Rivista Anarchica Online
Alla ricerca della normalità perduta
di Filippo Trasatti
La vita di famiglia nel modo in cui la concepiamo non è più
naturale di quanto una gabbia sia naturale per un
pappagallo. Il motto di George Bernard Shaw dice in tono da commedia ciò che altri, come Camus,
hanno gridato
con ben altra voce: Un mondo che possa essere spiegato sia pure con cattive ragioni, è un mondo
familiare; ma
viceversa, in un universo subitamente spogliato di illusioni e luci, l'uomo si sente un estraneo, e tale esilio
è senza
rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo
divorzio
tra l'uomo e la sua vita, tra l'attore e la scena, è propriamente il senso dell'assurdo. Queste due
citazioni ci servono a misurare in modo sufficientemente preciso i limiti e l'estensione di un
saggio di Arno Gruen, La follia della normalità, uscito per i tipi della Feltrinelli
lo scorso anno. Già in
passato, circa tre anni fa, abbiamo parlato di questo autore a proposito della traduzione italiana del suo libro
precedente Il tradimento del sé. Gruen è uno psicoterapeuta a vocazione umanistica,
un po' sul modello di
quello che è stato Fromm negli anni Sessanta e Settanta, ma ha un grave difetto: scrive piuttosto male e
nonostante dica cose interessanti e importanti stimola poca alla lettura. I libri sono zeppi di ripetizioni,
sembrano privi di un filo logico coerente, saltabeccano da un argomento all'altro, da un livello all'altro senza
un controllo e una dispositio degna di questo nome. Eppure, nonostante tutto questo, Gruen
parla di una questione decisiva: ci racconta per flash e per casi, con un
pizzico di teoria e di storia, come la definizione della normalità nelle società contemporanee
altamente sviluppate
si presti a coprire le più infami ed immonde atrocità, prime tra tutte la guerra guerreggiata e, con
un numero ancor
maggiore di morti sul campo, la guerra economica. Gruen, come già i precursori di quella scuola
psicologica che
poco fa ho genericamente denominato "umanistica", ci ricorda come la dimensione micro e macro siano legate
strettamente a doppio filo, come la psicologia del profondo possa dare una mano all'analisi sociologica e politica
per spiegare, ad esempio, i meccanismi di riproduzione del dominio, il senso di impotenza che piega milioni di
uomini all'asservimento, la distruttività e la violenza sociale che trovano terreno particolarmente adatto
nei
contesti urbani, laddove la violenza sembra iscritta già nel muro grigio che ci troviamo di fronte uscendo
di casa. Punto di partenza è un concetto di follia diverso da quello che ancor oggi dà lavoro
a schiere di psichiatri:
appunto la follia della normalità. Se la "follia anormale" si caratterizza per la perdita di legame con la
realtà,
la seconda la ben più pericolosa "follia della normalità" - assai più diffusa e difficilmente
percepibile senza un
mutamento profondo di prospettiva - schiaccia totalmente sulla realtà, rende schiavi del conformismo e
del
"realismo", sostanzialmente conserva il legame con la realtà annullando il proprio sé autentico.
L'annullamento, o meglio la degenerazione del proprio sé, il tradimento dell'autonomia, per farsi accettare
dall'esterno, dagli altri folli normali, produce un odio profondo di se stessi che si riesce a placare solo
distruggendo, in modo visibile o invisibile, ciò che ci sta attorno, cose e persone, sentimenti e legami.
Il
bambino impara presto che deve ammaestrare e poi negare tutto ciò che viene dall'interno, i desideri, i
bisogni
profondi, i sentimenti in cambio dell'assenso degli adulti. "Se non sei bravo, se non ti comporti ammodo,
mamma non ti vuol più bene"; "ma guarda che bravo, sembra un ometto"; "non sta bene dire agli altri
ciò che
si pensa": ciascuno di noi può trovare esempi nella propria o nell'altrui vita, di questo continuo
modellamento
che fa del piccolo uomo selvaggio un essere adulto ammodo, maturo e ragionevole, buon padre di famiglia e
capace di scannare i propri simili per nobili motivi, affamare interi paesi e popolazioni per i profitti
dell'impresa, sacrificare la propria creatività, il senso del bello e del giusto in cambio del
potere. Gruen indica nell'infanzia il punto topico in cui si decide del tipo di adattamento fondamentale per
la vita adulta.
"Al centro della crescita psicologica di ciascun individuo vi è la scelta tra due fondamentali direzioni di
sviluppo:
verso il mondo esterno o in contrapposizione verso l'interno. Lo sviluppo è diretto verso l'interno se il
bambino
riceve un genere di amore che lo mette in grado di esprimere la propria impotenza senza sentirsi abbandonato a
se stesso (...) All'opposto, la direzione verso l'esterno implica che la persona dissoci l'esperienza del senso di
impotenza, denegando il proprio mondo interno per adattarsi a un ordine imposto dall'esterno, dove bisogni e
percezioni sono prestabiliti dai genitori in prima istanza, poi dalla scuola, dalla società e dallo stato" (29).
