Rivista Anarchica Online
I bau bau fanno nanna
di Marzia Rubega
Finalmente i giganti non mangiano più i bambini, sono vegetariani, le
streghe si sono organizzate sindacalmente
per tutelare i loro diritti e i vari bau bau sono andati ormai in pensione. Il mondo della letteratura per ragazzi
appare popolato da figure nuove - lontane mille miglia dall'intenzionalità educativa e didattica di gran
parte della
narrativa classica - dotate di ironia e senso critico verso un quotidiano tanto riconoscibile, quanto ammantato di
magia e di mistero. Fino a qualche decennio fa i romanzi ottocenteschi hanno dominato quasi incontrastati
all'interno di un'area che,
considerata secondaria e marginale rispetto alla produzione seria, è stata a lungo poco incentivata anche
a livello
editoriale. Intere generazioni si sono cimentate su volumi cartonati e poco maneggevoli (chi non ricorda le
copertine oro e rosso o blu di alcuni Mursia?), dai contenuti dichiaratamente mirati a fornire una griglia di
riferimento eticamente ineccepibile al piccolo lettore. Libri scritti da adulti per altri adulti; percorsi e trame
edificanti, imbevute di "buon senso", in cui i personaggi si presentano nettamente distinti e contrapposti nelle
categorie dei buoni e dei cattivi al fine di tracciare un modello comportamentale ottimale, ovvero quello designato
come tale dalla morale dell'epoca. Nella società in via di industrializzazione del XIX-XX secolo scuola
e
letteratura pedagogica assurgono a canali privilegiati di trasmissione e diffusione di una serie di normative
idealtipiche, largamente condivise (o meglio propugnate dall'alto e accettate poi su larga scala!): riscatto sociale
attraverso lo studio e l'operosità, lealtà, senso del dovere, apoteosi del self-made sono tematiche
ricorrenti che,
rivelando la retorica dei buoni sentimenti e di una certa magnanimità paternalistica, infarciscono
copiosamente
la narrativa per ragazzi. Al filone didattico-letterario appartiene, in modo vistoso, il Cuore di
De Amicis, fedele interpretazione
dell'atteggiamento dominante. I buoni e i cattivi si annullano quasi completamente nella loro funzione e valenza
descrittivo-educativa, si ricorda ad esempio, il Muratorino sempre sporco di calcina; il Franti malvagio; il Garrone
buono. L'iniziazione ad una rigida gerarchia sociale ed economica cantata da Cuore risulta
anacronistica e le
vicende non attraggono il pubblico odierno, poiché il tono melenso ostacola e limita un'eventuale lettura
alternativa del racconto. Questo non si può affermare per Pinocchio il quale, sebbene
prodotto all'interno della
stessa temperie culturale, esercita ancora un certo fascino. Infatti, al di là degli intenti pedagogici
dell'autore, il
burattino animato e la dimensione magica in cui si snodano le sue avventure consente un recupero del tessuto
puramente fiabesco che, agli occhi del piccolo lettore, predomina rispetto a quegli aspetti, piuttosto sconcertanti,
che emergono invece da una "lettura critica". Indubbiamente le prospettiva diverge totalmente se il punto di vista
è quello di un soggetto adulto o di un bambino; tuttavia anche la coscienza infantile, pur a livello
inconsapevole,
ha spesso avvertito un senso di angoscia e smarrimento, senza possedere l'armamentario teorico e culturale su
cui si fonda un'analisi adulta. Il monumento apologetico collodiano finisce, senza volerlo, per denunciare
innumerevoli contraddizioni e crudeltà. Emblematicamente indicativo è l'episodio in cui
Pinocchio viene preso
in una tagliola per aver cercato di cogliere un grappolo d'uva; il contadino che lo scopre con la gamba massacrata,
invece di curarlo, lo legherà alla catena costringendolo a dormire nella casetta del cane. E ancora, il
burattino
viene costretto, per far fronte alla fame, a tirare un carretto di carbone e a sottoporsi a lavori pesantissimi in
cambio di un miserevole pasto. Tali immagini ci rimandano al problema dello sfruttamento del lavoro minorile,
del tutto estraneo a Collodi, impegnato a celebrare la morale umbertina e a tante altre figure di un'infanzia
deprivata, tracciate, ad esempio, con minuzioso realismo nei romanzi di C. Dickens (per citare solo i più
famosi
David Copperfield, Tempi Duri, Grandi speranze). Senza dubbio
anche J. Verne può essere annoverato tra gli autori, cosiddetti per ragazzi, più conosciuti e
proposti.
