Rivista Anarchica Online
L'umanità è mediocre
di Marc 'de Pasquali
La straordinaria mostra chiusa a maggio, il mese delle madonne, delle rose, delle
mamme chiassose,
nell'accogliente Fondazione Mazzotta di Milano (relativo e curato catalogo a lire 80.000), ispira queste righe su
Umberto Boccioni pittore scultore e scrittore. L'insieme d'antico e contemporaneo, d'identificazione e
decomposizione amorosamente intessuto e ripetuto, per Boccioni è la figura femminile, meglio, sua
madre, spesso
sublimata nella sorella, nelle amiche vicine di casa, replicata per tele e tele, schizzi e schizzi, in studi e foto
(così
esplicito e inusitato nell'arte, le eccezioni sono dei cammei, da Dürer nel 1514 a Pasolini nel cinema);
decine di
posture intere o tagliate, in piedi, rovesciate che riposano, sedute che cuciono o leggono, tristi, stanche, di fianco,
di fronte, solitarie, in gruppo, tutte tra periferiche finestre aperte, chiuse, che riflettono, e balconi; tante mamme
in buchi di luce, in buchi di aria, di vista e di rumore, borderline tra mondo mobile e serrato palcoscenico da
caseggiato, sfogatoi criptici, d'annunciazioni, di benedizioni, con due piantine nei vasi; da questo insieme d'attesa
e riflessioni, di primordiale e cosmica creatività, confluirà dopo anni di lavoro e di fame patita
e d'insensate
occupazioni, in quello che viene ritenuto il suo capolavoro, la concava convessa Materia (1912,
collezione
privata), titolo denso di emozioni di colori di sapori - madre arte. Il passaggio monumentale un po' verista
e divisionista, un po' liberty, illuminato alla Segantini, succhiatore delle
spose ritratte da Balla e da Cézanne, delle toilettes di cocottine e tenutarie colte da Touluse-Lautrec o da
Bonnard,
è Controluce (1909, collezione privata), una seduzione dall'apparente sorpresa ci impone
una madre ibrida,
carnale, nuda, raro per questo autentico artista che così ci avvolge negli universi dei desideri edipici,
quelli da
obnubilare, da far giacere all'inferno (ah, proibite fantasie erotiche)...Una madre vecchia, gli occhi dolci e
comprensivi dai colori non certo glauchi (duplicati nello schienale di una sedia Thonet povero), misteriosa, con
la schiena odorosa di talco, detersa da scaglie si sapone di Marsiglia, da pioggerelle policrome, tante virgolette
ciondolanti, tanti vermicelli scolati su un corpo arrestato, lento nella sua molle muscolatura; una donna dalle curve
striscianti, invasa da altre larve sfilacciate, un arcobaleno cadente senza soluzione di continuità, dal
destino
femminile reiterato, con le sue giornate sfatte, ricamate con la Singer - il pianoforte delle case proletarie lombarde;
una popolazione operosa impiegata a buon prezzo dai padroni delle ciminiere e mal rappresentata dal socialismo
pittorico. Tutto è basato sull'ubbidienza, chi legge, chi desidera, chi partorisce e spignatta, fresche
Madame
Bovary cacciate dai campi e sfornate nei capoluogo presso la zia, emancipate, belle vaporose e sospirose,
finiscono alla finestra, col rocchetto del filo rosso posto con diligenza sul piano lavoro, annusando i fiori di pesco,
aspettando la domenica, le mestruazioni, il filo della speranza, della provvidenza da dipanare...tant'è, tutte
le
forme, come si mangia, il gesticolare, la nostra grafia, in quanto irripetibili, sono da considerarsi opere d'arte -
consolatoriamente Duchamp docet. Matermateria è allora respingente, e non per la fatica della sintesi
richiesta allo sguardo, è inquietante e
tormentante per la sua implosione. La grande madre Materia che incombe cupa e che guarda storto
chi la guarda
è delusa, emotivamente incomprensibile e sottilmente funesta, pure ricattatoria, son cose che si sentono,
non le
si possono granché formalizzare. Quel quadrone ha un potere contadino, risentito, troneggia dolente e
solenne,
stride quanto i sestetti d'archi di Schönberg (ritratto da Schiele), ha le gote arrossate che fanno pendant con
le sue
mani e le sue dita da pugilatore (insanguinate dopo aver fatto partorire qualche mucca o sviscerato qualche
gallina); la figura imprigionata è in apparenza paziente, in posa, in realtà è danzante con
una tecnica che scalcia,
perseguita, ma con le falangi incrociate sulla sua rassegnazione, come ogni santa martire incantata fa, e dà
ansia;
un grembo stile squadrato, mischiato tra dinamismo e cubismo, baricentro enfatizzato da chele gorgonee che il
figlio creativo ha disposto con furia per un'ancestrale castrazione, e con tante studiate pennellate dai colori
sporcati eseguiti a raggiera, e le due autostrade verde crepato sono i due polsi possenti infilati nelle manicacce,
tetre gallerie da cui non si potrà più tornare indietro, Boccioni in primis. Ecco il Futurismo
