Rivista Anarchica Online
Cinema: botta e risposta
Felice o tristarello?
Caro Felice, anche se in netto ritardo ho piacere di farLe sapere ciò che penso della Sua
recensione apparsa nello scorso
Maggio su "A". Se per talune considerazioni posso accettare serenamente la Sua opinione (era il mio primo
film scritto, diretto,
interpretato nonché prodotto) per altre mi sento in dovere di risponderLe. In particolare in
riferimento al Suo commento che il mio film andasse bene "per chi non aspetta che una
spintarella per farla finita dalla vita". Ollallà ... Lei sarà pure Felice di nome ma tristarello
di fatto! Credo che ci siano ben altri film per esempio visti
a Venezia quest'anno che inducano a scelte così drastiche ... Felice, ma che dice? Lei non si sarà
divertito ma
non generalizzi. Non solo non si è suicidato nessuno ma "Il silenzio dei prosciutti" è
entrato nella Top Ten dei film italiani più
visti, è stato venduto con successo in 46 Paesi, ha vinto un premio, ha ottenuto una lusinghiera critica
da
Variety. Lei insiste dicendo che il mio film "porta al bocchettone del gas" ... che "la società ha
perso la capacità di
ridere"? Felice ma dove vive? La società, quella vera che va al cinema a vedere in genere i film
comici, che guarda per esempio "Striscia la
Notizia" (scusi se mi cito anche per la TV ma ne ho ben donde) si diverte e come. Fortunatamente non riescono
nemmeno gli articoli di Felice Accame ad incupire questa società o a dissuaderLa dall'andare a
divertirsi. Concludo con la piena convinzione che non ci sia "inettitudine" sicuramente nel mio lavoro: ho
appena ultimato
le riprese di un divertente film in Italia e mi accingo a girarne un altro, torno a Los Angeles nella prossima
primavera per interpretare un film come attore in una produzione USA e per altre cose fra cui la preparazione
del mio secondo film da regista. Tralascio infine ogni considerazione sul finale del pezzo in cui asserisce che
tale inettitudine "si basa su una cultura criminale": credo che la Storia stia ampiamente dimostrando che se
c'è
qualcosa di criminale è sicuramente la cultura perdente ed ipocrita dalla quale Lei proviene come
estrazione
mentale. Si faccia coraggio quindi, il mio lavoro nel cinema prosegue, forse dovrà ancora parlare
di me ahilei. Con lo
stesso coraggio Le garantisco io cercherò di leggere quelle recensioni.
Ezio Greggio (Milano)
Fiero di essere minoranza
Cara Direzione rispondo con piacere alla lettera di Ezio Greggio perché, nel modo in cui un
po' mi delude, apre il varco,
comunque, a discorsi seri. Tenterò di essere schematico: 1. Greggio dice che, in seguito al suo
Silenzio dei prosciutti (cfr. la mia recensione Silenzio dei prosciutti e
la
voce dei salami, in "A" 209, maggio 1994) "non si è suicidato nessuno". Mi sembra, fra tutte,
la sua
affermazione più grave. Non ne sarei mai tanto sicuro. Questo è un argomento sul quale chi si
sente davvero
innocente farebbe sempre bene a rimanere in silenzio. C'è uno splendido
racconto di Durrenmatt, La panne (in
Requiem per il romanzo giallo; Torino 1956, 1975, 1981, 1991, pp. 159-220), in cui un
"innocente" cittadino
svizzero si trova, fra lazzi e frizzi, in una sontuosa cena-istruttoria che ne capovolgerà integralmente
la
coscienza di sé e della propria responsabilità al mondo. Forse, non sarà "divertente",
ma va letto. 2. Greggio dice che la società "vera" va al cinema, sceglie i film comici e si diverte.
Non è bello, dire queste
cose, e non penso neppure che Greggio voglia proprio dirle. Sarebbe "falsa", allora, quell'altra società
che o non
può o non vuole effettuare medesime scelte? Sicuramente no. Greggio per primo
credo che, davanti ai tanti
negletti, concussi e vilipesi di questo pianeta, saprebbe da che parte stare. 3. Proverrebbe, il sottoscritto,
da una "cultura perdente ed ipocrita" che la Storia starebbe "ampiamente
dimostrando" essere "criminale". Ora, a parte il fatto che la Storia la scrive chi vince e, dunque, in quanto tale,
non può dimostrare alcunché, debbo dire che non comprendo bene a quale "cultura" mi si
ascriva. Non credo
che Greggio conosca i miei pochi scritti e la modestissima rivista (Methodologia) che, con alcuni
amici, dirigo.