Laddove i bisogni profondi vengono negati, frustrati, il sentimento di impotenza intollerabile produce un bisogno
di dominio, di farsi strada attraverso la distruzione, la vendetta, poiché l'odio che cova sotto le ceneri
fumanti del
proprio sé distrutto, è inestinguibile. La dissociazione interiore caratterizza proprio quegli adulti
maturi, maschi
bianchi, virili che dovrebbe far da modello, da riferimento nelle ipocrite tabelle evolutive. "L'aspetto paradossale
dell'odierna psicopatologia consiste nel fatto che essa considera malati soprattutto quanti si sforzano
essenzialmente di tenersi in contatto con il mondo delle emozioni, non già coloro che cercano di liberarsi
da quel
contatto" (23) . In altre parole, chi cerca, confusamente, con le unghie e con la sofferenza, di mantenersi in
contatto con il suo mondo interiore, viene definito folle, instabile, suggestionabile, inaffidabile; a chi, al contrario,
cerca di dissociarsi dal suo mondo interno, dai propri sentimenti, per essere perfettamente executive
in ogni
momento, a costui viene attribuita la patente di normalità. Essi sono normali in quanto adeguati e
conformi al
mondo esterno e quanto più il mondo, o meglio il modo di percepire il mondo, si fa complesso nelle
società
moderne altamente differenziate, quanto più risulta necessario adeguarsi mutilando una realtà
cangiante che
sfugge dalle mani rapidamente. A differenza di quanto può apparire a prima vista, il pluralismo delle
società di
massa non è altro che il fascio di luce del conformismo riflesso in un diamante a mille sfaccettature. il
mondo
aperto, le contraddizioni, le incertezze divengono più difficili da sopportare quando il senso di autonomia
interiore
non ci sorregge. Il lavori di bricolage dell'identità a cui siamo costretti senza posa, ha bisogno di quello
che
Goodman, nella psicologia della Gestalt, chiamava "un buon contatto tra l'organismo e l'ambiente". Ciascuno
può vedere bene in se stesso, se si dedica la dovuta attenzione, tutti i punti di scollamento, le fratture
dolorose o silenti nella vita quotidiana che ci rendono schizofrenici normali e adattati. O può vederlo
amplificato
in quello che è stato uno degli eventi cardine del Novecento: l'esperienza di Auschwitz. Il campo di
concentramento consente di vedere come una lente di ingrandimento l'irretimento del dominio nella vita
quotidiana, ma soprattutto il meccanismo della deresponsabilizzazione. Nessuno era responsabile in prima
persona, obbediva soltanto agli ordini. Il taylorismo si trasferisce dalla fabbrica alle coscienze e rende possibile
la frammentazione del comportamento, la dissociazione tra azioni e sentimenti, la spersonalizzazione, il
godimento del potere, l'oblio dell'orrore. Riferendosi alla relazione di un esperto del Pentagono a proposito del
comportamento durante la guerra fredda, Gruen mette in luce i meccanismi della deresponsabilizzazione: la
semplificazione dei dati, l'atomizzazione, la proiezione dell'odio sull'altro, la gerarchia e la scalata del potere,
la neutralità del linguaggio burocratico, capace di rendere l'orrore niente più che un aspetto della
contabilità. Una
cortina senza strappi né increspature sostituisce in modo rassicurante la vita vissuta. L'ordine mortuario
del
dominio mostra le fattezze di una realtà ordinata, dove tutto file liscio come l'olio, ma gli ingranaggi sono
unti
con grasso umano. E' alla malia di questa normalità che bisogna sottrarsi, per ricominciare a vivere
altrimenti. Il primo esercizio è quello di esercitare di nuovo la nostra assopita capacità di
sentire l'assurdo nella nostra
vita, dalla gabbia della famiglia di Shaw, al senso metafisico dell'insignificanza della vita di Camus,
attraverso le infinite variazioni che la nostra esperienza ci presenta. Il secondo ci appartiene da sempre come
anarchici, ed è descritto come meglio non si potrebbe da Roger
Boussinot: "Attraversate lo specchio e la vita non è più un sogno. L'anarchia
è l'ordine. Un altro mondo nel
nostro proprio mondo. Bisogna abituarvisi. La realtà delle cose è sempre sorprendente per chi
si risveglia da
un sogno (...) Attraversate lo specchio ed eccovi all'aria aperta, libera, nel mondo reale.
Eccovi rivoluzionari,
liberati dal malefico influsso di questa galleria, anzi di questo tugurio, di questo sudicio baraccone da fiera
malfamata, di questo labirinto di specchi truccati...L'anarchia è l'ordine".
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