Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 225
marzo 1996


Rivista Anarchica Online

Il futuro non è più quello di una volta
di Maria Matteo

La crisi della democrazia è ormai irreversibile. L'opzione comunalista e autogestionaria

Quand'ero bambina mia madre era solita ricordarmi che di buoni propositi è lastricata la via dell'inferno: era il suo modo per indurmi a non perdermi in fantasticherie ed a farmi carico della concreta materialità dell'esistenza, che era fatta di conti da pagare, regole da rispettare, tranquillità e sicurezza da perseguire ad ogni costo.
Già allora era per me molto difficile limitare l'orizzonte del possibile entro gli angusti limiti di un miserabile opportunismo spicciolo neanche troppo velato da esili crosticine morali. La mia insofferenza infantile non si tradusse in una precoce inclinazione alla ribellione ma, al contrario, si risolse in una caparbia volontà di aderire alle regole formali cui faceva da contraltare un'assoluta incapacità di adattarmi alle quotidiane e non codificate norme del "saper vivere". L'adesione all'anarchismo, la consapevolezza che non vi possono essere norme giuste se non si è avuta la possibilità di accedere alla loro determinazione, è avvenuta soltanto in seguito.
Molta acqua è passata sotto i ponti e mia madre, la cui attitudine alla rassegnazione non è mai venuta meno, si è in qualche modo adattata alle scelte di una figlia incapace di coniugare concretezza con miseria, obbedienza, conformismo. Tuttavia l'esigenza di legare effettualità e tensione utopica è per me divenuto assillo costante. E' l'incontestabile urgenza d'un agire politico e sociale in grado di connettere un'effervescente concretezza con la tensione ad un radicale cambiamento.
Chi intraprende un viaggio si interroga su meta, percorso, mezzi di trasporto, nonchè sui compagni di viaggio: nell'itinerario anarchico sarebbe impossibile tralasciare anche uno solo di questi aspetti, poichè la connessione tra il fine ed il mezzo si pone su un terreno che prima che politico è eminentemente etico. Il che evidentemente pone più problemi di quanti non ne risolva, quando si affronta il delicato nodo del rapporto tra etica della convinzione ed etica della responsabilità. E' una questione intorno alla quale si sono, non a caso, venute dipanando diverse concezioni dell'anarchismo, diversi modi di intendere il rapporto tra mezzi e fini e di valutarne l'intima coerenza.
Qualcuno potrà asserire che si tratta di temi squisitamente teorici, forse non privi di interesse ma nondimeno avulsi dalla realtà concreta, lontani dalle contingenze politiche e sociali del momento. La città brucia e c'è chi disquisisce sul prezzo della lana caprina, si cimenta in tanto raffinati quanto inutili bizantinismi. L'attitudine a considerare irrilevanti o, peggio, irrisolubili i temi inerenti possibilità e linee di sviluppo di movimenti di trasformazione sociale di ampio respiro è sintomo inequivocabile d'una difficoltà sulla quale val la pena di ragionare, poichè segnala l'incapacità di aprire percorsi la cui valenza vada al di là dell'immediato.
L'intervento sindacale, la costruzione di un'attività autogestita, la presenza nelle lotte degli studenti e degli immigrati, l'attività ambientalista, anticlericale, femminista ed antimilitarista sono indubbiamente alcuni importanti terreni nei quali si esplicita un'opzione radicalmente antiautoritaria, che è tuttavia pesantemente inficiata dal carattere occasionale che non di rado tali scelte assumono.
La carenza di tensione progettuale è un dato tanto palpabile, che sarebbe miope imputare unicamente ad una situazione storica poco favorevole il mancato dispiegarsi di significative istanze libertarie. Tra le nostre aspirazioni ed un orizzonte politico e sociale che renda pensabile la possibilità di una loro realizzazione v'è un divario che appare in verità difficilmente colmabile, nondimeno tale innegabile situazione dovrebbe stimolare e non frenare lo sforzo progettuale.
D'altro canto la crisi della democrazia appare ormai irreversibile sia nella recenti democrazie dell'est sia in paesi in cui v'è una democrazia "matura": il crescere dell'astensionismo ne è indice inequivocabile. Nella nostra bell'Italia la santa alleanza tra i nipoti di Togliatti e quelli di Mussolini non solo disegna uno scenario da partito unico ma prelude ad un'ipotesi presidenzialista, che, come è già avvenuto altrove, apre le porte ad un secco ridimensionamento del ruolo del parlamento.
La pretesa democratica di conciliare libertà ed autorità mostra oggi come non mai tutti i suoi limiti. Il più acuto esegeta della nuova fase è indubbiamente il post-fascista neoconservatore Fini che individua nell'elezione diretta del premier la sanatoria ai mali del parlamentarismo. In breve "l'uomo forte" viene contrapposto ad un parlamento troppo spesso ostaggio dei contrapposti interessi dei partiti.
La ricetta di Fini è chiara: un popolo, una nazione, un capo. Niente di nuovo sotto il sole se si eccettua il dato che sotto le bandiere di Alleanza Nazionale si stringono quasi tutte le forze dell'arco parlamentare. Un tempo non troppo lontano si preferiva la dicitura "arco costituzionale", una denominazione che, non a caso, comprendeva tutti i partiti rappresentati in parlamento tranne i fascisti. Oggi, sempre non a caso, per modificare la costituzione della repubblica nata dalla Resistenza al nazifascismo gli eredi del Duce sono un punto di riferimento imprescindibile.
