Rivista Anarchica Online
Pirati, non corsari
di Alessandro Bresolin
Con l'articolo sul movimento zapatista pubblicato nelle pagine precedenti, Pino Cacucci inizia la sua
collaborazione con "A". Scrittore, traduttore, saggista, ha vissuto a lungo in Messico (dal suo romanzo
"Puerto Escondido" è stato tratto l'omonimo film di Salvatores). Ha scritto sulla banda Bonnot, sulla
fotografa Tina Modotti, ecc. ecc. Alessandro Bresolin è andato a Bologna a intervistarlo
"Io intervistare Cacucci?" "Sì tu. Che non ti va?" "Figurati!".
Subito pensavo ad uno scherzo, visto la sbronza colossale che mi portavo addosso quel
pomeriggio a Padova, fiera dell'autogestione. E invece no, lo si poteva contattare per telefono, fissare 'na data
e via. Il vino non era male e continuava a scorrere, mentre cominciavo a riflettere sui suoi personaggi che mi
hanno comunque influenzato, perché insomma appartengo a quella generazione adolescente negli '80, che
tiene i libri di Cacucci a fianco dei dischi di Kortatu e Mano Negra. Il nostro povero immaginario, cresciuto a
suon di Burghy, Drive In e legge Craxi sulle droghe, trova degli scenari nuovi nelle sue storie, è
l'avventura
OGGI. Ci starebbe bene quello slogan che dice "una società che abolisce l'avventura, fa sì che
l'unica
avventura possibile sia l'abolizione della società". L'avventura possibile in una società
dormitorio, ospizio, da cui si deve partire se si vuole scoprire la vita. Pino Cacucci riesce a dare
velocità quasi inedita alla lingua, un ritmo incalzante che smuove una prosa
italiana imbalsamante da una storia della letteratura nazionale chiusa in un nido rassicurante. Da dove viene
quest'energia del suo linguaggio? Dall'aver assorbito le esperienze più diverse, Hemingway, Camus, per
arrivare a Sergio Leone, alle tecniche del fumetto. La poliedricità di Cacucci non è un caso, autore
di gialli
come "Punti di fuga" e "Puerto Escondido" e collaboratore di Cuore e Manifesto. Scrive un libro sulla banda
Bonnot ("In ogni caso nessun rimorso", Longanesi) e pubblica per la Granata Press un racconto illustrato ed
una storia a fumetti sceneggiata da lui (rispettivamente "Jim" e "Tobacco"). Il tutto unito ad una vita da
viandante tra Europa e Sud America, l'impegno libertario, l'esperienza cinematografica...questa agilità
gli
permette di essere un autore difficile da definire e quindi scomodo. M'avvio verso casa sua dopo 'na notte
quasi insonne. Entro, mi prepara un caffè, diamo mano alle cicche e
cominciamo a chiacchierare. Questo ne è il risultato. A.B.
Nelle tue storie, da Outland Rocks a Puerto Escondido, il marginale è in fuga,
incapace di adattarsi alle
norme sociali. A cos'è approdato oggi questo personaggio, e cos'ha
costruito?
Da un lato questi personaggi sono anche me stesso,
devono qualcosa alle mie esperienze o alle persone che ho
conosciuto, ai semplici viandanti che ho incontrato sul cammino. Quindi è difficile pensare a come si
siano
evoluti, anche perché alcuni di essi li ho cacciati in situazioni talmente estreme che potrebbero essere finiti
malissimo...cioè potrebbero aver scelto quel vecchio motto che diceva "meglio una fine spaventosa, che
uno
spavento senza fine". Sicuramente non potrebbero mai essere integrati, cioè non potrebbero aver fatto
come
certi "leaderini" di vent'anni fa che dopo si sono trasformati in caricature da yuppies. Posso immaginare
alcuni che ancora vagabondano per il mondo cercando qualcosa che non sanno cosa sia, coscienti del fatto che
devono continuare a cercare. Quelli che m'assomigliano di più, possono essere in una situazione simile
alla
mia: sempre precario, e forse non lo sono mai stato tanto come da quando ho trasformato lo scrivere in
mestiere. Perché è un'attività totalmente precaria, nessuno mi dà uno stipendio,
ed ogni giorno devo
inventarmi qualcosa per pagare le spese del mese. Quindi i miei personaggi, a distanza di anni, non avrebbero
acquisito una "maturità", ma avrebbero imparato a farsi "meno male", continuando a tenersi da parte
rispetto
ad un sistema che non accettavano prima e non potrebbero accettare ora.
