Rivista Anarchica Online
Post-strutturalismo e anarchismo
di Todd May
La teoria politica post-strutturalista è anarchica? In questo approfondito saggio Todd May risponde
affermativamente. E spiega perché.
Vorrei dire qualcosa sulla funzione di ogni diagnosi sulla natura
del presente. (...) Qualunque descrizione deve
sempre concordare con quelle specie di fratture virtuali che aprono gli spazi di libertà intesi come uno
spazio
di libertà concreta, cioè di cambiamento possibile (1)
Michel Foucault
...ovviamente un'intera serie di vittorie parziali e incomplete, di
concessioni ottenute da coloro che
detengono il potere, non sarà sufficiente a portare a una società anarchica. Ma amplierà
la portata del
libero agire e il potenziale di libertà nella società che abbiamo (2)
Colin Ward
La difficoltà nel valutare la filosofia politica dei post-strutturalisti francesi - Foucault, Deleuze e
Lyotard in
particolare - è inseparabile dalla difficoltà nel comprendere quale sia la loro filosofia politica
generale. Che essi
abbiano rifiutato il marxismo come resoconto adeguato della nostra situazione sociale e politica, è cosa
chiara.
Ma con cosa lo abbiano sostituito è ancora oggetto di controversie. Ciò è dovuto al fatto
che, invece di offrire una
teoria politica generale, i post-strutturalisti ci hanno fornito analisi specifiche di situazioni concrete di
oppressione. Dalla "Storia della follia" di Foucault a "Il differendo" di Lyotard, la loro
attenzione si è accentrata
sulla follia, la sessualità, la psicoanalisi, il linguaggio, l'inconscio, l'arte, ecc. ma non su un resoconto
unitario di
cosa sia la politica o delle modalità di una sua conduzione nel mondo contemporaneo. Questa
assenza, o rifiuto, di una teoria politica generale ha portato alcuni critici ad accusare i post-strutturalisti
di relativismo normativo autofrustrante o direttamente di nichilismo (3). La domanda che tali critici pongono
è:
se i post-strutturalisti non sono in grado di offrire una teoria politica generale che includa sia un principio di
valutazione politica che una serie di valori che forniscano il fondamento di una critica, le loro teorie non scadono
di conseguenza ad una decisione arbitraria o, ancor peggio, a puro caos? Il presupposto su cui si basa una tale
domanda è che al fine di potersi adeguatamente impegnare nella filosofia politica, è necessario
innanzitutto
possedere una serie di valori, che siano generalmente accettati, oppure che possano essere difesi facendo ricorso
a dei valori accettati. E' quindi indispensabile formulare la propria filosofia politica ricorrendo a tali valori e
fondamenti. Infine, sarebbe necessario confrontare la situazione politica presente con quella formulata, al fine di
aiutare a comprendere i difetti del presente e i possibili itinerari per giungere a un rimedio di tali difetti (4). La
sfida che viene posta al post-strutturalismo è quella di offrire un resoconto di se stesso come pratica
politica
teorica. Si tratta di una sfida alla quale non è possibile rispondere secondo i criteri delle due tradizioni
che hanno
definito lo spazio della teoria politica nel corso del ventesimo secolo: il liberalismo e il marxismo. Ambedue
queste tradizioni sono state respinte dai post-strutturalisti. Vi è però una tradizione, pur non
menzionata dai post-strutturalisti, all'interno della quale il loro pensiero può essere situato ed essere
così meglio compreso e valutato.
Questa tradizione è la negletta "terza via" della teoria politica: l'anarchismo. L'anarchismo viene
spesso archiviato secondo gli stessi criteri applicati per il post-strutturalismo e cioè per essere
un relativismo etico o un caos volontarista. Ma la tradizione teorica dell'anarchismo, anche se non altrettanto
voluminosa di quella del marxismo o del liberalismo, fornisce un contesto generale nell'ambito del quale il
pensiero post-strutturalista può essere situato ed essere così valutato in maniera più
adeguata. La parte che segue
del presente articolo si propone di giungere a considerare il post-strutturalismo come una forma contemporanea
di anarchismo. Verrà discussa in primo luogo la tradizionale posizione anarchica. In secondo luogo,
verrà presa
in considerazione la critica post-strutturalista di alcuni concetti del diciannovesimo secolo che stanno alla base
della letteratura anarchica. In terzo luogo, si abbozzerà un anarchismo libero da tali concetti e più
consonante al
pensiero politico france contemporaneo, vale a dire un anarchismo post-strutturalista. In questo abbozzo,
verrà
mostrato come tale anarchismo sia libero dai problemi che viziano quello che potrebbe essere definito come un
teorizzare politico "fondazionista", del tipo descritto sopra.
