Rivista Anarchica Online
Crimini di stato
di Eduardo Colombo
Esce nelle librerie il libro di Alex Comfort Potere e delinquenza. Ecco l'introduzione dello psicanalista anarchico
argentino Eduardo Colombo
E, sogghignando sotto i baffi, Egli fece dell'uno un
papa, Dell'altro un imperatore. V. Hugo
Potere e delinquenza, testo breve ma denso, quasi un compendio, analizza un problema
fondamentale della società
centralizzata, urbanizzata e sviluppata del mondo contemporaneo: la delinquenza politica. Se l'aggettivo
classico designa un'opera degna d'essere studiata e capace di durare nel tempo, quello che avete
tra le mani è certamente un «classico», pur se ignorato o dimenticato, un classico scritto quarantacinque
anni fa.
Nonostante il suo stile misurato, il suo tono pacato, questo saggio va contro ogni accademia e non è di
lettura
corrente in nessuna università. A dire il vero, io l'ho letto all'inizio degli anni '60, quando insegnavo
Psicologia
Sociale all'università di La Plata, in Argentina, ma a farmelo trovare e leggere era stata certo più
la mia cultura
e curiosità libertaria che non la mia preparazione accademica.. Questo libro è un «classico»
anche per il modo in cui imposta il problema, .se per classico s'intende ciò che
s'intende, con riferimento all'antichità greca e latina, nella «querelle des anciens et des
modernes» in filosofia
politica. Questa considera come moderni i pensatori che, a partire da Machiavelli, subordinano la virtù
alla
politica o considerano come sola virtù quella politicamente utile, mentre sono al contrario considerati
classici
quelli che subordinano la politica ad una regola etica o perseguono - postulando un valore attuale e non finale:
libertà uguaglianza, giustizia - un'utopia sociale. C'è, nello sviluppo stesso del pensiero
politico, storicamente costruito sotto il segno del dominio e
dell'obbedienza, una razionalità che è propria dell'«arte del governare» e che non è altro
che una pura teoria
dell'azione. Un uomo come Gabriel Naudé che ha servito insieme il potere religioso e quello politico,
prima come
segretario di cardinali romani e poi come bibliotecario di Mazzarino, spiega nelle sue
Considérations politiques
sur les coups d'Etat (1639) che in ultima istanza, e come rivela in situazioni straordinarie la
necessità del colpo
di stato, le ragioni di una politica ed il principio della sua giustificazione si trovano solo nel risultato, cioè
nel
successo dell'azione intrapresa. Qualunque sia la struttura dello stato, qualunque sia la natura del regime, l'azione
propriamente politica occulta le sue ragioni profonde, gli arcana imperii, pensa Naudé - e
per certo non è il solo
a pensarlo - giacché essa non dipende dalla morale, né dal diritto, né dalla religione,
né dall'ideologia, bensì
esclusivamente dalla necessità del potere. Normalmente, in politica, l'arte di governare si esercita con
l'acquiescenza dei sudditi e si adatta per lo più alle regole stabilite ed al diritto comune. Ma, anche
restando
nell'ambito delle democrazie rappresentative attuali, la realtà quotidiana mostra a chi vuole vedere, l'ha
riconosciuto goffamente anche un ministro degli Interni francese, che lo «Stato di diritto si ferma dove
comincia
la ragione di Stato» (Charles Pasqua, 1993). Sulla scena dell'azione politica governativa il comportamento
che sarebbe delittuoso e facilmente identificabile
nell'uomo comune acquista una dimensione diversa, diventa «accettabile» entro i limiti definiti
dall'ordinarietà
o straordinarietà della situazione e pretende un'altra scala di valori per essere giudicato. Come scrive Alex
Comfort, le occasioni favorevoli alla delinquenza accettata si trovano quasi tutte nell'ambito del
potere. Le generazioni che hanno visto cosa può fare un Hitler o uno Stalin, per citare solo
i «grandi», che finché
regnarono furono applauditi dalle moltitudini, dovrebbero essere in grado di vedere il pericolo insito in tutto
ciò,
se non fossero penalizzate dalla paura paranoide del futuro e dalla convinzione, non sempre esplicitata, che la
realtà gli sfugge, che sono impotenti a cambiare la società. Al tempo stesso, uno schema
incosciente di
sottomissione all'autorità lega la maggioranza all'immaginario teologico-politico delle istituzioni
gerarchiche.
