Rivista Anarchica Online
Incontri a Grenoble
di Colin Ward
È senza dubbio un'indicazione del cambiamento di pubblico per la
propaganda anarchica il fatto che il più recente
incontro internazionale anarchico sia stato organizzato dal dipartimento di Sociologia della università
Pierre
Mendès di Grenoble nel sud-est della Francia. Questa è una delle numerose università
che condividono lo stesso
campus fuori della città, servito da un'invidiabile rete tranviaria, a bassi costi e frequenti corse, i cui
veicoli,
comodi e silenziosi, dovrebbero suscitare l'invidia delle città inglesi. La conferenza su La
Culture Libertaire si è tenuta dal 21 al 23 marzo, con oltre trenta sessioni (alcune parallele)
che per tre giorni sono andate avanti dalle 9 del mattino alle 7 di sera. La partecipazione era libera e ogni sessione
ha visto la presenza di giovani e anziani, seduti nei corridoi del teatro della Scala della conferenza e spesso in una
sala adiacente dotata di schermo televisivo. A causa della mia scarsa conoscenza delle lingue ho saltato
numerosissime sessioni, ma a ciascuna hanno partecipato dalle 100 alle 150 persone, e il problema in genere
è
stato quello di trovare un posto a sedere vicino all'interprete che sussurrava tra gli amici provenienti da Olanda,
Svizzera o Francia. Al pianterreno si trovava una gran varietà di bancarelle dove era esposta e venduta
l'impressionante produzione
letteraria anarchica in francese, tedesco, italiano e spagnolo. Dal punto di vista della mole di opere, quello che
più di ogni altro si distingueva era probabilmente l'Atelier de Création Libertaire (BP 1186,
69202, Lyon, Cedex
01, Francia e la libreria associata Librarie La Gryffe, 5 Rue Sebastien Gryphe, 69007, Lyon, Francia). Comunque,
dall'Alternative Libertaire (BP 177, 75967, Parigi, Cedex 20, Francia) ho anche appreso che la storia del
movimento anarchico francese di Jean Maitron è stata di recente pubblicata in Libano in lingua
araba. Se consideriamo il fallimento del movimento anarchico internazionale nella sua opera di diffusione
in mondi al
di là dell'Europa e dell'America settentrionale o meridionale (se si escludono le ben note incursioni in
Cina,
Giappone, Corea, così come le parallele tendenze in India), questa è una notizia intrigante. Ma
perché mai
dev'essere la storia, invece che un'applicazione delle idee anarchiche all'attuale fermento in quello che, per noi,
è il Medio Oriente? Questa questione della rilevanza contemporanea è stato uno dei temi che
molti partecipanti hanno sollevato, ed
è stato espresso in vari modi che riflettevano le differenze tra il vecchio e il nuovo anarchismo. Senza
indugi lo
ha affrontato Rossella Di Leo, della cooperativa Editrice A che pubblica la rivista mensile A, il trimestrale
Volontà e la serie di libri della casa editrice Elèuthera, con autori che vanno da Kurt Vonnegut
a Marge Piercy. Da lei è venuta l'esortazione a evitare le recriminazioni tra i differenti concetti di
anarchismo e ad avere maggiore
consapevolezza delle attuali tendenze esterne al nostro mondo privato. «L'anarchismo non è soltanto una
variante
dell'archeologia industriale», ha affermato, e ha poi continuato parlando dei legami tra il pensiero anarchico e il
movimento Verde, il movimento delle donne, le attuali campagne di azione diretta condotte dai cittadini, e la
«teoria del caos» in geografia e nella matematica, così come delle teorie educative e biologiche sulle
piccole
cellule di autogoverno come fondamento del comportamento sociale. Di Leo è stata seguita da Anna
Niedzwiecka che diffondeva diversi giornali anarchici polacchi e ha sottolineato
che il fatto degno di nota era la giovane età dei partecipanti. L'unica occasione nella quale dal pubblico
si sono
levate voci contrariate è stato quando Mimmo, un ragazzo di Lione con una folta barba, ha illustrato un
paragone
tra le caratteristiche sociali del movimento anarchico nel 1895, come descritto all'epoca da Augustin Hamon in
Psychologie de l'anarchiste-socialiste, e nel 1955, come scoperto da una sua stessa ricerca. Le sue
intuizioni
erano molto simili a quelle scaturite da due studi a carattere universitario condotti trent'anni prima da Freedom,
ma Mimmo è stato accusato di sottrarre l'anarchismo ai lavoratori dell'industria per consegnarlo
all'intellighenzia
laureata. Ho pensato che non fosse del tutto giusto rimproverarlo per avere analizzato con attenzione alcuni
fatti sociali,
ma davvero non c'era il tempo sufficiente per esplorare l'idea che talvolta nel secolo successivo un nuovo
movimento anarchico potrebbe levarsi dal «sottoproletariato» creato dal collasso dell'occupazione industriale in
tutto il mondo occidentale. Ma sono stati sollevati anche altri punti che vale la pena ricordare. Per esempio,
John Clark, della Louisiana, ha
parlato dei legami tra il movimento ecologico e la dottrina del libero arbitrio, una questione esplorata con
precisione nel pamphlet della Freedom Press Deep Ecology and Anarchism. Tuttavia, quando
abbiamo preso
l'autobus per Chamrousse, dove si era organizzato un pranzo all'aperto, circondati dai campi ricoperti di neve,
invece delle questioni sollevate abbiamo finito per parlare della musica cajun. Gli entusiasmi personali hanno
avuto il sopravvento sull'ideologia. Eduardo Colombo, un veterano della Protesta di Buenos Aires, ma da
lungo residente a Parigi e studioso della
psicologia dell'anarchismo, ci ha sottoposto diversi, interessanti spunti di riflessione su un continuum
sovrapposto. Gli anarchici, a suo avviso, si possono rintracciare in diverse categorie di comportamento. Queste
includono: 1. I Millenariani, convinti che un giorno tutto cambierà, dopo una «rivoluzione
sociale». 2. I relativisti radicali del Post-Illuminismo, che attendono una serie di differenti e discontinui
cambiamenti radicali nella società. 3. Gli Eterni Ribelli, che diventano anarchici per ragioni collegate
alla loro psicologia personale. 4. Quelli il cui anarchismo è parte della situazione sociale complessiva.