Qualche anno fà un noto vignettista satirico nostrano dipingeva l'allora presidente del consiglio oggi esule ad Hamammet come novello Mussolini: oggi Fini può ben vendersi come campione della democrazia se contrappone un Benito eletto dal popolo ad un Bettino figlio del potere demo-socialista.
Il Galileo di Brecht pensava fosse più triste l'epoca che ha bisogno d'eroi di quella che ne è priva: oggi viviamo un tempo ben più triste, poichè il popolo, autentico protagonista dell'antieroismo brechtiano, è il vero grande assente dalla scena politica nostrana.
So bene che la profonda crisi della democrazia non può di per sè esser considerata foriera di sviluppi libertari e che anzi pare sciogliersi lungo chine palesemente autoritarie, nondimeno potrebbe essere occasione favorevole per sperimentazioni politiche nuove.
L'inarrestabile declino dello stato sociale, se da un lato implica un peggioramento obbiettivo delle condizioni di vita dei ceti deboli, per altro verso disinnesca un raffinato ed efficace meccanismo di controllo della conflittualità sociale e consente di pensare e praticare interessanti percorsi di autonomia dall'istituito.
L'emergere significativo di forme di autogoverno così come il moltiplicarsi di attività produttive, di servizio e di scambio autogestite, nonchè lo sviluppo di forme di mutuo soccorso disegna un quadro in cui segmenti significativi della società civile transitano altrove, fuoriescono dalla pesante tutela statale e "materialmente" si oppongono alla logica capitalista.
E' un processo che oggi non di rado appare parziale, frammentario, poco incisivo, ma ha tuttavia l'indubbio merito di prefigurare modalità di estrinsecazione del conflitto atte a traslare lo scontro sociale su un piano più immediatamente propositivo e non meramente difensivo. Il che, intendiamoci, non significa negare il ruolo e l'importanza della politica di opposizione, di resistenza ma di connetterla con una prassi capace di accrescere l'autonomia di soggetti sociali che si pongono fuori e contro il capitalismo e lo stato.
Le ipotesi comunaliste, o, se si preferisce, di autogoverno comunitario, di fatto alludono ad una riappropriazione della dimensione della cittadinanza oggi espropriata dai perversi meccanismi della democrazia.
La critica anarchica della politica tende troppo spesso a far coincidere la sacrosanta negazione della politica statale con la negazione della funzione politica in quanto tale. E' un pericoloso abbaglio poichè si fonda sull'ingenua illusione di una spontanea capacità autonormativa che pervaderebbe un aggregato sociale svincolato dalle pastoie del dominio. Il che non solo rimanda all'orizzonte remoto di un domani post-rivoluzionario il dispiegarsi di relazioni sociali libere ma di fatto elude il problema del conflitto, ineliminabile in una società aperta e dinamica.
Il pensare e, soprattutto, lo sperimentare modalità libertarie di aggregazione politica svolge quindi una duplice funzione: da un lato consente di non demandare a domani quel che può e deve essere posto in essere già oggi, dall'altro diviene luogo cardine di un'opposizione all'ordine vigente che si veicola nella costruzione simbolica e materiale di un orizzonte libertario.
Parimenti l'autogestione è il necessario correlato del comunalismo in ambito politico e sociale, poichè coniuga una prassi tanto radicale quanto direttamente incisiva.
Occorre superare o, quantomeno, mirare al superamento dello iato che separa l'etica della convinzione, ossia il piano dei principi, dall'etica della responsabilità, il terreno in cui diviene moralmente rilevante l'effettualità del nostro agire. D'altro canto una sensibilità etica di stampo libertario non può e non deve scindere il proprio quadro assiologico, i propri valori di riferimento, dall'azione concreta di chi sceglie tali valori.
Su di un piano più immediatamente politico la scommessa è quella di coniugare una forte tensione ad una radicale trasformazione sociale con la capacità di mettere in campo, nel qui ed ora, non domani ma oggi, un'azione politica e sociale che, seppure parzialmente, sappia essere immediatamente effettuale.
In quest'ottica l'opzione comunalista ed autogestionaria tenta di gettare un ponte tra noi ed il futuro, di riempire di senso concreto il gradualismo rivoluzionario. Tra noi ed un domani possibile ma non direttamente attingibile l'opzione libertaria deve saper distruggere costruendo, poichè la libertà non si dà che nella pratica della libertà, l'autonomia dal dominio non si pone se non nell'affermazione concreta, singolare e collettiva, della capacità di sperimentarne quotidianamente la possibilità.
Certo forse oggi il futuro non è più quello di una volta, non è più una promessa per un domani radioso, non è più una speranza per le generazioni future, ma semmai una scommessa da giocare giorno per giorno, nella consapevolezza che senza un presente non si potrà avere alcun futuro.