Il pretesto iniziale della maggior parte dei suoi famosissimi racconti è solitamente di natura ingegneresca.
L'avventura si dipana lungo un orizzonte finito: il viaggio assume i connotati della formazione (Bildung) e
dell'apprendimento razionale, la sete dell'ignoto si risolve nella costruzione di una mappa di nozioni
ordinatamente catalogate, dove il rapporto quantitativo tra informazioni e loro assimilazione costituisce il
paradigma fondamentale del processo di maturazione del giovane. L'adulto è colui che insegna, è
una figura guida,
pregna di carisma (il cui culmine è incarnato da Capitan Nemo) depositaria di quel sapere che celebra e
si riversa
in un insieme di valori socialmente fruibili. Avventura intellettuale dunque, la crescita del giovane lettore consiste
nell'emulazione dell'adulto-maestro e nella progressiva integrazione all'interno di una realtà già
codificata. Va comunque ricordato che Verne non è solo il cantore dell'evoluzione scientifica: alcuni
romanzi, tra i meno
famosi, quali Mathias Sandorf (1885) avventura di un ribelle contro la tirannide austroungarica,
e I naufraghi del
Johnathan (postumo 1905) storia di un anarchico che segue le orme del principe Kropotkin, rivelano
contenuti
dal sapore libertario, in cui l'ottimismo celebratore si trasforma in un'intima vena di pessimismo che, ponendo
in discussione l'ordine costituito, corrode il trionfalismo di matrice positivista. I classici, dei quali si è
parlato solo a grandissime linee, lasciano oggi il piccolo lettore piuttosto freddo e
indifferente. Basta entrare in una libreria per scoprire come la richiesta sia mutata, non solo riguardo alla scelta
dei contenuti, ma anche all'oggetto-libro, i tascabili, dalla veste grafica immediata e riconoscibile (a colori diversi
corrispondono spesso le varie collane distinte per genere ed età) hanno soppiantato in gran parte il volume
rilegato
e di dimensioni poco agevoli. Tra i nuovi "cult" per l'infanzia spiccano sicuramente i romani dello scrittore
Roald Dahl, particolarmente
venerato dalla popolazione in età scolare (7-10 anni), quanto assai gradito dal pubblico adulto. I suoi
numerosi
racconti si estrinsecano in un acrobatico e intrigante equilibrio di reale e fantastico, dove ironia e umorismo
diventano coordinate essenziali di un gioco dell'assurdo teso a mettere in ridicolo quel mondo adulto che non
detiene più né la verità assoluta, né ricette ideali. Finalmente l'adulto è
detronizzato! Non ci sono guide, maestri, falsi educatori, i bambini sono brillanti eroi di queste belle storie;
la saggezza non
appare unica prerogativa di chi ha compiuto un percorso esistenziale costellato di sacrifici e direttive morali. Il
pianeta Dahl manifesta una sua beffarda e gioiosa filosofia, in cui non c'è spazio per i luoghi comuni,
l'ignoranza
e gli assunti aprioristicamente dati. Nulla è scontato o prevedibile; gli eventi si susseguono in una perfetta
commistione di realtà e mistero, di paradossi e fatti attendibili, tanto che è impossibile
abbandonare il libro prima
dell'ultima pagina. In Matilde, la famiglia della protagonista - piccolo genio, assetato di cultura
e dotato di magico potere contro i
grandi - viene descritta in termini piuttosto negativi, proprio a sottolineare come i modelli comportamentali siano
qualcosa di complesso e discutibile: "...Papà, mi compreresti un libro? - Un libro? E per che
cavolo farci? - Per leggerlo. - Diavolo, ma cosa non va con la tele? Abbiamo una stupenda tele a 24
pollici e vieni a chiedermi un libro! Sei
viziata, ragazza mia!..." I genitori di Matilde non comprendono quanto la ragazzina sia intelligente e avanti
per la sua età, la considerano