Dal basso e da diversi punti Nel conflitto tra
Marx e Bakunin, che ha contraddistinto la Prima Internazionale, erano in questione sia il metodo
che i fini dell'organizzazione del proletariato contro la borghesia (5). Secondo l'opinione di Marx, era necessaria
l'esistenza di una dirigenza centralizzata che coordinasse la lotta. Lo scopo della lotta, inoltre, avrebbe dovuto
essere quello di conseguire la proprietà statale dei mezzi di produzione da parte dei proletari. Tutto
ciò, per
Bakunin, era incompatibile con gli obbiettivi dei lavoratori e avrebbe portato inevitabilmente a una nuova struttura
politica repressiva. "Poiché ci dovrà essere un potere politico, ci saranno inevitabilmente soggetti,
in guisa, è vero,
di cittadini nel più schietto senso repubblicano, ma tuttavia sempre soggetti e in quanto tali costretti a
obbedire,
perché senza obbedienza nessun potere è possibile" (6). Quel che Bakunin trova errato nella
politica di Marx, sia
nella sua strategia che nei suoi scopi, è l'idea di rappresentazione come concetto politico. Là dove
c'è
rappresentazione, c'è oppressione. L'anarchismo può essere definito come la lotta contro la
rappresentazione nella
vita pubblica. La rappresentazione, come concetto politico, è la trasmissione di potere da un gruppo
di persone a un'altra persona
o a un altro gruppo di persone, all'evidente fine di vedere realizzati gli interessi dei primi. La rappresentazione
politica differisce da quella amministrativa, che non richiede trasferimenti fondamentali di potere, ma
semplicemente una delega delle capacità amministrative. Nella rappresentazione amministrativa, un
gruppo dà
a un individuo o a un altro gruppo il potere di mettere in atto programmi specifici o mezzi specifici per conseguire
uno scopo generale; il gruppo rappresentante può essere destituito o revocato in qualsiasi momento e tutte
le
decisioni finali sono di competenza del gruppo rappresentato. La rappresentazione politica, invece, richiede un
trasferimento di potere decisionale dal rappresentato a colui che lo rappresenta (7). L'individuo, o il gruppo,
rappresentante, agisce in nome, e pertanto con la legittimazione, del gruppo rappresentato; le sue decisioni non
possono essere ribaltate dal gruppo rappresentato. Il pensiero anarchico non ha fiducia nella rappresentazione
politica perché considera la cessione di potere come
un invito all'abuso. In questo senso, non sono solo il potere statale o quello economico a essere oggetto della sua
sfiducia, bensì tutte le forme di potere esercitate da un gruppo su di un altro. Nell'ambito della tradizione
anarchica, il concetto di politica e il contesto politico sono più ampi di quanto non lo siano nell'ambito
del
marxismo o del liberalismo. Per Bakunin, i due ordinamenti di potere fondamentali contro i quali è
necessario
lottare (oltre ai capitalisti) sono, come indicano le sue opere maggiori, lo stato e la chiesa (8). A questi, gli
anarchici venuti dopo di lui hanno aggiunto i dirigenti industriali, il patriarcato e l'istituzione del matrimonio, le
carceri, la psicoterapia e una miriade di altre oppressioni (9). Pertanto, in tutte le aree della vita sociale di un
individuo, l'anarchismo promuove un'adozione delle decisioni consensuale e diretta, invece che una delega di
autorità. L'adozione diretta di decisioni lungo i vari registri della vita sociale di una persona, consente
un approccio più
decentralizzato all'intervento politico rispetto a quanto non consente il marxismo. Per quest'ultimo, sebbene vi
sia tutta una serie di pecche sociali che possono, strettamente parlando, non essere riducibili alla struttura
economica capitalista, è pur sempre il capitalismo che fonda la loro possibilità. Alla fine
c'è un solo intervento
che conta: l'intervento per riappropriarsi del plusvalore attraverso la conquista dei mezzi di produzione e la presa
di possesso dello stato. Il marxismo, indipendentemente da quanto abbia appoggiato le lotte contro il razzismo,
il sessismo, ecc., le ha sempre viste come strategicamente subordinate alla lotta per il socialismo economico. Ed
è per questo che si presta a forme centralizzate di lotta e di rappresentazione politica, in pratica al
leninismo, come
propria espressione strategica. Come gli anarchici hanno fatto notare, e come la storia ha reso evidente, tali mezzi
non vanno tenuti separati dai loro fini. La dittatura del proletariato si è rivelata essere, sopra ogni altra
cosa,
soprattutto una dittatura. "E' pertanto diventato evidente che un ulteriore progresso nella vita sociale non va
cercato nella direzione di un'ulteriore concentrazione di potere e di funzioni regolative nelle mani di
un'entità
governante, ma nella direzione della decentralizzazione, sia territoriale che funzionale" (10). Territoriale
e
funzionale. Sia nella strategia, che nei fini. Il vero cambiamento politico viene dal basso e da diversi punti, non
dall'alto e da un centro. "L'alternativa anarchica è quella della frammentazione, della fissione piuttosto
che della
fusione, della diversità piuttosto che dell'unità, di una massa di società diverse piuttosto
che di una società di
massa" (11).
Capacità naturale L'anarchismo, quindi,
si concentra sugli oppressi stessi e non su coloro che affermano di parlare per loro. E vede
l'oppressione non solo in un tipo di situazione, ma in tutta una varietà di situazioni irriducibili. Per avere
una
comprensione dell'oppressione è necessario descrivere la situazione in cui essa è localizzata; non
esiste alcunché
di definibile come una classe che è oppressa a priori in tutte le situazioni. Qui l'anarchismo dimostra una
resistenza non solo alla riducibilità, ma anche, più in generale, all'astrazione. "Proclamando la
nostra moralità di
eguaglianza, o anarchia, rifiutiamo di arrogarci un diritto che i moralisti hanno sempre rivendicato per sé,
quello
di mutilare l'individuo in nome di qualche ideale" (12). Quello a cui l'anarchismo si oppone sono i diversi modi
in cui l'individuo diventa subordinato a qualcosa che gli, o le, è esterno. La rappresentazione da parte di
un gruppo
o di un altro individuo è una forma di tale subordinazione. La rappresentazione dell'umanità di
una persona per
mezzo di un ideale ne è un'altra. Che si tratti del "bene", o della "marcia della storia" o dei "bisogni della
società",
l'anarchia sospetta degli ideali la cui funzione è quella di costringere gli individui a subordinarsi a una
causa più
grande di loro. Ciò non significa, tuttavia, che l'anarchia sia individualista nel senso liberale o
moralmente edonistica.