Che sia "perdente" la cultura che rappresento, comunque, mi pare inequivocabilmente vero, ma di ciò,
sia
chiaro, sono fiero. Mi sento "minoranza" ovunque - a volte, perfino in "A" -, ma non sento la cosa come
svalorizzante. Comunque il fatto che Greggio parli di "cultura perdente e ipocrita", mi fa pensare che il suo
obiettivo mi trascendesse di parecchio. Forse il suo pensiero andava a quel genere di anarchici così ben
disegnati, anni fa, dagli Uffici Stampa delle Questure quando erano in cerca di coperture per i numerosi delitti
perpetrati da questo Stato. Quando io dicevo che la sua "inettitudine" si basava su "una cultura criminale"
(ebbene sì, il primo a lanciare
il forte aggettivo sono stato io), mi riferivo a quei meccanismi di legittimazione sociale di cui i mezzi di
comunicazione di massa si avvalgono per ottenere sempre e comunque un consenso che, poi, direttamente, si
estende a chi, grazie a questi mezzi, esercita il potere. Facevo l'esempio delle risate preregistrate e degli applausi
comandati (che ci riducono, noi spettatori, a "topolini pavloviani", dicevo), ma avrei anche potuto parlare del
"finto pubblico in sala", sempre ben selezionato per sesso e modi di viverlo, delle "partecipazioni di
popolanità
spontanea ed entusiasta" tipo "ruota della fortuna", degli "ospiti" o dei mille altri marchingegni che l'arte
televisiva ha escogitato in questi anni essenzialmente allo scopo di auto-garantirsi, surrettiziamente, il favore
della gente. Tutto ciò, ribadisco, fa parte di una cultura criminale perché fa violenza. Che il film
- per
quell'eccesso di autoreferenzialità in cui finiva con il cadere - tradisse un rapporto genetico con questa
cultura,
per me, purtroppo, è risultato evidente. 4. Dico "purtroppo" perché anche ciò, come
dicevo, minava alla base gli effetti comici del film. E qui mi
dispiace che Greggio non abbia voluto dircene alcunché. In poche righe, infatti, mi ero provato a
sintetizzare
una "teoria del riso", diciamo "tascabile". Mi ero riferito alla teoria di Ceccato (Cibernetica per tutti;
Milano
1968, pp. 133-135; e anche Ingegneria della felicità; Milano 1985, pp. 108-112)
perché è l'unica che si basi su
un modello dell'operare mentale sufficientemente ampio e convincente e perché mi pare più
comprensiva di
quelle dei tanti che l'hanno preceduto (Platone, Aristotele, Hobbes, Freud, Nietzsche e Bergson, per esempio
-
cfr.: P. Banchieri, Le teorie sul riso e come si ride in Germania; in Critica
sociale delle scienze, 1, 1985, pp.
47-52). Grazie a questa teoria, spiegavo come e perché, ad un certo punto, il meccanismo comico del
film di
Greggio non poteva più funzionare. Di questo sì, che mi piacerebbe discutere con Greggio che,
da tecnico,
dovrebbe saperla lunga ed essere interessato a saperla più lunga. Invece, mi ha scambiato per un critico,
e ha
lasciato perdere. Peccato. Lui, a mio disdoro, dice che Il silenzio dei prosciutti è
penetrato nella "Top Ten", che si è diffuso come
un'epidemia in 46 Paesi, che è stato premiato e lusingato da Variety. Bene, ne sono
contento per lui se ciò
davvero costituisce il criterio della sua soddisfazione. I miei criteri, come ben sanno i pochi e indulgenti lettori
che ho sono altri.
Felice Accame (Milano) P.S.: Il fatto che Greggio, oltre che
"persona", "personaggio" pubblico, legga "A" e che ci scriva, comunque -
a dispetto di qualche opinione, forse, discordante -, non può che indurci a simpatia nei suoi confronti.
Abbiamo,
finalmente, trovato le origini, o meglio, l' "estrazione mentale", di quelle spontanee jacqueries con
cui, a volte,
sa arricchire Striscia la Notizia.
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