un po' strana e, credendo che combinerà pasticci al suo ingresso a scuola, si raccomandano alla terribile
direttrice,
signorina Spezzindue, fautrice di innovativi sistemi pedagogici (afferra i bimbi per i capelli e li lancia fuori dalla
finestra come se fossero giavellotti), ma per fortuna, Matilde incontrerà la giovane e timida maestra,
Signorina
Dolcemiele. L'identità della bambina si impone in modo straordinario irrompendo al di là della
carta stampata,
in contrapposizione all'immagine di mamma e papà: "...Il signor Dalverme era un ometto con la faccia
da topo e i denti che sporgevano sotto i baffi spelacchiati. La
signora Dalverme era una donna grassa con i capelli tinti in biondo platino d'un castan grigiastro alle radici,
pesantemente truccata, aveva un fisico davvero infelice: sembrava che i suoi rotoli di grasso fossero stati legati
per non farli ruzzolare giù...". Segnaliamo, nella vasta produzione dell'autore, anche Le
streghe, Il GGG e Gli Sporcelli (tutto edito da Salani).
Protagonista del primo racconto, probabilmente tra i più amati e conosciuti di Dahl, un bambino che
trascorre,
con la nonna, le vacanze in una famosa e tranquilla località balneare inglese, dove improvvisamente si
imbatte
nella presenza di personaggi alquanto sospetti, apparentemente riuniti in occasione di un fantomatico
congresso...Ma attenti! Si deve diffidare della signore eleganti, specialmente se indossano lunghi guanti, grandi
cappelli e si grattano in continuazione la testa. Dietro mentite spoglie potrebbero celarsi perfidi esseri che
nascondono piedi quadrati, artigli e saliva blu mirtillo. Naturalmente il piccolo, tra avventure e suspance,
riuscirà
a smascherare le signore e a sconfiggerle, contribuendo ad espropriare dei suoi attributi la tradizionale e
spaventosa immagine della strega. Il GGG, ovvero il Grande Gigante gentile, è vegetariano e mangia
solo cetrionzoli, non capisce proprio come
facciano alcuni suoi orribili conoscenti a divorare i "poppoli" cioè persone vere. Sofia, la protagonista,
non sta
dormendo quando scorge dalla finestra un enorme gigante con un mantello nero. E' l'ora delle Ombre e viene
accompagnata nel paese dei giganti. Con Gli sporcelli lo scrittore sembra dare prova di un
esilarante spirito comico, in grado di indurre anche il lettore
più reticente ad un coinvolgimento davvero totale. Gli uomini si dividono prevalentemente in due grandi
categorie: i "pelinfaccia" e quelli con la faccia liscia. Esiste un gruppo particolare di persone irrimediabilmente
brutte, cattive e sporche che sono tra l'altro malvagie, ma infine non avranno grosse possibilità di successo
e
saranno vittime della loro stessa cattiveria. "...Un viso peloso è un'altra cosa. Tutto si appiccica ai
peli, specialmente il cibo. La roba come il ragù s'infiltra
tra i peli e ci rimane. Voi e io possiamo pulire la nostra faccia bella liscia con una salvietta e riprendiamo subito
un aspetto più o meno pulito, ma il pelinfaccia no...". Dimenticavamo tra i libri più diffusi
dell'autore La fabbrica di cioccolata, divertente critica ad un certo esasperato
consumismo. Charlie, infatti, proviene da una famiglia poverissima, a tal punto che è costretto a
condividere il
letto con i nonni, venerande figure che ricordano periodi più felici, in cui la fabbrica di dolciumi del
paese, chiusa
da decenni eppure misteriosamente attiva, forniva un'occupazione a tanti lavoratori. Cosa si nasconde dietro il
cancello sbarrato? Grazie ad una sola tavoletta di cioccolato, donatagli per il suo compleanno e contenente un
biglietto-invito, il bambino entrerà nello strano edificio, accompagnato dal suo curioso e combattivo
nonno.