L'individualismo liberale ha sempre affermato di dare più valore alla libertà che a un'eguaglianza
imposta,
ritenendo che quest'ultima richieda degli inutili vincoli per la prima. Nella tradizione anarchica, però, non
ha alcun
senso parlare di libertà senza qualche nozione di eguaglianza. "Libertà senza eguaglianza significa
che il povero
e il debole sono meno liberi del ricco e del forte ed eguaglianza senza libertà significa che siamo tutti
schiavi
insieme" (13). La libertà non è giuridica, è materiale; non è definita da come una
persona viene trattata secondo
la legge, ma dalle concrete scelte che si possono fare nelle situazioni in cui ci si trova. Nonostante esista una
tradizione di anarchismo individualista (14), le sue idee vanno contro le analisi anarchiche dell'oppressione
concreta che si verifica in tutta una serie di contesti concreti. L'anarchia, fondamentalmente, non è un
liberalismo
fattosi selvaggio. Non è nemmeno una forma di amoralismo. Rifiutando di sottomettersi a un ideale
di "bene", l'anarchismo non
rifiuta la moralità. Esso afferma invece che, sostenendo un ideale al quale gli individui debbano
subordinarsi, si
agisce in realtà contro l'intuizione morale del rispetto per gli altri. Il rifiuto di un ideale morale avviene
proprio
per motivi morali. Il "bene" non è altro che un altro modo per rappresentare la gente a se stessa, per mezzo
di
qualcosa che le è esterno. Invece di fare affidamento sulle proprie intuizioni morali e sulla propria
capacità di
riflettervi in situazioni irriducibilmente concrete, si chiede agli individui di sottomettesi a un ideale che pretende
di realizzare la loro natura più alta, ma che in realtà li disgiunge dalle proprie capacità
di riflessione critica e di
azione ponderata. Se si vuole che gli individui siano in grado di agire moralmente, bisogna permettere loro di
considerare le situazioni nelle quali si trovano nella loro specificità e materialità, e non spingerli
a sottomettersi
a una formula astratta che viene imposta alle situazioni dall'alto. E' qui che si trova l'a-priori
dell'anarchismo tradizionale: la fede nell'individuo. Fin dalle sue origini, l'anarchismo
ha trovato il proprio fondamento nella fede che l'individuo possa concretizzare moralmente ed efficacemente il
proprio potere di decidere (15). La più chiara formulazione contemporanea di questa fiducia è
quella che viene
dall'anarchico Murray Bookchin (16). Se lasciati fare di testa loro , gli individui rivelano di possedere la
capacità
naturale - nei fatti una propensione - di ideare soluzioni sociali allo stesso tempo giuste ed efficaci. E' solo in
situazioni di ineguaglianza, situazioni nelle quali si consente ad alcuni individui di avere potere sopra altri, che
le capacità individuali vengono deformate e indirizzate verso l'oppressione, invece che verso il rispetto
reciproco
e la creatività. "E' caratteristica del privilegio e di ogni posizione privilegiata, quella di uccidere la mente
e il cuore
degli uomini" (17). In questo senso, la caratteristica comune che contraddistingue tutte le istituzioni che
opprimono - politiche, economiche, religiose, patriarcali o di altro tipo - è la repressione del potenziale
individuale. Quantunque l'oppressione si verifichi su tutta una serie di fronti e in una moltitudine di modi diversi,
tutte le sue varianti hanno in comune la caratteristica di limitare l'azione, di ridurre le possibilità di scelta
individuali. Si dipinge, naturalmente, una parodia dell'anarchismo, quando si afferma che esso promuove il caos
dell'edonismo per sovvertire il monolite del potere statale; ma è qui, nelle nozioni complementari di
competenza
individuale e di oppressione come repressione, che una tale affermazione trova le sue radici.
Disfarsi del soggetto Ci sono, in superficie,
numerose similarità tra il pensiero anarchico tradizionale e la teoria post-strutturalista. La
critica della rappresentazione è un tema centrale dei post-strutturalisti. Deleuze ha detto una volta a
Foucault: "tu
sei stato il primo...a insegnarci qualcosa di assolutamente fondamentale: la indegnità di parlare per altri"
(18).
Decentralizzazione, agire locale, scoperta dl potere nei suoi vari reticoli piuttosto che nel solo stato, sono le
caratteristiche che contraddistinguono le analisi dei post-strutturalisti. Tuttavia, se si dovesse caratterizzare il
pensiero politico post-strutturalista con una sola sua proprietà, la scelta cadrebbe sulla critica
dell'autonomia
implicata dalla teoria del soggetto. Le storie della costituzione del soggetto scritte da Foucault, l'incrostazione del
sociale negli interstizi del personale ad opera di Deleuze e Guattari e le analisi degli aspetti pragmatici del
linguaggio che risultano determinativi per il pensiero, formulate da Lyotard, sono state prodotte, in parte, per
denigrare il concetto di soggetto come entità autonoma, autofondantesi e trasparente a se stessa.
L'a-priori
dell'anarchismo tradizionale è un anatema per il post-strutturalismo. A quanto pare, pertanto, le
somiglianze tra anarchismo e post-strutturalismo si fermano alla superficie. Poiché
cosa ne sarebbe dell'anarchismo senza l'autonomia individuale? E' l'autonomia che fonda la possibilità
di
un'azione dal basso, che contrasta la riduzione alla rappresentazione e che costituisce la dignità morale
che
l'astrazione e la rappresentazione offendono. Senza una fiducia nell'individuo, non ha alcun senso accusare i poteri
istituzionali di reprimere l'individuo; senza un soggetto riconoscibilmente distinto dalla sfera sociale, non ha
assolutamente alcun senso parlare di autonomia. L'anarchismo tradizionale si fonda sul concetto che l'individuo
possiede una riserva che è irriducibile agli ordinamenti sociali del potere: eliminarla, o diluirla in un
reticolo di
pratiche sociali, preclude nei fatti la possibilità di una resistenza. Eppure è proprio la
negazione dell'esistenza, nell'ambito della soggettività, di una riserva che costituisca il luogo
della resistenza, che i post-strutturalisti asseriscono. Foucault e Lyotard sono chiari a proposito. Foucault: "Tutte
le mie analisi sono contro l'idea di necessità universali nell'esistenza umana" (19). Lyotard (in una
recensione
dell'Anti-Edipo di Deleuze e Guattari: "Andare alla ricerca del creditore [quello da cui il plusvalore
è stato estorto
e che si rivolterà per ottenerne il pagamento] è uno sforzo inutile, il soggetto del
credito dovrà sempre essere fatto
resistere, il proletariato dovrà essere incarnato sulla superficie del socius" (20).