Oggi si fa un gran
parlare di Generazione X, grunge, ecc. nella nuova narrativa italiana. Cosa pensi di
questi giovani autori, rappresentano una novità?
La
novità la rappresentano nel senso che sicuramente si è usciti dall'appiattimento che io sentivo
negli anni
'80. Anni di "vuoto pneumatico", in cui quello che si produceva lo sentivo come molto artefatto, un
minimalismo che, tranne rari casi, guardava al proprio ombelico come il centro del mondo. Adesso c'è
una
rivitalizzazione, anche se da quanto ne so questo rifarsi alla generazione X ha dei connotati di un "mettersi da
parte" senza influire minimamente sulla realtà. Questo in qualche maniera non mi appartiene, è
un
estromettersi senza alcuna pretesa sul piano sociale. Io e i miei personaggi invece non perdiamo occasione per
"rompere le scatole"...insomma preferisco quelli che, pur rimanendo all'interno di una determinata società,
senza illudersi di poter cambiarla, conquistano degli spazi e cercano di gestirseli.
Quanto
ti senti influenzato dalla letteratura sudamericana? Cioè, ti senti in un certo senso partecipe di
quella "famiglia" del nuovo romanzo d'azione (Taibo, Montanina,
Sepulveda)?
Vivere da quelle parti per un certo periodo di tempo
è stato fondamentale, perché ha influenzato poi tutto
quello che ho scritto. E non so se questo può riguardare lo stile...non credo, penso di più a tutte
le esperienze,
la vita che ho scoperto in quei luoghi che poi ho utilizzato nelle cose che ho raccontato. Rispetto ad alcuni
degli autori che hai citato anche tu, sono dei veri e propri amici. Cioè noi troviamo spesso l'occasione per
ritrovarci con persone come Sepulveda, Paco Taibo, Daniel Chavarria e tutta una serie di scrittori di ogni
angolo dell'America latina. Quasi tutti, tranne i messicani, sono esuli. Esuli spesso volontari, scappati. Hanno
alle spalle storie di clandestinità, resistenza alla dittatura...quindi l'esilio ha segnato profondamente il loro
modo di essere, e secondo me da questo come scrittori ne sono enormemente arricchiti, perché raccontano
storie di una profondità che tanti altri non potrebbero raggiungere. C'è una forte impronta
libertaria tra questi
autori, perché hanno dovuto provare non solo l'orrore della dittatura di destra, ma anche le
irresponsabilità dei
vari partiti comunisti. Quindi hanno al contempo coscienza antifascista e antistalinista. La cosa interessante
è
che ora tra questi scrittori, si è deciso di definire il genere che usiamo, come nuovo romanzo d'avventura,
perché ormai di distinguere tra giallo, nero, azione, thriller, era difficilissimo. Questo ci unisce tutti sotto
un
qualcosa che non è un cartello o un manifesto, ma è una serie di esperienze di vita più
o meno simili,
Riprendendo la questione dei generi, tu sei arrivato ad affermarti con alcuni
da sempre poco considerati
dalla critica, quali il giallo o l'avventura. Caratteristica della letteratura italiana è il troppo accademismo.
Pensi che tutto ciò stia cambiando in qualche modo?
Un
certo accademismo sclerotizzato non cambia, ma sicuramente ora ci sono più voci. Noi (quelli che
scriviamo d'avventura) non costituiamo un problema perché non siamo letterati, quindi non entriamo nella
letteratura, non siamo neanche presi in considerazione ma...meno male, va benissimo così. Perché
io stesso
non mi definirei mai letterato e fatico anche a definirmi scrittore. Mi considero piuttosto un "raccontastorie".
