Rivista Anarchica Online
Il futuro non è più quello di una volta
di Maria Matteo
La crisi della democrazia è ormai irreversibile. L'opzione comunalista e autogestionaria
Quand'ero bambina mia madre era solita ricordarmi che di buoni propositi è lastricata
la
via dell'inferno: era il suo modo per indurmi a non perdermi in fantasticherie ed a farmi
carico della concreta materialità dell'esistenza, che era fatta di conti da pagare, regole da
rispettare, tranquillità e sicurezza da perseguire ad ogni costo. Già allora era per me molto difficile
limitare l'orizzonte del possibile entro gli angusti
limiti di un miserabile opportunismo spicciolo neanche troppo velato da esili crosticine
morali. La mia insofferenza infantile non si tradusse in una precoce inclinazione alla
ribellione ma, al contrario, si risolse in una caparbia volontà di aderire alle regole formali
cui faceva da contraltare un'assoluta incapacità di adattarmi alle quotidiane e non
codificate norme del "saper vivere". L'adesione all'anarchismo, la consapevolezza che
non vi possono essere norme giuste se non si è avuta la possibilità di accedere alla loro
determinazione, è avvenuta soltanto in seguito. Molta acqua è passata sotto i ponti e mia madre, la cui
attitudine alla rassegnazione non è
mai venuta meno, si è in qualche modo adattata alle scelte di una figlia incapace di
coniugare concretezza con miseria, obbedienza, conformismo. Tuttavia l'esigenza di
legare effettualità e tensione utopica è per me divenuto assillo costante. E'
l'incontestabile urgenza d'un agire politico e sociale in grado di connettere
un'effervescente concretezza con la tensione ad un radicale cambiamento. Chi intraprende un viaggio si interroga su
meta, percorso, mezzi di trasporto, nonchè sui
compagni di viaggio: nell'itinerario anarchico sarebbe impossibile tralasciare anche uno
solo di questi aspetti, poichè la connessione tra il fine ed il mezzo si pone su un terreno
che prima che politico è eminentemente etico. Il che evidentemente pone più problemi di
quanti non ne risolva, quando si affronta il delicato nodo del rapporto tra etica della
convinzione ed etica della responsabilità. E' una questione intorno alla quale si sono, non
a caso, venute dipanando diverse concezioni dell'anarchismo, diversi modi di intendere il
rapporto tra mezzi e fini e di valutarne l'intima coerenza. Qualcuno potrà asserire che si tratta di temi
squisitamente teorici, forse non privi di
interesse ma nondimeno avulsi dalla realtà concreta, lontani dalle contingenze politiche e
sociali del momento. La città brucia e c'è chi disquisisce sul prezzo della lana caprina, si
cimenta in tanto raffinati quanto inutili bizantinismi. L'attitudine a considerare irrilevanti
o, peggio, irrisolubili i temi inerenti possibilità e linee di sviluppo di movimenti di
trasformazione sociale di ampio respiro è sintomo inequivocabile d'una difficoltà sulla
quale val la pena di ragionare, poichè segnala l'incapacità di aprire percorsi la cui valenza
vada al di là dell'immediato. L'intervento sindacale, la costruzione di un'attività autogestita, la presenza
nelle lotte
degli studenti e degli immigrati, l'attività ambientalista, anticlericale, femminista ed
antimilitarista sono indubbiamente alcuni importanti terreni nei quali si esplicita
un'opzione radicalmente antiautoritaria, che è tuttavia pesantemente inficiata dal carattere
occasionale che non di rado tali scelte assumono. La carenza di tensione progettuale è un dato tanto palpabile,
che sarebbe miope imputare
unicamente ad una situazione storica poco favorevole il mancato dispiegarsi di
significative istanze libertarie. Tra le nostre aspirazioni ed un orizzonte politico e sociale
che renda pensabile la possibilità di una loro realizzazione v'è un divario che appare in
verità difficilmente colmabile, nondimeno tale innegabile situazione dovrebbe stimolare e
non frenare lo sforzo progettuale. D'altro canto la crisi della democrazia appare ormai irreversibile sia nella recenti
democrazie dell'est sia in paesi in cui v'è una democrazia "matura": il crescere
dell'astensionismo ne è indice inequivocabile. Nella nostra bell'Italia la santa alleanza tra
i nipoti di Togliatti e quelli di Mussolini non solo disegna uno scenario da partito unico
ma prelude ad un'ipotesi presidenzialista, che, come è già avvenuto altrove, apre le porte
ad un secco ridimensionamento del ruolo del parlamento. La pretesa democratica di conciliare libertà ed
autorità mostra oggi come non mai tutti i
suoi limiti. Il più acuto esegeta della nuova fase è indubbiamente il post-fascista
neoconservatore Fini che individua nell'elezione diretta del premier la sanatoria ai mali
del parlamentarismo. In breve "l'uomo forte" viene contrapposto ad un parlamento troppo
spesso ostaggio dei contrapposti interessi dei partiti. La ricetta di Fini è chiara: un popolo, una nazione, un
capo. Niente di nuovo sotto il sole
se si eccettua il dato che sotto le bandiere di Alleanza Nazionale si stringono quasi tutte le
forze dell'arco parlamentare. Un tempo non troppo lontano si preferiva la dicitura "arco
costituzionale", una denominazione che, non a caso, comprendeva tutti i partiti
