Rivista Anarchica Online
Situazionismo: Un'amara vittoria
di Gianfranco Marelli
È appena uscito, per le edizioni della Biblioteca Franco Serantini,
L'amara vittoria del situazionismo, di
Gianfranco Marelli. Vecchia e simpatica conoscenza della nostra rivista - infatti in passato ha pubblicato su «A»
numerosi articoli con il suo abituale nome de plume Jules Elisard - Marelli si è dedicato
in questi ultimi anni alla
ricerca e allo studio delle fonti originali e in buona parte inedite del «situazionismo»: un movimento a
metà strada
fra l'avanguardia artistica e l'organizzazione rivoluzionaria, proteso verso la ricerca di coniugare le due
realtà e
fonderle in un superamento in grado di assimilare la necessità di cambiare la vita con l'esigenza di
trasformare
il mondo. Ripercorrere la storia dell'Internationale Situationniste affrontando le questioni spinose,
sia pratiche
che teoriche, poste dai situazionisti nel tentativo di avviare un processo capace di trasformare qualcosa di
importante nella vita e non solo apportarvi delle inutili e nocive modifiche - ci ha spiegato l'autore
- è il punto
di osservazione dal quale sono partito con la speranza di fornire ai lettori gli strumenti indispensabili per
avvicinarsi ed appropriarsi di un argomento più volte trattato in maniera agiografica, per iniziati, ma
soprattutto
in modo acritico. Perché, ad esclusione di pochi saggi, le pubblicazioni attinenti al situazionismo o sono
semplici
antologie di testi dell'I.S., o concernono semplici variazioni sul tema compiute dai soliti pro-situazionisti, oppure
si tratta di sparuti articoli in cui traspare un'acredine preconcetta nei loro confronti da inficiare ogni sereno
giudizio. Ovviamente tutto ciò mi ha creato serie difficoltà nel ricostruire il percorso teorico e
pratico di
un'organizzazione rivoluzionaria considerata per alcuni la più significativa esperienza che il movimento
degli
anni '60 poté compiere, mentre per altri nient'altro che un'avanguardia di sparuti intellettuali che si erano
divertiti
nel parlare di rivoluzione, di critica della vita quotidiana, di società dello spettacolo. E,
secondo te, chi ha avuto ragione? Semplicemente nessuno dei due. Non tanto per uno spirito
salomonico, quanto perché l'Internationale
Situationniste riuscì a rappresentare, per un breve arco di tempo durato quindici anni, sia le
più profonde
aspirazioni di un'avanguardia artistica davvero intenzionata a rompere con l'ambiente dei mercanti d'arte ed a
prospettare la realizzazione di uno stile di vita che fosse una continua creazione di situazioni
ambientali/comportamentali in grado di far indietreggiare l'infelicità di questa società
consumistica; sia le tensioni
di un movimento di radicale contestazione del sistema economico-capitalista che iniziava ad esprimersi con le
forme di un linguaggio per nulla ingessato dai desueti slogan di partito con tanto di impegno militante volto a
conquistare la piazza operaia al suono di Bandiera rossa. Non erano però
gli unici a criticare la «forma-partito» e l'alienazione prodotta da una militanza sacrificata
ad una politica istituzionale protesa alla conquista dello stato
Certo, il movimento anarchico
nel suo insieme si è sempre contraddistinto per una pratica ed una teoria scevra
da qualsiasi ideologia rivoluzionaria mirante alla presa dello stato per mezzo di un'avanguardia politica in grado
di guidare le masse alla conquista del potere o attraverso le consultazioni elettorali (riformismo), oppure attraverso
la lotta armata (leninismo). L'azione degli anarchici non ha mai frequentato il retrobottega della politica, ma si
è posta al centro di una proposta autogestionaria, federalista e antistatalista della società da attuare
mediante
l'azione diretta, il rifiuto della delega, l'autorganizzazione dei lavoratori, degli sfruttati, degli emarginati.
