Rivista Anarchica Online
Terra e libertà
di Carlo Oliva e E. Santos Unamuno
Il film di Ken Loach sulla rivoluzione spagnola del '36 sta suscitando, anche in Italia, un vivace dibattito.
Intervengono qui Carlo Oliva ed Enrique Santos Unamuno
Strani
dibattiti Sono restato un po' impressionato, ve lo confesso,
dalla visione di Terra e libertà. Non perché l'ultimo film di
Ken Loach mi sia sembrato un capolavoro: senza voler rubare il mestiere all'ottimo Felice Accame, sono
abbastanza d'accordo con chi lo ha trovato frammentario e sentimentale, per non dire che quel finale, con i
vecchietti superstiti che alzano il pugno chiuso, nonostante la presenza di una singola nipotina volenterosa mi
è
sembrato un po' deprimente. No, sono restato impressionato da quel film, o forse, più esattamente, dal
dibattito
che lo accompagna e lo ha accompagnato, perché non avrei mai pensato di dovere, alla mia età,
imbattermi ancora
in polemiche di quel genere. Voglio dire: ho letto l'Omaggio alla Catalogna di George Orwell,
che di Terra e libertà è l'ovvio
presupposto ideologico (nonché narrativo), quando ero studente alò liceo, verso la fine degli anni
'50 (lo
pubblicava a puntate una rivista anarchica, credo si trattasse di Umanità Nova, o forse era
Il libertario, con
cui ero entrato accidentalmente in contatto). Anche grazie a quella lettura, che mi permetto di raccomandare
di cuore a chi per caso non l'avesse ancora fatta (e già che c'è, in tema di guerra di Spagna,
potrebbe cercare
di mettere le mani, se ci riesce, su una copia dei Grandi cimiteri sotto la luna di Georges Bernanos,
che
affronta la stessa problematica da tutto un altro punto di vista, ma con effetti altrettanto devastanti), grazie a
quella lettura - dicevo - sono riuscito ad attraversare abbastanza indenne trentacinque anni di inesausta
frequentazione della sinistra. Indenne nel senso di non aver mai ceduto alla mitologia, pur fascinosa, della
Terza Internazionale e dei suoi annessi e connessi: sapete, i soviet e l'elettrificazione, la linea generale, ecco
s'avanza uno strano soldato, la rivoluzione non è un pranzo di gala, bisogna sapersi sporcare le mani, mani
nere mani callose e l'Armata Rossa schierata sempre in loro benevola difesa. Che in sé, poi, non
significherebbe più di tanto, oggi, se non resistesse tenace quel caratteristico schema mentale che sempre
accompagna le mitologie di tal fatta: la logica dei due tempi, quella per cui bisogna fare un passetto alla volta,
guardandosi bene, per esempio, dalla tentazione di lasciarsi prendere dai sogni di rivoluzione quando c'è
una
guerra da vincere, perché a volere tutto e subito si finisce invariabilmente col non avere niente mai e chi
non è
d'accordo, quali che siano le sue migliori intenzioni, collabora oggettivamente con il nemico. Una
brutta
logica, che pure riesce a saldare in una specie di unità inscindibile i peggiori tatticismi della politica
quotidiana e le speculazioni filosofiche più alte sulla Dialettica dello Spirito (o della Storia, se preferite),
con
risultati sempre e comunque letali per chi non ci sta. Finora, dialettica dello spirito a parte, siamo sempre nel
campo, di non eccessivo interesse, delle esperienze