Deleuze è il più vicino
all'anarchismo tradizionale; la sua affermazione che "c'è solo desiderio e sociale e nient'altro" (21) sembra
prestarsi ad un'interpretazione dell'autonomia personale che si oppone alla repressione sociale. Ma, per Deleuze,
il desiderio non è autonomia: è energia anonima che possiede un potenziale rivoluzionario solo
in quanto eccesso
sui vincoli che, in connivenza con il sociale, essa stessa crea e mantiene". Alla domanda "Come
può il desiderio
desiderare la propria repressione, come può desiderare la propria schiavitù?" noi rispondiamo che
i poteri che
schiacciano il desiderio, o lo soggiogano, fanno già parte essi stessi dei concatenamenti del desiderio"
(22). Perché la teoria politica post-strutturalista respinge il concetto di autonomia individuale, che
è la prima pietra
della teoria anarchica tradizionale? Foucault, Deleuze e Lyotard cercano il cambiamento sociale in misura non
inferiore a quanto non lo cerchino gli anarchici. Ma se non fanno affidamento su di una riserva nell'ambito del
soggetto che costituisca la fonte del cambiamento, dove la troveranno? Certamente non in un agente
rappresentante esterno che essi unanimemente rifiutano. La rinuncia all'individuo o al soggetto autonomo come
luogo di resistenza e la sua sostituzione con "qualcosa d'altro" costituisce il passaggio decisivo da un concetto di
resistenza radicato nel diciannovesimo secolo a concezioni più attuali. Esso è parallelo agli altri
cambiamenti che
si sono verificati in altre aree della filosofia e che hanno portato, grazie all'attività teorica radicata nel
soggetto,
alla "svolta linguistica" e, più di recente, alla "svolta sociale" (23). I motivi per disfarsi del soggetto
come luogo di resistenza sono sia storici che concettuali. Storicamente la
rivoluzione preannunciata da Marx non si è, almeno in Occidente, verificata. Questo fallimento è
in parte dovuto
al fatto che le classi operaie delle nazioni industrialmente sviluppate non sono, come Marx riteneva sarebbe
avvenuto, andate sempre più immiserendosi. Tuttavia, la ragione del fallimento delle previsioni
rivoluzionarie
viene in parte ascritta alla capacità del capitalismo di manipolare la soggettività (24). La Scuola
di Francoforte,
per esempio, ha cercato di spiegare l'assenza di rivoluzioni facendo ricorso alla capacità del sistema
culturale di
assorbire ogni resistenza e con essa, ogni soggettività. Nel corso degli avvenimenti del maggio 1968 in
Francia,
gli studenti andavano affermando che il capitalismo contemporaneo crea uno spettacolo cui ciascuno è
costretto
a partecipare. In breve, la riserva di autonomia individuale è stata assorbita nei sistemi di oppressione e
pertanto
non è più adatta a formare la base di un cambiamento radicale. La messa in questione
dell'autonomia individuale, tuttavia, è più di un fatto storico. La filosofia del ventesimo
secolo è giunta a concepire il soggetto come una entità soffusa di forze che in precedenza
venivano considerate
esterne ad esso. Si è rilevato come la str4uttura del sapere sia legata alla struttura del linguaggio e alle
pratiche
sociali e culturali di giustificazione: non è una caratteristica intrinseca della specie. Il comportamento
viene
considerato come più profondamente radicato nei contesti circostanti (indipendentemente dal fatto che
si tratti
di rinforzi sociali o del teatro di famiglia inconscio) di quanto non si ritenesse in precedenza. A questi
cambiamenti il post-strutturalismo ha aggiunto una critica dell'umanesimo che preclude un ritorno al soggetto
come speranza della resistenza.
Psiche e potere La critica post-strutturalista
dell'umanesimo è fondata su due principi che si intrecciano: in primo luogo, il
soggetto come tale è costituito in esteriorità e, in secondo luogo, il potere non reprime, anzi crea.
In Foucault, la
critica taglia trasversalmente dimensioni sia storiche che concettuali. Soprattutto nelle sue ultime opere, egli si
occupa della questione di come il soggetto venga costituito nell'ambito di reti di sapere, che sono anche reti di
potere (uno scisma, che Foucault definisce "potere/sapere"). Sorvegliare e punire, "una storia
correlativa
dell'anima moderna e del nuovo potere di giudicare" (25), dimostra come il discorso del sapere sulla psiche
moderna sia anche una pratica di potere, tanto che ciò che è stato letto come un viaggio di
scoperta scientifica può
essere altrettanto facilmente letto come uno spiegamento sempre più sottile di tecnica disciplinare. Nel
nesso tra
scienza e disciplina viene costituito il soggetto in quanto tale. Al soggetto viene attribuita un'autonomia, un
ambito di carattere individuale che si offre ai direttori delle carceri, agli psicologi, agli assistenti sociali, agli
educatori e ad altri come materiale che deve essere plasmato in modelli socialmente accettabili.
