Rivista Anarchica Online
Varietà e discordanze
Caro Direttore, ho avuto il piacere di leggere - con attenzione - l'articolo di Ranci a
proposito della possibilità di oltrepassare il
relativismo via consapevolezza procedurale (una inconsueta espressione per parlare del benemerito realismo?)
e
devo - purtroppo - dissentire (anche se mi compiaccio della diversità di vedute che d'altronde conferma
l'inevitabile
pluralità di opinioni). In primo luogo - indipendentemente da Feyerabend - Goodman e Quine (anno
1947) avevano argomentato che -
con buona pace di Carnap - non esiste una base migliore di un'altra. Il terreno di riferimento lo scegliamo noi. Non
esiste un insieme di coordinate privilegiate o oggettive. In altri termini: there is not fact of the matter. In secondo
luogo
- pensiamo al celebre scritto di Goodman "Ways of Worldlaking" - le ricerche logico-epistemologiche dei due
autori
hanno sostanzialmente comprovato la giustezza e la inevitabilità del relativismo. La verità e la
falsità sono tali solo se
posti in relazione a un punto di riferimento dal momento che fatti puri non esistono. Esistono invece reti di assunti
e
credenze (l'espressione - cerebrale - è di Quine) che c inducono alla consapevolezza della
diversità - ribadisco
inevitabile - di versioni corrette e perfino contrastanti. In terzo luogo - da un punto di vista strettamente storico
- la
vanificazione del relativismo è venuta dalla cultura di destra. Basti pensare a Jünger, Evola,
Schmitt. Insistere sulla:
"varietà e molteplicità delle tradizioni, sulla irrimediabile varietà delle idee, sul molto
rumore e sui molti disaccordi che
caratterizzano la storia, sulle discordanze di cui è pieno il mondo delle idee genera in molti un invincibile
senso di
fastidio (...) Ma la varietà, instabilità e discordanze costituiscono la fisiologia e non la patologia
del mondo delle idee"
(Paolo Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, p. 26). Oggi soprattutto - prosegue Rossi - "non
sono
molti quelli che non hanno occhi per la varietà delle tradizioni e per le avventure di idee, che sono privi
di senso
storico e di cultura storica, e odiano la varietà, e detestano il relativismo" (p. 28). Il pericolo - caro
Ranci - viene da coloro che sostengono una logica bivalente e dicotomica. D'altronde la presenza
del pluralismo era già stata notata da Herder, da Vico e più recentemente ribadita da
Berlin. L'incompatibilità e il pluralismo "rendono inevitabile il conflitto tra valori e rendono
incoerente, obsoleta e illusoria
l'idea di un Tutto perfetto nel quale coesistano tutte le cose buone, di una armoniosa coesistenza di tutti i Grandi
Beni. La attenuazione dei conflitti, l'equilibrio sempre minacciato e sempre bisognoso di costanti riparazioni
sembrano
certo ai sacerdoti e ai profeti ideali troppo poco nobili e troppo poco eroici" (Rossi, idem, p. 33). La tolleranza
- che consegue logicamente da queste considerazioni - non è una forma di debolezza borghese (questo
lo pensavano Stalin, Hitler e Mussolini ex-socialista rivoluzionario) ma è la conseguenza - ribadisco -
della presa di
coscienza che "nopn esistono accessi diretti alla realtà; che ad essa si accede solo mediante la costruzione
di mappe
e la scelta di fili per il labirinto; che alcune mappe e alcuni fili sono più affidabili di altri, ma che non
esistono nè una
mappa nè un filo in assoluto più veri di qualsiasi altro" (Rossi, idem, p. 50). Ma in fondo
questa non era la lezione di Hume e Bacon? Spero di aver chiarito - a sufficienza - il mio punto di vista e mi
auguro che pubblichiate la mia risposta nel rispetto
della pluralità e della tolleranza. Cordiali saluti
Giuseppe Gagliano (Como)
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