L'internationale Situationniste, almeno sul piano teorico, si avvicina a questa concezione di «rivoluzione sociale»,
e bisogna sottolineare che non fu nemmeno l'unica rivista dell'estrema sinistra francese che all'inizio degli anni
'60 intraprese un lento ma proficuo cammino di revisione del pensiero marxista, soprattutto riguardo alle
concezioni di «avanguardia rivoluzionaria», «stato socialista», «economia di stato», al punto da ridiscutere il
ruolo
avuto dall'Unione Sovietica nel processo di emancipazione dei popoli, nonchè la stessa validità
di quello che era
stato definito il «comunismo in un solo paese». La differenza però consistette nel modo e soprattutto nel
linguaggio con il quale i situazionisti criticavano le forme alienate ed alienanti dell'agire
politico. Che cosa intendi dire? Il loro obiettivo di «reinventare la rivoluzione
» non solo rispondeva all'esigenza di portare sul banco degli
imputati il progetto rivoluzionario per accusarlo di aver fallito e di aver prodotto una nuova alienazione, ma
soddisfava anche il bisogno di ribadire con forza che la società capitalista non per questo era diventata
più
accettabile: semplicemente era necessario individuare nello scandaloso ritardo fra le possibili
costruzioni di vita
e la sua miseria presente i veri motivi per far «incollerire il popolo». Attraverso l'analisi della società
contemporanea l'Internationale Situationniste non seppe soltanto operare una critica reale delle
condizioni di
alienazioni prodotte dallo sviluppo dell'economia capitalista sull'intero arco della vita quotidiana degli individui
(precisando in tal modo la definizione di «proletario» come colui che non ha più il controllo, il possesso,
della
propria esistenza), ma sviluppò un attacco contro tutte le forme di rappresentazione politica del
proletariato,
perché oltre che essere estranee, separate dal vissuto quotidiano del proletariato, risultano al contrario le
legittime
rappresentanti di un sistema economico basato sull'unità della miseria che si nasconde dietro
le sue opposizioni
spettacolari. E qui entra in ballo il concetto di «società dello spettacolo». In che senso
i situazionisti lo interpretarono? Guy Debord nel cercare di esplicare il concetto di -
società dello spettacolo - distinse tra spettacolo concentrato
(proprio del capitalismo burocratico sovietico, sebbene importabile nelle economie miste più
arretrate, o in certi
momenti di crisi del capitalismo avanzato), e spettacolo diffuso (tipico delle società
dell'abbondanza delle merci).
Il richiamo al sistema economico e al diverso sviluppo produttivo raggiunto, la dice lunga sul fatto che né
Debord,
né alcun altro aderente all'Internationale Situationniste abbiano mai voluto individuare la
«società dello
spettacolo» come il prodotto e il produttore del mondo dell'informazione (i massmedia), ma semmai come
l'informazione di un mondo in cui lo spettacolo - per dirla con le parole di Debord - «è il
capitale a un tal grado
di accumulazione da divenire immagine». I situazionisti non si occuparono mai dei mass-media come oggi giorno
sembrano occuparsene i critici dello spettacolo; piuttosto si interessarono dello «spettacolo» indecoroso della
cultura, della politica, dell'informazione al fine di denunciare un sistema economico-produttivo incapace di
sviluppare le potenzialità tecnologiche ed artistiche in grado di liberare la vita quotidiana dalle proprie
miserie.