Soggettività e
"normalizzazione" diventano termini corrispondenti con una relazione di implicazione diretta; l'interezza di
ognuna delle due dipende dalla adeguatezza dell'altra. I primi volumi della Storia della
sessualità di Foucault
ampliano questi temi, utilizzando come loro punto di riferimento "l'interazione tra verità e sesso lasciataci
in
eredità dal diciannovesimo secolo" (26). I suoi studi offrono delle motivazioni storiche e allo stesso tempo
politiche e concettuali per rifiutare la visione della soggettività come sito appropriato in cui situare la
resistenza
all'ordine attuale. Deleuze si concentra maggiormente sull'energico che non sullo storico (27). Egli si
preoccupa come gli anarchici,
e più di Foucault, di trovare uno spazio di resistenza. Ma, come Foucault, egli rifiuta il concetto di
soggettività,
considerandola come costituita, piuttosto che come costituente. La sua analisi di questa costituzione prende la
forma, nei due volumi di Capitalismo e schizofrenia, del dimostrare come il desiderio, uno strato
energico
produttivo che è "parte dell'infrastruttura" (28), può diventare auto-opprimente nella
sua appropriazione da parte
del campo sociale nel cui ambito esiste. Sotto il capitalismo, il meccanismo centrale dell'oppressione del desiderio
consiste nella costituzione del soggetto attraverso il complesso di Edipo. L'operazione di Edipo è, per
Deleuze
e Guattari, storica piuttosto che antropologica; il suo esito, il soggetto moderno, contribuisce all'ordine sociale,
anziché essere una forma di resistenza a esso. Scoprire la possibilità di una rivoluzione comporta
abbandonare
il soggetto e andare alla ricerca di itinerari alternativi, che Deleuze chiama "linee di fuga" (29) in cui incanalare
il desiderio. Così la critica che Deleuze fa dell'umanesimo va in parallelo con quella di Foucault negando
al
soggetto la dignità della sua autonomia mediante un'analisi dei meccanismi attraverso i quali esso viene
costituito
per essere un soggetto.
Il differendo Durante la maggior parte degli anni
'70, Lyotard ha condiviso l'attenzione di Deleuze per l'energetica, obiettando
solo che Edipo era un elemento irrilevante dell'analisi e che il capitalismo possedeva un proprio meccanismo
energico di autodistruzione (30). Per lui il soggetto non era tanto pericoloso, quanto invece trascurabile;
l'umanesimo era più irrilevante che insidioso. In opere più recenti, Lyotard si allontana dagli
energici per
occuparsi del linguaggio; il soggetto, tuttavia, rimane un argomento non preso in esame. Quel che viene analizzato
ne Il differendo, sono gli aspetti pragmatici del discorso, che permettono ad alcuni discorsi di
raggiungere
un'egemonia, mentre altri vengono ridotti al silenzio. Al centro dell'analisi vi è qui la giustizia, che in un
suo
precedente libro, Solo un gioco, era emersa come elemento di particolare interesse per Lyotard,
poiché egli era
alla ricerca, in seguito all'esaurirsi delle metanarrative, del concetto (derivato da Aristotele) di "giustizia senza
modelli" (31). Il differendo studia la pragmatica politica del linguaggio e sostiene che il discorso
linguistico
appare sempre nella forma di un genere, dotato delle proprie regole di stile, di dimostrazione e di successione.
Nel suo esempio più pressante, egli prende in esame la negazione, da parte di Faurisson, del verificarsi
dell'olocausto. Faurisson sostiene che, non potendo nessuno descrivere l'esperienza delle camere a gas partendo
da esperienze di prima mano, non esiste alcuna prova del fatto che esse siano effettivamente state in opera o che
abbiano ucciso qualcuno. Questo tipo di argomento viene definito da Lyotard un "differendo", "il caso in cui chi
accusa viene spogliato dei mezzi di argomentazione e diventa per tale motivo una vittima" (32). Per Lyotard,
la dominanza di determinati generi di linguaggio cera vittime negando l'espressione propria di altri
generi. La dominanza del genere scientifico è uno di tali generi creatori di vittime, le cui norme probatorie
vengono utilizzate (o meglio, distorte) da Faurisson per negare le rivendicazioni degli ebrei di fronte alla storia.
L'argomento alla base della preoccupazione di Lyotard per la pragmatica del discorso, è che deve esservi
uno
spazio creato per la proliferazione di generi diversi (e anche di tipo nuovo), se non si vuole che
l'incommensurabilità propria dei diversi generi non sfoci in una vittimizzazione di chi parla. In questa
sua
preoccupazione, Lyotard mette a fuoco non l'autonomia del soggetto - che in tal caso non sarebbe altro che
sostituire un altro genere dominante - ma il discorso stesso, le possibilità e i pericoli che si presentano
in virtù
della necessità degli eventi del discorso parlato. I generi di discorso creano mondi; allo stesso tempo, la
dominanza di alcuni generi minaccia di condannare i mondi di altri all'oscurità e, in ultimo, alla non
esistenza.
Trappola dell'umanesimo Le analisi
post-strutturaliste della conoscenza, del desiderio e del linguaggio, sovvertono il discorso umanista,
su cui si fonda l'anarchismo tradizionale. Esse, inoltre, ritengono l'accento posto dall'umanesimo sull'autonomia
e la dignità del soggetto come pericoloso (con l'eccezione di Lyotard, per il quale è il più
delle volte irrilevante),
perché riprenderebbe in maniera subdola i meccanismi essenziali dell'oppressione a cui cerca di opporsi.