In Italia le cose stanno cambiando, ora, per motivi anche puramente commerciali, dovendo sostituire una
generazione con un'altra, si sono gettati sulla pubblicazione degli esordienti, Che è comunque un fatto
positivo perché ci fa scoprire nuovi talenti.
La tecnologia investe sempre più
parte della vita sociale, da quella domestica, lavorativa, letteraria. Oscilla
sempre tra progresso/benessere e la creazione di maggiore controllo sociale. Ti senti più cyber o
sabotatore? Cosa pensi degli ipertesto che consentono svariate soluzioni ad una
storia?
Sappiamo che la computerizzazione della società
nasce come tentativo di controllo da parte del potere.
Controllo che è poi anche la singola telecamera...cioè io che per esempio abito a Bologna,
città più
telecamerizzata d'Italia, vedo che due ragazzini scappano di casa e già li hanno ripresi per strada. Qui sta
il
rifiuto. poi c'è la possibilità che le tecnologie vengano utilizzate contro tutto questo. Sapendo che
il luddismo
non può raggiungere più di tanti risultati...è molto meglio combattere con gli stessi mezzi.
Quindi mi piace
vedere tanti anarchici, che per primi hanno usato il mezzo per sabotare, ora se ne appropriano per la
comunicazione tra realtà antagoniste. E la stessa cosa succede con Internet, da un lato grosso mezzo di
diffusione di potere, dall'altro questo stesso potere che lo ha inventato non sa come impedire l'accesso a chi
è
contro tutto questo. Personalmente mi sono sempre sentito sabotatore, legato alla vecchia idea romantica del
pirata, distinto dal corsaro che compie assalti per conto di una corona. di un potere. Il pirata invece è
contro
tutti ed il massimo a cui può arrivare è una fratellanza di autodifesa fra tante isole collegate. Ora
si ripete
questa situazione, tante isole collegate in maniera cibernetica che tentano di lasciar fuori il potere. Rispetto
all'ipertesto sono molto dubbioso. Mi attira come idea, però i risultati fin qui ottenuti non
m'affascinano più di tanto. L'idea di base è che il lettore può intervenire ed essere
partecipe di questa storia,
ma alla fine le soluzioni gli sono già date comunque. E lui cerca all'interno le soluzioni che gli si
forniscono,
non che sceglie lui. Penso che quella libertà che il lettore cerca ce l'ha già in un romanzo, in cui
può
immaginarsi come parla un tale personaggio, com'è la scena...a differenza del cinema che gli dà
tutti gli
elementi sullo schermo.
A proposito, come t'ha influenzato l'esperienza cinematografica
nello scrivere?
Il cinema m'ha influenzato fin dall'inizio
perché è sempre stato una grande passione. Quindi scrivendo una
storia me la proietto già in testa, me la descrivo come se guardassi il film di quella storia. Procedo
più per
immagini che per descrizioni letterarie. La mia esperienza diretta con il cinema non è stata sempre
gioiosa,
anzi fatta di conflitti e difficoltà. Comunque positive sono state le esperienza fatte, soprattutto quella di
Puerto
Escondido...ma non è un ambiente in cui mi trovo a mio agio. Forse perché sono abituato male,
perché
quando scrivi sei assolutamente libero.
Dall'esperienza che hai avuto come direttore di
Nuova Express, quali conclusioni trai riguardo al futuro
dell'editoria di base ed ai problemi cui deve far
fronte?
L'esperienza di Nuova Express è stata esaltante
finché è durata. Mi crea rimpianto ripensarci, perché c'erano
tante possibilità di renderla anche un piccolo punto di riferimento, una fucina di talenti. Ma la situazione,
in
questo caso del fumetto, è in crisi nera perché il pubblico è ristretto, e una rivista di quel
tipo, con alti costi di
produzione, non può campare con sette-otto mila lettori. Ma la crisi del fumetto si inserisce in una
crisi generale delle realtà editoriali medio-piccole che non hanno
grossi capitali. Realtà che si stanno sgretolando una dopo l'altra, ed è un panorama tragico.
