Rivista Anarchica Online
Per concludere
Gli ultimi interventi sull'anarco-capitalismo comparsi in "A" mi spingono a qualche
commento ulteriore, anche se mi pare
che in fondo la materia si sia esaurita. A Federico Tortorelli, che mi comunica della preponderanza delle "istanze
collettiviste, socialiste e comuniste" nelle Marche, rispondo che non posso far altro che dolermi per i marchigiani.
Per
quanto mi riguarda, nutro il più profondo sospetto che per questo tipo di istanze, almeno così
come sono linguisticamente
identificate nell'intervento di Tortorelli. Anzi, posso anche spingermi sino a dire che - se per "collettivismo",
"socialismo"
e "comunismo" si intende alludere a un sistema sociale che escluda la proprietà privata,
l'iniziativa individuale, il
cosiddetto "mercato" e altre amenità liberali di questo genere - esse sono antitetiche
all'anarchismo. Inoltre, sebbene
riesca a immaginare una società in cui tutti i membri scelgono liberamente - e restino costantemente fedeli
a questa scelta -
di mettere in comune i propri beni (unica forma di comunismo legittima ai miei occhi), non mi
sembrerebbe comunque
un'associazione umana che abbia tra i suoi obbiettivi la valorizzazione della varietà, della differenza, del
conflitto (questi
si indispensabili elementi di una società libertaria). In quanto a Carlo Lottieri lo ringrazio vivamente
per avermi dato del "socialista autoritario". La mia piccola fama nei
circoli libertari è quella di un anarchico di "destra", attento alla dimensione individuale delle
libertà e non a quella
sociale, un po' "votaiolo", ecc. ecc. D'ora in avanti, potrò orgogliosamente fregiarmi anch'io del titolo di
"anarchico
di tradizione socialista" (va be' un po' "statalista" e "autoritario")...Scherzi a parte, l'intervento di Lottieri è
fuori del
seminato; le parti non virulente della sua lettera mi sembrano semplicemente ripetere gli argomenti di Piombini
e
ritornare sul tema principale, ovvero la definizione della società libertaria. Lottieri continua imperterrito
a ragionare di
trusts, imprese, mercato, ecc., elaborando categorie e analisi del tutto astratte; riassumendo, mi pare
che la parte
interessante della sua critica - in tutto affine a quella di Piombini - sia che i "socialisti" - con il termine si riferisce
agli
anarchici "autoritari" come il sottoscritto - non vogliono distinguere tra gli oligopoli di fatto (prodotti dal mercato)
e
quelli di diritto (prodotti dallo stato): secondo i libertarians i primi sarebbero legittimi e i secondi
no. Gli "autoritari"
vorrebbero quindi impedire ogni tipo di "libero accordo mercantile". Caro Lottieri, credevo di essere stato
chiaro nella mia precedente risposta a Piombini. Mi cito: nel caso di un
accordo che a mio parere (ma non dei contraenti) implichi la sottomissione, e quindi il dominio, "nessuno
è in diritto di
impedirlo". Io mi limitavo a suggerire "boicottaggio e ostracismo" (persino Berlusconi ammette che sono
legittimi...).
Due cose ancora: 1) mi pare che il Suo intervento sia improntato da una confusione tra il piano normativo e quello
descrittivo. Certo, l'attività di chi si arricchisce sul libero mercato non è "esecrabile" in sé;
l'imprenditore alla
Schumpeter, creativo, innovativo, ecc. è figura affascinante; mi pare però che uno degli argomenti
principali dei
libertarians sia che in Occidente il mercato sia corrotto dall'intervento statale e che le ricchezze
accumulate sullo
stesso mercato siano in fondo dei furti. Insisto: si distingua tra il capitalismo reale e quello immaginario, o se
preferisce, tra il mercato com'è e il mercato come dovrebbe essere (non solo per me, ma anche per Lei
e Piombini),
senza lanciare accuse di moralismo a destra e a manca (io, per esempio, non ho alcuna simpatia per la
povertà, anzi
ambisco solo ad abbandonarla il più presto possibile). 2) Il problema, come dicevo prima, è
quello della definizione di una società libertaria. In discussioni siffatte - che
riguardano cioè la natura di questa società - il punto di riferimento pregnante, caro Lottieri, non
è la legittimità
astratta di specifici comportamenti, ma soltanto la loro desiderabilità. Lei è libero
di immaginarsi una società di
mercato in cui l'esistenza di trust, di corporazioni, di grandi imprese, ecc. non leda la libertà
individuale e non ponga
rapporti di dominio (il dominio è imposizione di autorità); io credo che ciò
sia impossibile sul piano pratico e
indesiderabile su quello teorico - almeno allo stadio attuale dello sviluppo storico in Occidente.
Pietro Adamo
(Milano)
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