personali. Ma il fatto è che non credo di essere stato l'unico a seguire un percorso del genere: qualche
anno
dopo, vivaddio, se ne è discusso parecchio, in tutte le sedi possibili e non siamo stati in pochissimi a
concordare, se non altro, sulla necessità di considerare, in qualche modo, superate le esperienze su cui
la
sinistra si era divisa nel corso di una storia non sempre gloriosa, ma in cui eravamo comunque condannati a
rispecchiarci tutti. Anche perché non è stato solo l'esito della guerra di Spagna, in cui quelli che
sostenevano
la necessità di comportarsi in un certo modo perché prima di tutto bisognava vincere poi hanno
perso, a farci
capire che anche seguendo il più scrupoloso gradualismo il rischio di trovarsi, come dice non ricordo
più che
filosofo, con il culo per terra è tutt'altro che irrilevante. E lo zelo, fin eccessivo, con cui, anche prima che
il
muro di Berlino fosse smantellato materialmente, i sacerdoti e gli adepti del mito terzinternazionalista si sono
affrettati a fare autocritica e a celebrare cambi di denominazione e altri rituali espiatori, poteva far pensare che
quel capitolo del grande dibattito ideologico novecentesco fosse definitivamente chiuso. Be', evidentemente
non è così. Basta un film, non particolarmente bello, anche se commovente, perché tutti
caschino, come si dice, dal pero e ricomincino a chiedersi con inesausta acribia polemica, come se fossimo
ancora ai tempi di Orwell o a quelli delle risse intergruppi, se i poumisti per caso non se la fossero voluta, se il
PCE e i suoi alleati e sostenitori non avessero le loro buone ragioni, o se magari, pur avendo nello specifico
qualche torto, non avessero (e non abbiano) altri meriti in nome dei quali è meglio passar sopra a inezie
quali
le giornate di Barcellona o il destino di Andreu Nin, che in fondo oggi a sapere chi era sono davvero in
pochi. Sì certo, Terra e libertà è un'opera dichiaratamente manichea,
che affronta il problema con l'ottica
semplificata del libello ideologico (anche se, come ricorda in questo stesso numero di "A" Enrique Santos
Unamuno, la semplificazione è molto minore di quanto si sia voluto far sembrare, e forse si potrebbe
aggiungere che lo schematismo con cui sono raffigurati anche i miliziani, sia pure con occhio
amichevole,
sembra fatto apposta per portare acqua al mulino dei loro avversari). Ma il problema non è quello di
discutere
della validità dell'impostazione storiografica che sta alle spalle di un'opera di fantasia. A credere
all'oggettività della storia sono restati ancora in meno di quanti credono alla neutralità della
scienza. Fatto sta
che non è proprio facile credere che l'unico oggetto del contendere sia un problema di valutazione storica
su
una serie di eventi che ormai risalgono a sessant'anni fa. Per cui è fin tropo giustificato il sospetto che tra
di
noi (nella sinistra, diciamo, in tutte le sue articolazioni e nella sua composta unità) sia ancora presente,
in
forme neanche tanto nascoste, una volontà di egemonia che non si lascia piegare neanche dalla
storia. Che qualcuno consideri la necessità di fare un passettino dopo l'altro non tanto una scelta
tattica, che si può
anche discutere in base alle necessità tattiche del momento, ma una categoria permanente dello spirito.