Il fallimento delle rivoluzioni del XX secolo è determinato in gran parte del ricorso massiccio allo stato,
forma
globalizzante, paradigma del vecchio mondo. Citiamo Comfort: «Il fatto che i meccanismi di potere siano un
mezzo per l'autoespressione dei delinquenti e degli impulsi aggressivi limita di fatto il loro utilizzo potenziale
come mezzo di mutamento sociale». In questo senso, «la sociologia moderna offre un forte supporto alla
concezione libertario-anarchica del mutamento sociale contro quella totalitario-istituzionale, benché lo
faccia in
modo critico». Il ragionamento si basa sull'ipotesi seguente: le società moderne, gerarchiche, di
cultura urbana centralizzata,
hanno bisogno di discriminare e selezionare il tipo di comportamento criminale che tollerano o addirittura
premiano e il tipo che riprovano o castigano. La società tutta, dipendente dallo stato anche quando si sente
minacciata dal crimine individuale, richiede per sussistere, a causa della sua stessa dipendenza, proprio «la
produzione di un tipo di cittadino da cui ci si possono aspettare azioni criminali». Sorge così una
doppia relazione simbolica tra potere e delinquenza; da un lato la delinquenza
individuale si
inserisce e si autodissolve negli strati del potere e nel contempo si costituisce nell'immaginario collettivo un asse
i cui poli, mutuamente dipendenti, sono le figure tradizionali, opposte e complementari, della delinquenza
politica: il tiranno potenziale ed il servo potenziale. Sullo sfondo resta, come terzo escluso, il
criminale, il
mercenario, o il delinquente non autorizzato sul cui capo si scaricherà l'aggressione deviata e ritualizzata
dei
cittadini perbene. L'analisi del modello sociale che organizza potere, delinquenza e obbedienza, un' analisi
che va di pari passo con
la critica anarchica di quel modello, è espressione di un pensiero forte che dà a questo libro la
sua forza. Comfort pubblicò nel 1961 una raccolta di articoli con il titolo Darwin e la donna
nuda dove fa una distinzione
tra due forme del pensare, «due forme, due modi di affrontare le generalizzazioni che chiamerò, senza
pregiudizi,
il modo forte ed il modo debole. Il modo forte di affrontare una successione data di fatti, una «regolarità
di
comportamenti» è quella di accettare - sia o no giustificabile - che tale regolarità possa essere
«spiegata», che
sia possibile scoprire da che cosa dipende. La forma debole consiste nel fissare la regolarità, chiamarla
legge,
verità o realtà spirituale e utilizzare queste definizioni come se fossero spiegazioni. La riverenza
è l'equivalente
debole della curiosità. [
] I forti invocano il metodo scientifico nella speranza che funzioni; i deboli nella
speranza che fallisca». E qualche paragrafo più innanzi: «Non mi riesce di trovare termini filosofici esatti
per
l'approccio forte e per quello debole. Si avvicinano alla ratio e alla intelligentia
medievali. Sono modi di porsi,
non sistemi, pur se ad esempio generano rispettivamente l'empirismo e il vitalismo». In politica, aggiungerei io,
generano ad esempio l'anarchismo e la socialdemocrazia. La prova della superiore validità del
pensiero forte la troviamo, a mio parere, nella persistenza
dell'argomentazione nel corso del tempo, che riappare in autori diversi e nella sua pertinenza rispetto
all'esperienza storica. Così, nel pensiero autoritario, un'opinione apparentemente stravagante come
quella di Naudé, che nel XVII secolo
fondava la razionalità della politica sul successo dell'azione, riappare poco prima del trionfo del nazismo
nell'opera di Carl Schmitt che apre la sua Teologia politica con la frase: «È sovrano colui
che decide nelle
situazioni eccezionali». Al che segue il corollario logico: «Anche l'ordine giuridico riposa, come ogni ordine, su
una decisione e non su una norma». L'approccio forte nel pensiero anti-autoritario è stato quello di
non prosternarsi (prosternarsi, come dicono i
dizionari, significa inchinarsi profondamente, o genuflettersi, o entrambe le cose, in segno di rispetto o di
supplica) di fronte alla realtà del potere politico e di cercare le cause, le ragioni, i motivi della sua
esistenza. A
metà del XVI secolo Etienne de la Boétie scriveva: «
un Tiranno solo, che non ha altra potenza
che quella che
gli si dà
». E lanciò il suo famoso appello alla coscienza di ognuno: «Siate dunque risoluti a non
più servire e
sarete liberi». Uno studioso di storia delle idee politiche, nostro contemporaneo, riconosce a proposito del
Leviatano: «La
definizione hobbesiana è reale, o meglio genetica, creatrice: l'esistente, il reale di cui ivi si tratta, è
quel che è
stato creato in virtù e per mezzo del processo mentale e volontario di cui la definizione non è che
il resoconto».