L'umanesimo è l'idea dominante del diciannovesimo secolo, e sia l'autonomia individuale che la
soggettività sono
i suoi concetti, che vanno rifiutati se si intende articolare una politica adeguata alla nostra epoca. Questa idea
dominante e i suoi concetti non sono peculiari dell'anarchismo; essi costituiscono le basi sia del liberalismo, con
la sua enfasi sulla libertà e sull'autonomia, che del marxismo tradizionale, incentrato com'è sulla
manodopera
come essere-specie (non è casuale che marxisti recenti, come Althusser, abbiano cercato di riformulare
l
marxismo spogliandolo di ogni categoria umanista). L'umanesimo è il fondamento di tutte le teorie
politiche
lasciateci in eredità dal diciannovesimo secolo. Rifiutandolo, il post-strutturalismo ha messo in questione
non solo
i presupposti fondamentali di tali teorie, ma anche l'idea stessa che la teoria politica richieda in realtà dei
fondamenti. Per questo motivo il post-strutturalismo viene spesso scambiato per un relativismo estremo o per una
forma di nichilismo. Tuttavia, non è in favore del caos che il post-strutturalismo ha rifiutato la
nozione di fondamenti, umanistici o
di tipo diverso, per la propria teorizzazione politica. Quello che invece ha offerto, sono delle precise analisi
dell'oppressione, così come essa opera secondo tutta una serie di registri. Nessuno dei
post-strutturalisti sostiene di offrire delle prospettive insuperabili sull'oppressione; anzi, le loro
analisi sollevano dei dubbi sulla coerenza del concetto di una prospettiva insuperabile nella teoria politica. Essi
preferiscono impegnarsi in quella che è stata spesso definita "micropolitica": una teorizzazione politica
peculiare
di regioni, tipi o livelli di attività politica, ma che non pretende di offrire una teoria politica generale.
Offrire una
teoria politica generale, infatti, andrebbe contro il loro comune assunto, secondo il quale l'oppressione deve essere
analizzata e combattuta sui molti registri e nei molti nessi nella quale viene scoperta. Sarebbe come invitare a
tornare ai problemi creati dall'umanesimo, che è diventato uno strumento di oppressione proprio nella
misura in
cui si è fatto un fondamento concettuale per il pensiero politico o sociale. Per i post-strutturalisti
c'è uno Stalin
in attesa dietro ogni teoria politica generale: o ci si conforma ai concetti sui quali essa si basa, oppure bisogna
essere cambiati o eliminati a favore di tali concetti. Nella teoria politica, in breve, il fondazionismo è
inseparabile
dalla rappresentazione. E' questa la trappola di un umanesimo anarchico. Affidandosi all'umanesimo e alle
sue basi concettuali, gli
anarchici hanno precluso la possibilità di una resistenza da parte di coloro che non si conformano ai suoi
dettati
di soggettività normale. Non è quindi una sorpresa che, nella critica delle carceri fatta da
Kropotkin, egli lodi Pinel
come un liberatore dei pazzi, mancando di individuare i nuovi vincoli psicologici introdotti da Pinel e analizzati
da Foucault nella Storia della follia (33). Per l'anarchismo tradizionale, l'abnormalità deve
essere curata, invece
che espressa; e anche se è molto più tollerante nei confronti della devianza dalle norme in materia
di sessualità
e degli altri comportamenti, rimane in un tale anarchismo il concetto della norma come prototipo del
propriamente umano. Questo prototipo, hanno sostenuto i post-strutturalisti, non costituisce la fonte della
resistenza contro l'oppressione nell'epoca contemporanea; anzi, con la sua unità e il suo operare concreto
è una
delle forme di una tale oppressione. L'anarchismo tradizionale, nei suoi concetti fondazionali - e, inoltre, per
il fatto stesso di possedere dei concetti
fondazionali - tradisce le intuizioni che ne costituiscono il nucleo. L'umanesimo è una forma di
rappresentazione
e pertanto l'anarchismo, come critica della rappresentazione, non può essere costruito sulle sue basi. La
teorizzazione post-strutturalista ha, in effetti, offerto un modo per liberarsi dalla trappola umanista, impegnandosi
in una critica politica non fondazionalista. Tale critica rivela rivela come una teorizzazione radicale
decentralizzata, non rappresentativa, può essere articolata senza basarsi su di un concetto o un'idea
fondamentale,
nel nome del quale offrire la propria critica. Rimane tuttavia una domanda che, non avendo ottenuto una risposta,
mette in dubbio la nozione stessa di post-strutturalismo come critica politica. Se non è in
nome dell'umanesimo
o di qualche altro fondamento che la critica si produce, nel nome di cosa o di chi essa è una critica? Come
possono i post-strutturalisti criticare le strutture sociali esistenti come oppressive, senza nemmeno un concetto
di cosa venga oppresso o almeno una serie di valori che verrebbero meglio realizzati in un altro ordinamento
sociale? Eliminando l'autonomia, perché inadeguata a svolgere il ruolo dell'oppresso nella critica politica,
il post-strutturalismo ha eliminato il ruolo stesso e con esso la possibilità di una critica? In breve:
può esistere una critica
senza rappresentazione? La risposta all'ultima domanda deve essere in un certo senso sì e in un certo
senso no.. Non ci può essere critica
politica senza un valore in nome del quale si critica. Bisogna in qualche modo dire che una pratica o un'istituzione
sono sbagliati rispetto a un'altra.. Per metterla semplicemente, non vi può essere una valutazione senza
valori, e
dove ci sono valori, c'è rappresentazione. Per esempio, nella sua storia delle carceri, Foucault critica le
pratiche
adottate dalla psicologia e dal diritto penale per normalizzare gli individui. Le sue critiche si basano su un valore
che può essere descritto come segue: non bisogna forzare il pensiero o l'azione di altri senza
necessità. Lyotard
può essere letto come promotore del valore, tra gli altri, di consentire la maggiore espressione possibile
ai diversi
generi linguistici. Poiché questi valori vengono ritenuti validi per tutti, alla base della teorizzazione
post-strutturalista vi è una rappresentazione. Tuttavia, questi valori non vanno contro il progetto
anarchico di permettere alle popolazioni oppresse di decidere
i loro obiettivi e i loro mezzi di resistenza nell'ambito dei registri della loro particolare oppressione. Essi non
riducono le lotte combattute in un'area a quelle di un'altra e sono consoni a una resistenza decentralizzata e con
un'autodeterminazione locale. I valori che infondono le opere di Foucault, Deleuze e Lyotard, non sono diretti
alla formulazione dei me3zzi e dei fini degli oppressi considerati come una singola classe e puntano invece a
favorire le lotte dei diversi gruppi, offrendo analisi, strategie concettuali, così come critiche politiche e
teoriche.
