproloqui e spropositi del senatore Einaudi" apparsi sul "Corriere della Sera" si risponde su
1'"Avanti!"
del 7/1/1920. 5) Cfr "La Tribuna" 9/7/1914, "La Stampa" 22-23/7/1914, "Avanti!"
23-26/7/1914. 6) La cultura professionale, "L'Ordine Nuovo" n.15/1919. 7) Cfr "In Marcia!", nn 2 e
3 del 1917 e, per il raffronto con le ferrovie britanniche, F. McKENNA, The Railway
Workers 1840-1970, Faber London 1980. 8) Cfr "La Tribuna dei Ferrovieri" 16/2/1919.
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