E un filosofo scrive: «Lo Stato? Ci credo perché è assurdo. Ci credo perché non posso
sapere. Ne consegue
che
la posizione anarchica non deriva dall'ignoranza, ma dalla miscredenza». Lo stato è dunque una
costruzione storica che organizza e legittima l'esistenza sociale del potere politico. In ogni
situazione particolare, nonostante l'evoluzione e la trasformazione costante, le istituzioni vigenti spingono nella
direzione dell'integrazione della personalità individuale conformemente al modello culturale dominante.
«Siamo
cresciuti con lo Stato», e la tradizione democratica conserva la credenza che «lo Stato è un meccanismo
per mezzo
del quale si può modificare la condotta umana». Comfort ci mostra come la discriminazione, la
selezione e l'utilizzo di personalità capaci di comportamenti
delittuosi a tutti i livelli della struttura di dominio - sia a livello dirigenziale sia come manovalanza - siano
un'esigenza del sistema gerarchico centralizzato. Il delinquente autorizzato si serve della legge a proprio favore.
E tanto «l'offerta come la domanda di delinquenti sono un prodotto di questa società». Di
conseguenza, il criminale «reo convinto» non rappresenta un sottoprodotto eliminabile della nostra cultura,
bensì un'eccedenza divergente di una delle sue produzioni. Alcuni anni dopo l'uscita di Potere
e delinquenza, Cecil Wright Mills pubblicò nel 1956 il suo studio sull'elite
del potere negli Usa, in cui esprime l'idea che «finché ci sarà un'elite come classe sociale o come
insieme di
uomini che occupano i posti di comando, essa sempre selezionerà positivamente e formerà certi
tipi di personalità
e ne rifiuterà altri». Il tipo di esseri morali e psicologici che costituiscono l'elite sarà in gran parte
determinata
dai ruoli istituzionali che dovranno rappresentare e che ci si aspetta che effettivamente
rappresentino. Evidentemente le aspettative sociali sono differenti a seconda delle classi o dei gruppi, ma che
avviene con gli
individui che non corrispondono a ciò che ci si aspetta da loro? Non è questo il luogo per
occuparci del ribelle,
del rivoluzionario o dell'emarginato; limitiamoci per il momento a considerare che il modello culturale
centralizzato tende a criminalizzarli e, pur con tutte le mille sfumature che intervengono nel processo di
criminalizzazione, essi alla fine confluiranno in un'unica categoria: coloro che meritano di essere repressi, quelli
che esigono il castigo. Il prototipo ordinatore di queste categorie è il criminale, il delinquente «senza
licenza», l'«eccedente divergente»
che non ha trovato ubicazione nella scala del potere, o colui che commette crimini di sangue. Comfort, citando
Reiwald, parla di crimini «espiatorii», riferendosi a tutti quei fatti sessuali, sanguinosi, violenti o quei delitti di
lesa maestà che suscitano una reazione emozionale profonda nella gran maggioranza della popolazione
poiché
toccano i desideri occulti e incoscienti che si esprimono solo nei sogni e che sono una fonte repressa di senso di
colpa e di sottomissione. Il castigo, in primo luogo il patibolo, restaura la norma e si converte in un rituale
di purificazione. Per questo il
castigo «opera principalmente sul cittadino che rispetta la legge», come aveva già intuito Emile
Durkheim. Il potere politico - potremmo anche dire «il braccio secolare del dominio» - espone il criminale
alla luce dei
riflettori, lo offre come vittima espiatoria a membri psicologicamente meglio repressi e integrati nella
società, i
quali si sentono così sollevati e giustificati. L'immagine del condannato come salvatore ed esorcista
supera
ampiamente la sua utilizzazione nel rito cristiano domenicale. L'atteggiamento del pubblico di fronte a colui
che viene segnalato legalmente come suo nemico è
fondamentalmente ambivalente, così come è ambivalente anche il suo atteggiamento di fronte