Foucault osserva che "L'intellettuale non deve svolgere il ruolo di colui che dà consigli. Spetta a coloro
stessi che
lottano e si dibattono di trovare il progetto, le tattiche, i bersagli che bisogna darsi. Quel che l'intellettuale
può
fare è dare strumenti di analisi" (34). Il post-strutturalismo lascia la decisione di come gli oppressi devono
determinare se stessi agli oppressi, limitandosi a fornire loro gli strumenti intellettuali che potranno risultare utili
durante il cammino. E per coloro i quali sostengono che perfino i valori minimi post-strutturalisti sono troppo e
rifiutano di essere rappresentati come persone le quali pensano che gli altri non dovrebbero essere forzati senza
necessità, o vorrebbero consentire agli altri una loro espressione, i post-strutturalisti non hanno niente da
offrire
come confutazione. Cercare una teoria generale (fuori da ogni conflitto logico o da ogni incoerenza tra valori
specifici) nel contesto della quale collocare tali valori, significa impegnarsi ancora una volta nel progetto di
costruire dei fondamenti e di conseguenza di un progetto di rappresentazione. Oltre il punto dei valori locali che
consentono di resistere lungo una serie di registri diversi, non vi è più teoria, ma solo lotta
(35). Pertanto, la teoria post-strutturalista è in effetti anarchica. Essa infatti è più
coerentemente anarchica di quanto
la teoria anarchica tradizionale non abbia dato prova di essere. La fonte teorica dell'anarchismo - il rifiuto della
rappresentazione mediante mezzi politici o concettuali al fine di ottenere l'autodeterminazione lungo tutta una
serie di registri e a diversi livelli locali - trova la più precisa articolazione dei propri fondamenti nei teorici
politici
post-strutturalisti. A sua volta, il post-strutturalismo può essere visto, invece che come qualcosa che
contiene un
miscuglio di analisi senza rapporto tra di loro, come rientrante nell'ampio movimento dell'anarchismo. Reiner
Schurmann aveva ragione a definire il luogo di resistenza in Foucault, come un "soggetto anarchico" che lotta
contro "la legge della totalizzazione sociale" (36). Lo stesso si potrebbe dire di Deleuze e Lyotard. Il tipo di
attività intellettuale promosso dagli anarchici tradizionali
ed esemplificato dai post-strutturalisti, consiste in analisi specifiche piuttosto che in una critica complessiva. Gli
anarchici tradizionali segnalavano i pericoli di una dominanza dell'astrazione; i post-strutturalisti hanno tenuto
conto di questi pericoli in tutte le loro opere. Hanno prodotto un corpo teorico che si rivolge a un'epoca che
ha visto troppa rappresentazione politica e troppo
poca autodeterminazione. Quello che sia l'anarchismo tradizionale che il post-strutturalismo contemporaneo
cercano è una società - o
meglio, una serie intersecantesi di società - nella quale alle persone non venga detto chi sono, cosa
vogliono e
come vivranno, essendo esse in grado di decidere queste cose da sole. Queste società costituiscono un
ideale e,
come i post-strutturalisti riconoscono, un ideale probabilmente impossibile. Ma è nei tipi di analisi
e nelle lotte che un tale ideale promuove - analisi e lotte mirate ad aprire spazi concreti
di libertà in campo sociale - che risiede il valore della teoria anarchica, sia tradizionale che
contemporanea.
- 1) Gérard Raulet, Strutturalismo e Poststrutturalismo. Intervista a Michel
Foucault (1983), trad. it. In Franco Riccio-Salvo
Vaccaro (a cura di), Adorno e Foucault, ILA Palma, Palermo, 1990, p. 96
- 2) Colin Ward, Anarchia come organizzazione; trad. it. Antistato,
Milano, 1976, p.200.
- 3) Cfr. ad esempio Peter Dews, Logics of disintegration, Verso, London,
1987; Jürgen Habermas, Il discorso filosofico della
modernità, trad. it. Laterza, Bari, 1987 sul relativismo normativo; José Merquior,
Foucault, trad. it. Laterza, Bari, 1988, sul
nichilismo. Per resoconti del dibattito Habermas-Lyotard per il quale è un tema centrale, cfr. David
Ingram, Legitimacy and
the Postmodern Condition; the political thought of Jean-François Lyotard, "Praxis International",
VII, nn. 3/4, inverno 1987-88, pp 268-305; Stephen Watson, Jürgen Habermas and
Jean-François Lyotard: Postmodernism and the crisis of rationality,
"Philosophy and social criticism", X n. 2, 1984, pp. 1-24.
- 4) Ovviamente, non è necessario procedere in questo ordine. Comunque, la
filosofia politica contemporanea - sia europea che
anglo-americana - è stata guidata dal predominio di questi tre elementi interconnessi reciprocamente, con
Rawls e Habermas
che offrono probabilmente gli esempi più critici.
- 5) Per un esame storico del conflitto, cfr. James Joll, Gli anarchici, trad.
it. Il Saggiatore, Milano, 1970.
- 6) Mikhail Bakunin, Selected writings, Cape, London, 1973, p.
253.