In primis quello di lavorare per le macchine, mentre dovrebbero essere le macchine a lavorare per sviluppare ed
arricchire la creatività umana. Non è questa una visione
iper-futurista? Certamente, ma è stata l'unica in grado di coniugare in termini
rivoluzionari la necessità di dare risposte
complessive - non parcellari e frazionate - al bisogno di «vivere senza tempi morti e gioire senza ostacoli». O,
perlomeno, i situazionisti hanno creduto di apportare quelle condizioni indispensabili affinché il progetto
di
trasformare radicalmente la società passasse attraverso la realizzazione di una vita quotidiana libera da
impedimenti imposti da un sistema di dominio incapace di governare il cambiamento in atto. Purtroppo questa
sfida sul cambiamento è stata vinta dai loro nemici, che hanno saputo riutilizzare le idee
più geniali
dell'Internationale Situationniste per migliorare - apportandovi quella critica dello spettacolo in
grado di rendere
più interessante lo spettacolo della critica - il sistema di dominio. Cosicché invece di adattare il
sistema alla
trasformazione del mondo, vi è stato l'adattamento degli uomini ad un sistema di
trasformazione del mondo. Questa «débacle» dell'I.S. può forse essere
considerata l'origine dei non sempre facili rapporti tra
situazionisti e anarchici? Sul piano della critica teorica gli anarchici hanno in più
occasioni sottolineato quanto il limite del pensiero
situazionista fosse annidiato in un comportamento elitario, da primi della classe, che si esprimeva in modo
autoritario e gerarchico nella loro stessa struttura organizzativa; infatti sebbene i situazionisti teorizzassero la
necessità di «avere rapporti dialettici» tra di loro e nei confronti del movimento rivoluzionario, non
riuscirono
mai a far sì che i loro rapporti non fossero improntati da un'atteggiamento di superiorità, che in
molti casi rasentò
il disprezzo e la calunnia, nei confronti di tutte le altre esperienze rivoluzionarie, considerate il più delle
volte
facili prede da sottomettere e utilizzare ai loro fini. Così quando, prima in Francia e successivamente in
Italia, i
situazionisti si trovarono costretti a confrontarsi politicamente con le strutture organizzate del movimento
anarchico, applicarono il sistema dell'infiltrazione per minare alla base qualsiasi reale e proficuo confronto fra
le due teorie, volendo assulutamente che il metodo organizzativo degli anarchici e la loro pratica rivoluzionaria
fossero considerati superati, ma soprattutto inadatti a cogliere gli elementi innovativi presenti nella contestazione
giovanile. Nei fatti ciò nascondeva l'obiettivo di cancellare qualsiasi organizzazione rivoluzionaria che
potesse
mettere in discussione una pratica antiautoritaria e antigerarchica che in effetti non era affatto, bensì
mostrava
aperte e insanabili contraddizioni dal momento che l'Internazionale Situationniste pur predicando
di non voler
assumere la guida del movimento rivoluzionario e svolgere il ruolo di avanguardia, in realtà divenne,
come ho
appunto scritto nel saggio, «un organismo che agì sulle avanguardie rivoluzionarie (cercando di
condizionarle e
cooptarle) più che intervenire direttamente sul sociale». Tale atteggiamento finì non solo per
inasprire i rapporti
con il movimento anarchico e con tutte le altre forze rivoluzionarie non disposte a piegarsi al credo situazionista,
ma si tramutò nell'unica pratica che i situazionisti, ma soprattutto i posituazionisti, cercarono di attuare
quando
ormai le loro idee si erano mostrate così «attuali» da essere utilizzate, pro domo sua, dalla stessa
società dello
spettacolo». Dunque, «un'amara vittoria»
Ma allora perché riproporre una lettura del
«situazionismo», seppur
critica? Perché forse ripercorrere le analisi dei situazionisti ci aiuta a comprendere quali
sono stati gli errori che hanno
permesso il recupero delle idee, delle iniziative, delle realizzazioni più importanti compiute
dal movimento
rivoluzionario nel suo insieme. Perché, sebbene tanti sono stati gli errori commessi (e fra questi, quello
più
macroscopico è stato di non aver saputo prevedere che la società capitalista si sarebbe saputa
difendere utilizzando
l'immaginazione al potere), rimane il fatto che le miserie della vita quotidiana non sono diventate certo
più
accettabili. Anzi....
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