al re, al presidente,
al tiranno. Il governante ed il servo, opposti e complementari, come abbiamo detto, ricevono ammirazione e
disprezzo. Allo stesso tempo, una linea immaginaria li unisce al mondo oscuro dell'escluso, del carcerato, del
condannato, i quali pure infondono timore e rispetto. Il re e il condannato sono intercambiabili, «il
trasgressore
e il governante occupano di fatto gli estremi opposti di un solo asse emozionale». Nel suo libro sull'origine della
prigione, Michel Foucault riprende il tema con parole simili: «Nella regione più scura del campo politico,
il
condannato disegna la figura simmetrica e inversa del re». Le forme di castigo stabilite dalla legge cambiano
continuamente; la sua funzione costante è, in ogni epoca, quella
di amministrare e organizzare gli illegalismi. Per certo, «i castighi non sono destinati a eliminare le infrazioni,
ma piuttosto a distinguerle, a distribuirle, a utilizzarle». La forma attuale di castigo è la prigione, come
ieri è stata
la «galera» (nel senso dei forzati ai remi delle galee o galere) e poi i bagni penali. Entrambe queste ultime forme
di castigo produssero quella «catena» di forzati che s'inscrive nella vecchia tradizione dei castighi pubblici. La
«catena» che attraversa le città si trasforma in uno spettacolo di massa, in una miscela di rito da capro
espiatorio
e di «festa dei folli», in cui si invertono l'ordine del potere ed i suoi simboli. Qualcosa di simile ad un «sabba»
politico, dirà Foucault. La Francia vide le ultime «catene» nel 1836. Costumi barbari. Ma la storia
balbetta e non è esente da brutali regressioni. Simbolo dell'auge delle ideologie
reazionarie, la «catena dei forzati» fa la sua ricomparsa nel sud degli Stati Uniti nell'ultima decade del XX
secolo. Nella società moderna i partiti politici reclutano, tra coloro che fanno carriera nel loro seno,
quelli che saranno
proposti al suffragio popolare, per essere eletti come legislatori o governanti. Nel caso di questa carriera, diversi
tratti delinquenziali di una personalità psicopatica si incanalano verso un tipo di comportamento adeguato
alla
funzione dirigenziale. Questa stessa attività dirigenziale allontana dall'azione violenta, direttamente
repressiva,
gli individui chiamati ad esercitarla. Essi non vedono le loro vittime. E poiché la violenza è,
per i sistemi gerarchici di dominio, una necessità, tra quelli che comandano ed i sudditi
che obbediscono passivamente si ubicano quelli che eseguono gli ordini e fanno applicare le decisioni. Si
costituiscono così quei corpi dello stato che Comfort chiama l'elite della coazione. La definiscono due
caratteristiche: l'obbedienza incondizionata e un «comune rifiuto della responsabilità per l'esecuzione
degli
ordini». Il primo obbligo è di non pensare mai in modo autonomo; la coscienza morale deve essere
proiettata
all'esterno del soggetto e posta ai differenti gradini del potere normativo, oppure in un substrato personalizzato
nella figura del leader carismatico. Questo meccanismo di decolpevolizzazione e di trasferimento di
responsabilità
fa sì che l'esistenza di questi corpi istituzionali sia particolarmente importante nello sviluppo della
delinquenza
di gruppo. La presenza invadente delle immagini televisive nella cultura contemporanea e la mole di
informazioni, pur
previamente discriminate, che arriva in ogni casa mostrano a sazietà l'operare dei «corpi d'elite», truppe
mercenarie dello stato e corpi speciali di polizia, sia all'interno sia all'esterno delle frontiere nazionali. Interventi
violenti ai quali si aggiunge il contorno, avventizio ma inevitabile, di «eccessi» che lo stesso potere politico si
vede costretto a condannare. Un esempio particolarmente chiaro delle attività delinquenziali delle
elite della coazione ci viene dall'Argentina.