Un
modo d'essere della Realtà. E quando si comincia a ragionare in termini di Realtà, soprattutto se
con la
maiuscola, e della necessità di adeguarvicisi, c'è sempre, come dire, un po' di puzza di
bruciato. Sì lo so, sono discorsi un po' vaghi. Ma aspettate solo un momento, aspettate, per esempio,
che sia definita la
data delle elezioni e vedrete che diventeranno fin troppo precisi. Carlo Oliva
Terra e libertà batte dove il dente
duole Terra e libertà (di Ken Loach)
non è un film sulla guerra civile spagnola ma sulla rivoluzione scoppiata in Spagna
dopo il pronunciamento militare del 18 luglio 936. Non è l'ennesima versione dello scontro militare tra
repubblicani e nazionalisti, ma un ritratto (certo parziale) dei dissensi tra i gruppi di sinistra della parte
repubblicana. Scelta questa che comporta l'assenza quasi totale nel racconto sia dei franchisti che dei repubblicani
non rivoluzionari (i partiti borghesi). Come dire "finalmente soli", una resa dei conti cinematografica e quindi di
massa tra CNT (sindacato anarchico), POUM (comunisti rivoluzionari) e PCE (comunisti stalinisti). Se a questo
aggiungiamo le simpatie trotskiste di Ken Loach la polemica è servita. E in effetti le critiche della sinistra
(euro)comunista ex-stalinista sono piombate puntuali, in Spagna e altrove. Critiche che si incentrano sul carattere
"storico" del film di Loach e possono riassumersi in due atteggiamenti fondamentali. Se da una parte si afferma
che in Land and Freedom la Storia collettiva schiaccia le storie individuali (con ripercussioni
cinematografiche
pesanti), che la sua retorica sconfigge lo stesso Loach, dall'altra si accusa il film di semplificazione e
riduzionismo, di poca scrupolosità storica, di manicheismo e in definitiva di prestare il fianco alla
strumentalizzazione neoliberista anticomunista. La prima posizione traspare ad esempio dalla
scheda-riassunto de il manifesto, in cui si parla delle carenze del
racconto ("in buona parte zoppicante"), carenze attribuite alla troppa passione storica di un film travolto dagli
stessi avvenimenti trattati. Se, come sembra, per racconto "zoppicante" si vuole intendere "frammentario",
non bisogna dimenticare la struttura narrativa a incastro di Terra e libertà. In effetti, si tratta
di un racconto di
primo livello (Inghilterra, anni '90, morte di un ex-miliziano inglese volontario nella guerra di Spagna) che
funge da cornice a un racconto di secondo livello (la nipote del protagonista trova una valigia con ritagli di
giornali, lettere, ricordi, fotografie che le permetteranno di ricomporre la storia miliziana di suo nonno, il
secondo livello). Il film segue la ricostruzione della ragazza tra le carte del protagonista, un'indagine per forza
frammentaria e zoppicante in cui la storia collettiva e quelle individuali si mescolano e si scontrano. Eppure
l'importanza del primo livello, la sua presenza, è visibile nelle successive inquadrature della ragazza
immersa
nel racconto che lei stessa sta costruendo e palese nell'ultima scena, dove il cerchio si chiude, il passato
riscattato e rivissuto diventa significativo anche per chi non c'era. Film "retorico", certo, almeno per chi non
accetta volentieri la rivisitazione di alcune pagine poco gloriose del
proprio passato. Film di parte, ma non mistificatore, come riconosce Rossana Rossanda (il
manifesto, 13
ottobre 1995). Verrebbe a chiedersi se gli stessi che in Italia e da sinistra bollano il film di "retorico"
sarebbero disposti a formulare un giudizio simile a proposito di Roma, città aperta o altri
titoli emblematici
dell'epica della resistenza italiana. Non a caso, il film di Loach fa suoi alcuni dei tratti che contraddistinsero
quest'epica partigiana neorealistica: l'uso di attori non professionali, il realismo linguistico (tratto questo
molto penalizzato dal doppiaggio italiano, che smorza la fondamentale estraneità tra l'inglese e lo
spagnolo),
il personaggio collettivo (si veda la bellissima scena dell'assemblea popolare nel paese appena liberato dai
miliziani poumisti). Erano altri tempi, quelli del cinema partigiano, si dirà, altre circostanze. Altri
vincitori, altri vinti,
aggiungiamo noi. Merito di Terra e libertà è se non altro quello di aver portato alla
ribalta i vinti dai vinti
(anarchici e comunisti rivoluzionari non stalinisti, fondamentalmente), quello di aver scavalcato anni e anni di
monopolio della storia ufficiale comunista della guerra di Spagna. ecco da dove scaturisce la retorica, dalla
rabbia di chi un'epica non ce l'ha e cerca di costruirsela, di chi non è ancora approdato alla morte della
storia
e all'asemanticità postmoderna, di chi non ha dietro di sé la caduta del muro. Tutt'altra valenza
hanno le
critiche mosse al film dalla sinistra spagnola, concretamente da Pere Vilanova e da Manuel Vazquez
Montalbán, scrittore e intellettuale di rilievo ben conosciuto in Italia. Vilanova cerca di togliere mordente
al
film assicurando che i fatti di cui parla sono archeologia, storia risaputa. Rossana Rossanda gira il coltello
nella piaga argomentando che se di archeologia si tratta, come mai l'archeologo Vilanova si mostra tanto
turbato davanti a un "reperto museale"? Le ragioni di Montalbán sono più complesse e articolate.
