Rivista Anarchica Online
Destra e relativismo
Cara redazione, rispondo con piacere
alle gentili osservazioni di Gagliano ("A" 222), nella speranza di chiarire meglio il
significato di un concetto, l'abbandono dell'epistemologia, a mio avviso molto importante per la cultura
anarchica ("Addio Scilla e Cariddi belle, cacciati senza colpa, gli anarchici van via"). 1) Nel mio articolo ("A" 220) dico che "le opzioni che mantengono il
presupposto di una 'realtà'
precostituita all'attività mentale (...) nascondono una autocontraddizione" (la pretesa di confrontare
il pre-costituito con il costituito per decidere di verità e falsità; quando, ovviamente, l'ipotetico
precostituito è - per definizione - irriducibile ad attività costitutiva). Di conseguenza, la
consapevolezza procedurale di cui parlo non vorrei mai che fosse confusa con il "realismo". Nel
momento in cui io concludo invitando a "far riferimento ad un sapere, nel senso comune del
termine, a proposito di noi stessi", che dovrebbe tuttavia abbandonare "lo sfondo inconsapevole del
conoscitivismo" (termine che uso per classificare tutte le opzioni di cui sopra: realismo e idealismo
- Scilla e Cariddi -, scetticismo e variazioni sul tema), ho già definito la verità come risultato di
attività nostra (risultato di un confronto, tra costituiti). E non la definisco così perché,
come invece
dicono Quine, Goodman e Gagliasso e molti altri, "i fatti puri non esistono"; ma, al contrario,
perché la "purezza" cui fanno riferimento è una metafora irriducibile (nel senso che nasconde un
pensiero autocontraddittorio: "puri" starebbe per pre-costituiti rispetto all'attività mentale; ma
allora, che ci sta a fare la nostra mente? Li "rappresenta" per poi confrontare "rappresentazione" e
"rappresentato"? Ovviamente no, perché per definizione non può mai disporre di un
"rappresentato". E se, invece, è la nostra mente che li costituisce, come possono essere "pre-costituiti"?
Il vescovo Berkely scrisse che Dio li percepiva costantemente...Quindi costoro , non
comprovano affatto "la giustezza e l'inevitabilità del relativismo" (come afferma Gagliano, che
evidentemente ama i paradossi): al contrario, quando, giustamente, dicono che "la verità e la
falsità
sono tali solo se posti in relazione ad un punto di riferimento", esprimono, semplicemente, una
consapevolezza procedurale (che magari andrebbe integrata con una teoria a proposito di come si
costituisce quel "punto" di riferimento: Ceccato, nel 1949 proponeva per esso il termine
"paradigma" e, pur con tutte le sue carenze, Kuhn ha poi mostrato quanto fosse feconda
quell'analogia ceccatiana). La tolleranza può derivare dal rispetto per il modo in cui gli altri
costituiscono i propri valori (uno può operare in modo diverso e ottenere altri valori); mentre non
deriva affatto dalla "presa di coscienza che non esistono accessi diretti alla realtà" (Rossi, Gagliano
e molti altri): da questa convinzione ne consegue, invece, l'odio - o come minimo l'incomprensione
- per coloro che, inesplicabilmente o inevitabilmente (perché la spiegazione storica poi te la tieni),
sarebbero comunque "diversi". 2) "La vanificazione del
relativismo è venuta dalla cultura di destra" (Gagliano). No, la cultura di
destra è l'esaltazione del relativismo. Nazionalismo, fascismo, nazionalsocialismo, stalinismo,
Berlusconi - "qualcuno doveva provvedere a garantire la democrazia", "Domenica in" del 28 e
Corriere della Sera del 29 ottobre 1995, dove la "democrazia" sarebbe qualcuno che fa rispettare
certe leggi, non un autogoverno popolare basato sulla condivisione di certi valori -: gratta gratta
sono tutti relativisti. Le cose che dice il Capo non sono "vere", ma devono valere perché c'è
bisogno
di un Capo (e ce n'è bisogno per tenere insieme una collettività dove ognuno avrebbe i suoi valori,
incommensurabili e incomunicabili). Lenin è realista fino a un certo punto, ma quando rompe con
la II Internazionale sostituendo la parola d'ordine "pace senza né vinti né vincitori" con lo slogan
"trasformare la guerra imperialistica in guerra civile" direi che passa dalla parte opposta. Insomma,
con il realista si può ancora discutere, con il relativista no. 3) "Il pericolo viene da coloro che sostengono una logica bivalente e dicotomica" (Gagliano).
Sì, sono
cosciente di rappresentare un pericolo, per quel che posso, per un certo modo di pensare: ho parlato
di via della consapevolezza procedurale (al singolare) in contrapposizione alla via conoscitivista
(che non porta a consapevolezza ma, invece, ad autocontraddizione). Una volta risolto questo
storico problema, nulla vieta di elaborare (al plurale) diverse vie alla consapevolezza procedurale
- che non saranno, allora, contrapposte per la loro presunta "affidabilità" o meno nei confronti di
una "realtà-pre-esistente"; ma che, invece, risulteranno più o meno praticabili a seconda delle
esigenze e delle risorse di chi vi ricorre.
Francesco Ranci (Milano)
|