Lì quei corpi entrarono in azione come gruppi para-militari negli anni '70, nell'ambito di un governo
costituzionale. Quando le forze armate si impadronirono dello stato nel marzo del '76, i sequestri, le torture, gli
stupri, gli assassinii e le desapariciones vennero ordinate direttamente dal Comitato supremo che
svolgeva le
funzioni di governo del Paese. La tecnica repressiva era opera di sadici che però erano esecutori
irreggimentati.
Un generale, delegato argentino presso la Junta Interamericana de Defensa, ha affermato nel gennaio 1980:
«Abbiamo fatto la guerra con la dottrina alla mano, con gli ordini scritti dei Comitati superiori». Per praticare
questo tipo di terrorismo di stato, che i militari chiamano «guerra sporca», la generalizzazione della tortura fu
un
elemento determinante che impose la creazione di centri clandestini di detenzione. Con il ritorno alla
democrazia parlamentare, sotto la costante pressione dei militari, è stata votata una legge detta
«dell'obbedienza dovuta» che ha legalizzato l'impunità delle azioni delittuose. L'aggressività
ed il sadismo degli ordini impartiti non creò difficoltà alla loro esecuzione. E gli esecutori non
si
privarono nemmeno dei piccoli profitti personali. «I furti perpetrati nei domicili dei sequestrati erano considerati
dai militari implicati come 'bottino di guerra'». Spogliare le vittime dei loro beni è una pratica di lunga
data
notoriamente esercitata, seppure illegalmente, tanto dai militari subordinati argentini che dai «guardia-ciurma»
con i condannati che portavano in galera. La cupidigia non è aliena al desiderio di potere. Il capitolo
che resterebbe da affrontare è la delinquenza economica di coloro che detengono il potere, ampiamente
diffusa nonostante che l'illegalismo dei privilegiati sia riuscito a mantenere tutto un immenso settore della
circolazione economica ai margini della legislazione. Ripetutamente nel corso di questo secolo in più di
un Paese
è stata documentata la stretta e strutturale relazione esistente tra gli interessi privati del grande capitale,
del ceto
governante e delle mafie nazionali e internazionali. «La causa della legge è il regime», dice Leo
Straus. Se vogliamo trovare atteggiamenti sociali responsabili, se
vogliamo respirare l'aspro vento della libertà, dobbiamo cercare gli individui e i gruppi che divergono,
che
resistono, che si ribellano, refrattari al modello centrale della società urbana moderna. Il
regime è l'ordine
esistente, la distribuzione stabilita delle ricchezze e delle miserie, delle autorità e dei servilismi. «Il
regime è la
forma della vita comune, la maniera di vivere della società e nella società». Ricercando le ragioni
che fanno
funzionare il sistema gerarchico-statale potremo un giorno creare le condizioni per sostituirlo. A condizione che
lo si voglia sostituire. Oggi e non domani. Forse, come scrive Alex Comfort, «ciò che importa
attualmente non
è tanto la psicologia dei delinquenti al potere, quanto la nostra volontà di disobbedirgli e di
resistergli».
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