Questo, sosteneva, era vero per esempio
tra i lavoratori sindacalizzati delle diverse categorie della Fora di Buenos Aires o della Cnt di Barcellona. Questo
è il tipo di anarchismo che realmente può provocare rivoluzioni, ma non necessaria- mente
sostenerle. Rudolf De Jong, di Amsterdam, ha preso come suo titolo «L'anarchismo dopo la caduta del muro
di Berlino»,
nel tentativo di sollevare la questione della rivoluzione reale e irreale. De Jong ha sottolineato l'esistenza di una
canzone abbastanza nota sulla presa della Bastiglia nella rivoluzione francese. Diceva: «La Bastiglia è
caduta/E
nulla è cambiato». Questo, suggeriva, era al tempo stesso vero e non vero. Nessuno in realtà
aveva opposto resistenza all'attacco alla
Bastiglia e nessuno aveva opposto resistenza all'attacco al Muro di Berlino. Tuttavia esistevano profonde
differenze tra i due movimenti di massa cui nessuno aveva opposto resistenza. Diversamente dalla rivoluzione
francese del 1789 o dalla rivoluzione spagnola del 1936, la caduta del muro nel 1989 non fu accompagnata da
nessuna idea nuova. Il suo obiettivo fu semplicemente quello di mettere fine al vecchio regime assurdamente
oppressivo, la cui
popolazione era costantemente in declino perché la gente metteva a repentaglio la propria vita
semplicemente
uscendo di casa. Ma la sola alternativa da offrire era quella di un'economia di mercato capitalistica - le voci di
dissenso da sinistra venivano imprigionate o esiliate o avevano dato il via alla lotta. A nessuno era stato permesso
di elaborare nuove idee su come organizzare la produzione e la distribuzione di beni e servizi, così il
povero è
diventato più povero e le vittime del vecchio regime sono state anche le vittime del nuovo. De Jong
ha paragonato la rivoluzione spagnola del 1936 che coinvolse al massimo circa dieci milioni di persone,
con gli eventi del 1989 che coinvolsero i trecento milioni di abitanti dell'Impero sovietico. Statistiche a parte, uno
dei suoi argomenti più importanti è stato che se qualche virus selettivo avesse eliminato domani
tutti gli anarchici
del mondo, l'anarchismo come idea sarebbe sopravvissuta ed emersa in ogni tipo di società.
Lo stesso tipo di questione è stata sollevata da numerosi oratori: Alain Pessin, nostro ospite, Ronald
Creagh di
Montpellier e Peter Schrembs dalla Svizzera, che ci ha ricordato che il tema del «Vecchio e Nuovo anarchismo»
era stato al centro di un incontro internazionale nel 1974, quando Luce Fabbri ci richiamò a un
«anarchismo sotto
voce», quando è verosimile si riesca a ottenere attenzione, ammonendoci che non era necessario porre
l'uno
contro l'altro. Mi pare di ricordare sentimenti simili nel 1984 all'incontro di Venezia, e io sono fermamente
convinto che gli aderenti al vecchio come al nuovo anarchismo, se davvero differiscono, dovrebbero pubblicizzare
i loro approcci, non fra di loro, ma nel mondo esterno avverso. In realtà, nel corso della mia presenza
a Grenoble sono venuto a conoscenza di circa una decina di esperimenti
di anarchismo applicato. Jean-Manuel Traimond, che è stato sufficientemente gentile da farmi da
interprete, è
l'autore di un libro di storie tratte dall'insediamento abusivo venticinquennale di Christiania a Copenaghen. Altri
hanno parlato della scuola chiamata Bonaventure, sita in un'isola a nord di Bordeaux, e della comunità
chiamata
Los Arenalejos alle porte di Malaga, nella Spagna meridionale. Ho imparato come Peter Schrembs ha organizzato
un'agenzia cooperativa di pulizie in Svizzera, scavalcando gli appaltatori, e ho sentito Claire Auzias parlare
dell'avventura di una scuola progressista a Nantes (il Liceo Autogestito) organizzata all'interno del sistema
ufficiale da Gabriel Cohn-Bendit. L'anarchismo s'insinua come una voce calma ma persistente. Questo
è il messaggio che ho riportato da Grenoble.
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