Anche in questo caso, le descrizioni dei personaggi offrono innumerevoli spunti comici, nonché occasioni
di
riflessione. Nella maggior parte dei romanzi di Dahl (esclusa La magica medicina) il rapporto
tra nonni e nipoti rappresenta
un vincolo forte e significativo, la conflittualità si manifesta invece nei confronti di genitori e figure
istituzionali
come insegnanti, direttori di scuola. L'adulto, in un certo senso, assume connotazioni positive nel momento in
cui si riappropria del suo vissuto infantile, recuperando e liberando quegli spazi emotivi, spesso repressi e messi
a tacere da una logica puramente "adultocentrica", nella quale non c'è tempo per il gioco, la fantasia e la
voglia
di trovare un'adeguata espressione ad un'irrazionale creatività. Una scelta del tutto personale spinge
chi scrive ad impiegare solo poche righe per parlare di Bianca Pitzorno,
notissima autrice italiana. La nominiamo per amor di correttezza, visto che probabilmente i suoi numerosi
romanzi sono (dopo i bellissimi lavori di Dahl!) tra quelli più letti e graditi dal pubblico infantile. Un
punto a
favore per La bambola dell'alchimista (edito da Mondadori, collana under 10) divertente storia di
una perfida
streghetta, trasformata in una bambola a causa delle sue malefatte. Due bambine la ritrovano dopo quasi 50 anni
sul carretto di un venditore ambulante e, inavvertitamente, pettinandola, annullano l'incantesimo che l'aveva
imprigionata. Dietro l'enigmatico personaggio si nasconde una vicenda dalle tinte fosche che coinvolge
direttamente anche la simpatica nonna di una delle due amiche e, infatti, proprio grazie all'aiuto di quest'ultima,
l'intricata matassa sarà sbrogliata. notevole successi ha riscontrato Diana, cupido e il
commendatore, uscito l'anno scorso verso Natale. L'intento
del racconto, come dice l'introduzione, è di offrire un quadro della vita prima dell'avvento della
televisione e
della tecnologia. La protagonista è un'adolescente occhialuta alle prese con i primi amori, figlia di
un'avvenente
signora che ha fatto un matrimonio di convenienza. La trama è ricca e piena di colpi di scena, Diana si
impegna
per migliorare il difficile rapporto della mamma con il nonno paterno, organizza clandestine entrate al cinema a
metà prezzo e naturalmente spettegola, con le sue amiche del cuore, su tutti i compagni di classe.
Nonostante il
ritmo brillante, qualcosa non convince. Come si è affermato prima, la prospettiva cambia a seconda del
lettore,
quindi mi assumo le mie responsabilità nel dichiarare che alcune storie, le quali echeggiano una visione
troppo
leziosa e femminile (tipo la vecchia M. L. Alcott di Piccole donne, I ragazzi di Jo,
etc.), non mi piacciono! Infine si caldeggia vivamente un libro, sempre di una scrittrice italiana, di recente
pubblicazione: Occhio al gatto
di Silvana Gandolfi. Dante si è trasferito a Venezia, a casa della nonna, per finire l'anno scolastico. La
sua nuova
maestra teme che sia dislessico, perciò viene mandato a lezione da un vecchio stravagante che è
stato un tempo
l'insegnante della mamma. L'incontro segna l'inizio dell'avventura, l'aprirsi di nuove incredibili prospettive,
tanto che il bambino finisce per simpatizzare anche con l'alfabeto. La storia assume quasi la veste di un giallo
e gli esiti sono del tutto imprevedibili, si arriva alla fine con il fiato sospeso. La chiave di tutto è
naturalmente
Virgilio, il gatto di Dante, guida (!) spirituale attraverso un percorso misterioso, in cui accanto ai canali veneziani,
si intravedono le tracce di un mondo sotterraneo e pericoloso...Basta. Leggiamolo. E attenzione, spolverando
gli scaffali della libreria, a non destare dal loro profondo torpore i bau bau: meglio che
dormano, una volta per tutte!
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