Lo scrittore
catalano riassume le sue riserve nei confronti di Terra e libertà in tre punti principali
(risposta all'articolo
della Rossanda, il manifesto, giovedì 19 ottobre 1995): 1) la decisione di integrare le
milizie dei diversi partiti e sindacati in un Esercito Popolare fu presa
dall'insieme delle forze repubblicane "che preferivano opporre a Franco un esercito convenzionale il più
unitario possibile" e non è stata "frutto della malvagità controrivoluzionaria" del PCE e del PSUC
(Partito
socialista unificato di Catalogna). Quello che Montalbán non dice è che nei mesi successivi al
golpe franchista
i comunisti del PCE (aiutati e diretti dalla NKVD, la polizia segreta sovietica) riuscirono a controllare tutti i
posti chiave dell'esercito repubblicano, dopodiché provocarono la fine politica del primo ministro Largo
Caballero (cui è subentrato il procomunista Juan Negrín), appoggiati dai socialisti di destra, e
posteriormente
silurarono il capo di questa corrente socialista, Indalecio Prieto (ministro della Difesa), quando non era
più
utile ai loro disegni e anzi cominciava ad ostacolarli. E' vero che la conquista del potere da parte dei
comunisti non sarebbe stata possibile senza l'appoggio attivo, l'innocenza e la stupidità delle altre forze
politiche, ma non è meno vero che questa corsa al potere non aveva per i comunisti il solo scopo di
vincere il
fascismo ma anche quello di predominare su tutti gli altri ai fini di instaurare un regime affetto a Stalin. I
"fatti di maggio" del '37 a Barcellona, la repressione contro gli anarcosindacalisti e il processo contro il
POUM non sono stati che un anticipo in miniatura di quello che sarebbe successo se i repubblicani avessero
vinto la guerra. Non c'è bisogno di aggiungere che con i fili dell'esercito nelle loro mani e i rivoluzionari
non
stalinisti eliminati, anche i partiti borghesi repubblicani avrebbero seguito CNT e POUM nella repressione.
Inoltre, non dimentichiamo che le divisioni operaie e popolari, conseguenza della repressione contro CNT-FAI
e POUM e che sfociarono nella creazione di un Esercito Popolare unico non solo non giovarono al potere
militare della Repubblica ma paiono coincidere piuttosto con il suo progressivo declino. D'altra parte il PCE
avversò e ostacolò decisamente (sotto i dettami dei tecnici militari sovietici) l'offensiva
contro l'Extremadura, prospettata da Largo Caballero, che non è mai stata realizzata e che avrebbe forse
potuto cambiare le sorti della guerra. Si temeva magari di non poter disfarsi mai più dell'anticomunista
Largo
Caballero, dei socialisti di sinistra e degli anarcosindacalisti? 2) nel film di Loach si confonderebbe l'ideologia
di CNT (sindacato anarchico) e POUM (comunisti
rivoluzionari), "senza che mai appaia chiaro come il POUM fosse un partito comunista, tanto comunista
quanto il PCE e il PSUC". Ha ragione Montalbán quando afferma che CNT e POUM vengono accomunati
in
Terra e libertà, ma non tanto in base a una loro ideologia comune, che infatti non esisteva,
quanto al loro
ruolo di nemici del PCE e del PSUC (e così definiti con insistenza dai loro giornali) per quanto riguardava
metodi e strategie da adottare durante la rivoluzione e la guerra. Entrambe le organizzazioni appaiono così
come i vinti dei vinti, i perdenti per partita doppia della guerra di Spagna. Il POUM era sì un partito
comunista come il PCE e il PSUC, ma la differenza fondamentale era la sua feroce