Perché questo
famigerato mercato con le sue regole perfette...sono perfette per eliminare ogni antagonismo. Ci sono molti
capitoli collegati (pubblicità, distribuzione in edicola e libreria, costi della carta, ecc.), che se non hai
grandi
mezzi funzionano come un meccanismo che pian piano ti strangola. L'unico tentativo di controtendenza, che
però comporterebbe una sensibilizzazione da parte del lettore, sarebbe di diffondere enormemente gli
abbonamenti. Si dovrebbe capire che più ci si abbona (come per A ed Umanità Nova), più
si garantisce la
sopravvivenza delle testate, saltando un sistema di distribuzione che non funziona.
Il
movimento libertario dovrebbe saper leggere la realtà in modo più incisivo e "proporre" di
più. Come
vedi il suo futuro?
In un certo senso io trovo che quello che
dall'esterno del movimento può essere visto come un arroccamento
su posizioni ormai superate, è la difesa positiva di un patrimonio. Gli anarchici, che sono purtroppo una
minoranza, devono mantenere il bagaglio di esperienze e trasmetterlo a chi si avvicina all'anarchismo.
Riuscire a coordinarsi per incidere di più sulla realtà è un problema che rimane. Forse
l'unica critica che mi
verrebbe da fare verso alcuni settori dell'anarchismo, è la poca elasticità mentale verso certi
fenomeni. Mi
riferisco a certe situazioni concrete in America Latina. Per esempio, sento condannare una esperienza come
quella sandinista, che ad un certo punto si è posta il problema di diventare potere ed ha creato delle
storture,
ma che però aveva delle spinte libertarie che andavano colte. Infatti si è distinta molto rispetto
ad altre
rivoluzioni. Esempio analogo è quello della Teologia della Liberazione che anch'essa ha degli elementi
libertari, pur rimanendo poi le differenze sul credere, sul ruolo della chiesa come strumento d'oppressione.
Però ci sono dei preti in Sud America, che lottano contro le istituzioni e per i nostri stessi obbiettivi. Ed
infatti
loro nemico è il Vaticano, il clero. Sono libertari anche se non arriverebbero mai ad ammetterlo.
Questione di
elasticità mentale che un movimento non dogmatico dovrebbe avere, rispetto ad altri movimenti
autoritari.
Quella elasticità che hanno dimostrato gli zapatisti, prendendo in
contropiede il mondo. Quanto pensi
possano influenzare, e quali sono le parti propositive del movimento zapatista che t'affascinano di
più?
La novità assoluta è che il
movimento ha subito dichiarato: "noi non vogliamo il potere; abbiamo le armi ma
siamo antimilitaristi". Quando poi hanno chiesto a Marcos chi fosse, lui ha risposto con una serie di esempi
d'emarginazione: è un gay a S. Francisco...un palestinese nei territori occupati...un anarchico nella guerra
di
Spagna...Significa che gli zapatisti certe cose le conoscono. Poi questa esperienza nasce da un ambiente come
quello indigeno, dove queste genti vivono già in una forma comunitaria, realizzando in embrione una
società
libertaria. Affermano il diritto di vivere secondo le regole autogestionarie che hanno sempre avuto. Negli
stessi loro comunicati, che spesso sono dei racconti, ne esce un'anima libertaria, un rifiuto dell'autoritarismo e
delle leggi del potere. Quando per esempio avviene un omicidio, se arriva la polizia, arresta il colpevole e
basta. Invece secondo le loro regole il criminale come risarcimento deve impegnarsi a mantenere anche la
famiglia dell'ucciso. Perché che senso ha metterlo in galera...rovineremmo due famiglie! Io vedo che
il movimento anarchico è stato il primo a cogliere questi fermenti. Sarebbe un errore enorme
pensare che questa situazione riguardi solo il Messico o l'America Latina. Perché loro si stanno
opponendo a
quel neoliberismo selvaggio che sta saccheggiando il pianeta e si son presi l'onere di lanciarci questo allarme.
Bisogna rendersi conto che il problema non è la lotta contro un governo, messicano o statunitense. I
problemi
degli indios oggi non nascono tanto a Città del Messico o Washington, quanto a Wall Street.
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