rappresentati in parlamento tranne i fascisti. Oggi, sempre non a caso, per modificare la
costituzione della repubblica nata dalla Resistenza al nazifascismo gli eredi del Duce
sono un punto di riferimento imprescindibile. Qualche anno fà un noto vignettista satirico nostrano dipingeva
l'allora presidente del
consiglio oggi esule ad Hamammet come novello Mussolini: oggi Fini può ben vendersi
come campione della democrazia se contrappone un Benito eletto dal popolo ad un
Bettino figlio del potere demo-socialista. Il Galileo di Brecht pensava fosse più triste l'epoca che ha bisogno
d'eroi di quella che ne
è priva: oggi viviamo un tempo ben più triste, poichè il popolo, autentico protagonista
dell'antieroismo brechtiano, è il vero grande assente dalla scena politica nostrana. So bene che la profonda crisi
della democrazia non può di per sè esser considerata foriera
di sviluppi libertari e che anzi pare sciogliersi lungo chine palesemente autoritarie,
nondimeno potrebbe essere occasione favorevole per sperimentazioni politiche nuove. L'inarrestabile declino dello
stato sociale, se da un lato implica un peggioramento
obbiettivo delle condizioni di vita dei ceti deboli, per altro verso disinnesca un raffinato
ed efficace meccanismo di controllo della conflittualità sociale e consente di pensare e
praticare interessanti percorsi di autonomia dall'istituito. L'emergere significativo di forme di autogoverno così
come il moltiplicarsi di attività
produttive, di servizio e di scambio autogestite, nonchè lo sviluppo di forme di mutuo
soccorso disegna un quadro in cui segmenti significativi della società civile transitano
altrove, fuoriescono dalla pesante tutela statale e "materialmente" si oppongono alla
logica capitalista. E' un processo che oggi non di rado appare parziale, frammentario, poco incisivo, ma ha
tuttavia l'indubbio merito di prefigurare modalità di estrinsecazione del conflitto atte a
traslare lo scontro sociale su un piano più immediatamente propositivo e non meramente
difensivo. Il che, intendiamoci, non significa negare il ruolo e l'importanza della politica
di opposizione, di resistenza ma di connetterla con una prassi capace di accrescere
l'autonomia di soggetti sociali che si pongono fuori e contro il capitalismo e lo stato. Le ipotesi comunaliste, o, se si
preferisce, di autogoverno comunitario, di fatto alludono
ad una riappropriazione della dimensione della cittadinanza oggi espropriata dai perversi
meccanismi della democrazia. La critica anarchica della politica tende troppo spesso a far coincidere la sacrosanta
negazione della politica statale con la negazione della funzione politica in quanto tale. E'
un pericoloso abbaglio poichè si fonda sull'ingenua illusione di una spontanea capacità
autonormativa che pervaderebbe un aggregato sociale svincolato dalle pastoie del
dominio. Il che non solo rimanda all'orizzonte remoto di un domani post-rivoluzionario il
dispiegarsi di relazioni sociali libere ma di fatto elude il problema del conflitto,
ineliminabile in una società aperta e dinamica. Il pensare e, soprattutto, lo sperimentare modalità
libertarie di aggregazione politica
svolge quindi una duplice funzione: da un lato consente di non demandare a domani quel
che può e deve essere posto in essere già oggi, dall'altro diviene luogo cardine di
un'opposizione all'ordine vigente che si veicola nella costruzione simbolica e materiale
di un orizzonte libertario. Parimenti l'autogestione è il necessario correlato del comunalismo in ambito politico
e
sociale, poichè coniuga una prassi tanto radicale quanto direttamente incisiva. Occorre superare o, quantomeno,
mirare al superamento dello iato che separa l'etica della
convinzione, ossia il piano dei principi, dall'etica della responsabilità, il terreno in cui
diviene moralmente rilevante l'effettualità del nostro agire. D'altro canto una sensibilità
etica di stampo libertario non può e non deve scindere il proprio quadro assiologico, i
propri valori di riferimento, dall'azione concreta di chi sceglie tali valori. Su di un piano più immediatamente
politico la scommessa è quella di coniugare una forte
tensione ad una radicale trasformazione sociale con la capacità di mettere in campo, nel
qui ed ora, non domani ma oggi, un'azione politica e sociale che, seppure parzialmente,
sappia essere immediatamente effettuale. In quest'ottica l'opzione comunalista ed autogestionaria tenta di gettare un
ponte tra noi
ed il futuro, di riempire di senso concreto il gradualismo rivoluzionario. Tra noi ed un
domani possibile ma non direttamente attingibile l'opzione libertaria deve saper
distruggere costruendo, poichè la libertà non si dà che nella pratica della libertà,
l'autonomia dal dominio non si pone se non nell'affermazione concreta, singolare e
collettiva, della capacità di sperimentarne quotidianamente la possibilità. Certo forse oggi il futuro
non è più quello di una volta, non è più una promessa per un
domani radioso, non è più una speranza per le generazioni future, ma semmai una
scommessa da giocare giorno per giorno, nella consapevolezza che senza un presente non
si potrà avere alcun futuro.
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