opposizione a Stalin, opposizione che gli valse la repressione (ricordiamo l'arresto, al tortura e l'omicidio del
segretario Andreu Nin), il processo e le accuse di cospirazione e spionaggio nazi-trotzkista. Piuttosto
dovrebbero essere i poumisti a rivolgere delle critiche a Loach per aver accomunato loro alla CNT, visto
l'atteggiamento ambiguo che i leader degli anarcosindacalisti hanno avuto nei loro confronti e anche rispetto
alla propria base in svariate occasioni durante la guerra. 3) si lamenta infine Montalbán che dal film
non appare mai chiaro "l sforzo del PCE e del PSUC nella lotta
contro il fascismo sia durante la guerra civile che nel lunghissimo dopoguerra". E' evidente che tanto il PCE
quanto il PSUC si sono contraddistinti nella lotta contro il fascismo. La cosa incredibile sarebbe stata il
contrario. Il film di Loach non li accusa di cospirazione e spionaggio (come loro fecero con il POUM), ma
piuttosto di stalinismo, cosa ben diversa. Quando parla di semplificazione, Montalbán forse dimentica
che
Terra e libertà è un film, non un saggio storico. Un film che parla di certi
avvenimenti successi nel 1936-37
durante la guerra di Spagna, non della guerra civile spagnola nel suo insieme e del periodo franchista che
seguì. D'altro canto, e come abbiamo visto prima, molto si può discutere sui moventi e sulle
scelte della politica del
PCE durante la guerra di Spagna, antifascista sì (ci mancherebbe altro!), ma anche e soprattutto stalinista
e
controrivoluzionaria. Per quanto riguarda il ruolo dei comunisti nell'antifascismo del dopoguerra, nessuno,
neanche il film di Loach, ha mai cercato di negarlo. Anzi, la posizione acquisita dal PCE durante la guerra, in
seguito all'eliminazione politica (e in molti casi fisica) dei rivoluzionari ha fatto sì che questo partito abbia
potuto quasi monopolizzare la lotta antifranchista. Una organizzazione pressoché insignificante prima
della
guerra è riuscita a spiazzare i due catalizzatori principali delle masse operaie spagnole: la CNT anarchica,
da
sempre il sindacato maggioritario, quasi latitante dal '37, e il sindacato socialista UGT, che in buona parte
dovette piegarsi al predominio comunista. Il film di Loach cerca di dare voce a queste istanze rimaste "in
minoranza" dopo il crollo della Repubblica
(anarcosindacalisti e comunisti non stalinisti), senza dubbio operando delle scelte, ritagliando i fatti da un
punto di vista "manicheo". Dopo la morte di Franco (1975), il socialismo ha smesso di essere tale e gli
eurocomunisti di Santiago
Carrillo (protagonista delle vicende del PCE durante la guerra), posteriormente Sinistra Unita (IU), hanno
gestito sempre di più la memoria della rivoluzione. In questo panorama, le reazioni indignate della sinistra
spagnola a Terra e libertà mostrano fino a che punto i veri vinti della guerra lo siano tuttora,
adesso che i
vincitori dei vinti sono tornati in Spagna dall'esilio e che i veri vincitori del '39 (Aznar e la destra) preparano
un nuovo assalto, questa volta in veste democratica (?). Basta allora con lo spauracchio della
"strumentalizzazione neoliberale", dietro al quale si cela ancora lo stesso
ricatto e la stessa accusa di fare il gioco del nemico, la stessa strategia di colpe3volizzazione del '37 tendente
ad azzerare l'opposizione a sinistra. Forse il film di Loach ha il pregio di far riflettere sugli errori, sugli amici
e i nemici del passato e del presente.
Enrique Santos Unamuno
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