- 7) Si può sostenere che, dato che ogni amministrazione concerne
decisionalità, anche una rappresentanza amministrativa esige
un trasferimento di potere; il mutamento, quindi, da rappresentanza amministrativa a rappresentanza politica
è una questione
di gradazione, più che di genere. Ciò è vero; ma è solo un altro modo di affermare
che la politica non è scienza. Delegare una
quantità minima di potere decisionale al corpo amministrativo non significa dismettere le decisioni
fondamentali della propria
vita pubblica. Per dirla altrimenti, la decisionalità anarchica può essere un fine relativo e non
assoluto, ma in quanto fine è
differente dalla democrazia liberale così come dalla dittatura del proletariato.
- 8) Cfr. Mikhail Bakunin, Dio e lo Stato, trad. it. Genova,
1966.
- 9) Per una visione attuale di alcuni fronti di lotta anarchica, cfr. Howard Ehrlich, Carol
Ehrlich, David De Leon e Glenda Morris
(Eds.), Reinventing Anarchy: what are anarchists thinking these days?, Routledge & Kegan
Paul, London 1979.
- 10) Peter Kropotkin, Anarchist communism, in Kropotkin
Revolutionary pamphlets, ed. Roger Baldwin, Dover, New York, 1970,
p. 51.
- 11) Colin Word, op. cit., p.
67
- 12) Peter Kropotkin, Anarchist morality, in op. cit., p.
105.
- 13) Nicolas Walter, About anarchism, in Reiventing
anarchy, cit., p. 43
- 14) Max Stirner e Benjamin Tucker ne sono le figure rappresentative.
- 15) Kropotkin, nel Mutuo appoggio (trad. it. Anarchismo, Catania, 1979),
replica alla tesi darwiniana della selezione naturale,
sostenendo l'esistenza in tutti gli animali di uno spirito cooperativo teso a proseguire la specie, accanto allo spirito
competitivo.
"La socievolezza e la necessità del mutuo appoggio e sostegno sono talmente parte integrante della natura
umana che in
nessuna fase della storia rintracciamo uomini vivere in piccole famiglie isolate, in conflitto reciproco per i mezzi
di
sussistenza" (p. 118, ediz. Ingl., Heinemann, London, 1902).
- 16) "Il progetto rivoluzionario deve prendere le mosse da un fondamentale principio
anarchico: ogni essere umano normale ha la
competenza per gestire i problemi della società e, più specificamente, della
comunità di cui è membro", in Murray Bookchin,
Per una società ecologica, trad. it., Eleuthera, Milano, 1989, p. 189.
- 17) Mikhail Bakunin, Dio e lo stato, cit. (p. 31 dell'ediz. Ingl., Dover,
New York, 1970).
- 18) Gli intellettuali e il potere. Conversazione tra Michel Foucault e Gilles
Deleuze, trad. it. In Michel Foucault, Microfisica del
potere, Einaudi, Torino, 1977, p.110-1.
- 19) Michel Foucault, Tecnologie del sé, trad. it. Bollati
Boringhieri, Torino, 1992, p. 5.
- 20) Jean-François Lyotard, Capitalismo energumeno, in A
partire da Marx e Freud, trad. it. Multhipla, Milano, 1979, p. 173
- 21) Gilles Deleuze-Felix Guattari, L'anti-Edipo, trad. it. Einaudi, Torino,
1975, p.32
- 22) Gilles Deleuze-Claire Parnet, Conversazioni, trad. it. Feltrinelli,
Milano, 1980, p.156
- 23) Cfr. ad esempio Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della
natura, trad. it. Bompiani, Milano, 1986, il testo più rilevante
che sottolinea l'importanza del sociale nell'ambito epistemologico.
- 24) Cfr. Max Horkheimer-Theodor W. Adorno, Dialettica
dell'illuminismo, trad. it. Einaudi, Torino, 1972
- 25) Michel Foucault, Sorvegliare e punire, trad. it. Einaudi, Torino, 1976,
p. 26.
- 26) Michel Foucault, Storia della sessualità, Vol. I, La
volontà di sapere, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1978, p. 52.
- 27) Sebbene in questa sede prendiamo in considerazione soltanto Capitalismo
e schizofrenia, l'interesse di Deleuze all'energetica
risale sin al suo secondo libro, Nietzsche e la filosofia, in cui segue l'analisi nietzschiana della
soggettività nella sua
costituzione da parte di forze attive e reagenti.
- 28) Gilles Deleuze-Felix Guattari, op. cit., p. 115.
- 29) Gilles Deleuze-Felix Guattari, Mille piani, trad. it Istituto
Enciclopedia Italiana, Roma, 1987, Vol. I, p. 3 e seg.
- 30) Per un'analisi complessiva dell'energetica di Lyotard, cfr. il suo Economia
libidinale, trad. it. Colportage, Firenze, 1978; per
la sua critica alla lettura edipica di Deleuze e Guattari, cfr. il suo Capitalismo energumeno, op.
cit.
- 31) Jean-François Lyotard-Jean-Loup Thébaud, Au Juste,
Bourgois, Paris, 1979, p. 35
- 32) Jean-François Lyotard, Il dissidio, trad. it. Feltrinelli, Milano,
1985, pp. 24-25.
- 33) Petr Kropotkin, Le prigioni e la loro influenza morale sui detenuti,
in op. cit.; Michel Foucault, Storia della follia, trad. it.
Rizzoli, Milano, 1963.
- 34) Michel Foucault, Microfisica del potere, cit., p. 144.
- 35) Andrebbe rilevato che è non solo politicamente inelegante, ma
altresì teoricamente impossibile cercare di fondare una serie
di valori per respingerne uno professato da altri. Non si potrebbe rifiutare il valore centrale di Hitler - crudamente:
gli ebrei
erano la causa di tutti i guai dell'Europa e andavano soppressi - se egli potesse rendere logicamente coerenti con
quello tutti
gli altri suoi valori, il che è certamente possibile in linea di principio.
- 36) Reiner Schürmann, On costituing oneself as an anarchist
subject, "Praxis International", VI, n. 13, 1986, p. 307.
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