come sconforto ed esaltazione, come sogno, aspirazione piccolo borghese assillante (il padre
era impiegato alla prefettura, Umberto nasce a Reggio Calabria, il 19 ottobre 1882, dopo la casa distrutta dal
terremoto la famiglia d'origine romagnola si trasferisce a Forlì, indi Genova, Padova, Catania, infine
Roma dove
papà Boccioni sparirà con una camerierina); Futurismo contro la contingenza del ricucire un
passato duro, i tempi
umbertini, la "meschinità di vita continua" scrive sul diario riferendosi a sua mamma che nelle relazioni
alla
dongiovanni la sostituisce con signorine eleganti e truccate; Futurismo pittorico che si tufferà a peso
morto in una
germogliante classe media, fintamente edulcorata, alla francese, mai esistita in Italia. Suo equivalente
letterario è Marinetti (nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876 da un avvocato di Voghera) che
debutta su Le Figaro col primo Manifesto. In Italia i due lanciano il movimento con
fragore, dal Politeana di
Torino, nel 1910, insieme a Balla (maestro iniziatico di Boccioni), Russolo, Severini, Carrà; ne
seguiranno altri,
persino della donna futurista, alcuni firmati dal solo Boccioni. A Parigi, il gruppo rincorso dal chiasso del
successo, tramite l'anarchico Félix Fénéon (nel contempo Modigliani amicone di Severini
campa nella più nera
miseria e Licini li ammira) stravende con profitto, a blocchi, e le opere circolano nelle maggiori capitali
europee. Dalla lettura di Nietzsche, Sorel, Renan, dell'incantevole Ruskin, di Marx, Engels, Bakunin, dagli
abbigliamenti
barbuto trasandati, i futuristi passano alla reazione, alle calzature tirate a lucido (Scarpetta di
società + orina). Apparentemente rivoluzionari contro il benpensante borghese, inneggiano
a uno stereotipo anarchismo fatto di
bombe e attentati, alla velocità virile, alla città che sale, al canto dei motori; l'uso intimo legato
alla qualità delle
opere d'arte, diviene consumo, dapprima d'élite, poi di massa, esaltata per l'espansione aggressiva
industriale,
con fanatismo e nazionalismo, con l'ordine del piccolo potere sino all'interventismo sfrenato, in un'isteria
collettiva esibita anche negli arruolamenti al battaglione volontario ciclisti, una parte finirà al fronte come
alpini,
alcuni praticando l'arte del morire: Franz Marc schierato contro, Antonia Sant'Elia coi suoi bei progetti, Umberto
Boccioni a trentaquattro anni vicino Verona a causa d'un cavallo - una presenza frequente nel suo lavoro, anche
fuori dalle amene finestre. La superbia del progresso, la superiorità degli slanci vani, restano senza anima.
I
sopravvissuti si convertiranno all'arrancare fascista, da istrioni a macchiette (Sironi a parte grande nel cogliere
le periferie impietose riprese poi da Antonioni), per esaurirsi, con acribia, anche nel resto d'Europa. Ai ceti
emergenti gliene importa un fico dell'Arte, non la conosce, avidi mediocri, esultano per l'ecatombe preparata con
scrupolo, l'igiene del mondo esige ambiziosi dalla goffa creatività, basta rimestare: Mussolini nasce da
braccianti
a Dovia di Predappio (Forlì) vuole scrivere e fa il muratore in Svizzera, Hitler nasce dal doganiere di
Braunau
sull'Inn (confine Baviera Alta Austria) vuole dipingere e fa l'imbianchino a Vienna, due che (si) piaceranno, e
se non includo Stalin, per quanto nascendo contadino a Gori nel Tiflis (Transcaucasia Georgia), sappiamo che
a mediocrità non scherzasse, è per non equiparare l'ideologia razzista (peraltro ancora vivace) ai
GULAG
siberiani - inaccettabile confusione di parte, e per sorvolare su tutti i garzoni nascenti che macelleranno in loco
(Spagna, Portogallo, Ungheria, eccetera) agli ordini dell'industriosità criminale nazista per eccellenza.
Lo
straripante miracolo del nostro Novecento, periodo ricco d'opere straordinarie (Proust, Woolf, Pessoa, Joyce,
Kafka, Oscar Wilde, Lawrence, Colette, Diaghilev, Savinio, Eleonora Duse, Albert Schweitzer, Pirandello,
Debussy, Ravel, Rodin, la Mansfield, Marina Cvetiva, Esenin, Freud, Marconi, Svevo, Musil, Mann, Charlot,
Klee, l'Impressionismo, l'Espressionismo, l'Astrattismo, il Surrealismo, il Raggismo, i Suprematisti, i
Macchiaiolai, il Divisionismo, i Fauve, il dadaismo, il Pointismo, il Verismo, il Liberty, Gaudì, la
cartellonistica,
una lunga lista...) quanto mai, si conclude maldestramente attorno ai Trenta. Il resto è noto. "Le nostre
mani sono abbastanza libere e abbastanza vergini per ricominciare tutto?" sì, e lo sappiamo - Io
noi
Boccioni.
N.B. - Umberto Boccioni è visibile nelle Gallerie d'Arte Moderna di New York,
di Torino, di Roma, molto in
quella di Milano oltre a Brera: Autoritratto (1908), vestito alla russa, eseguito sul balcone di una
camera
ammobiliata nella periferia milanese.
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