Rivista Anarchica Online
Segnali di fumo a cura di Carlo E. Menga
Nobili animali
Spesso ci è capitato di alludere o di evidenziare, da questa rubrica, i meccanismi dell'implicito,
cioè di quelle
valorizzazioni o guide al pensare nascoste, tanto più efficaci in quanto più indirettamente asserite
tramite il
semplice algoritmo di tacerle, lasciando che altre strutture comunicative diverse dal linguaggio ne fungano da
veicolo, col risultato che proprio i messaggi più importanti - o comunque quelli maggiormente connotati
da
ideologie - appaiano come dati per scontati. A volte sono possibili anche diverse alternative di implicitazione,
e il fatto di selezionarne nel messaggio una piuttosto che un'altra dà origine al fenomeno per così
dire
dell'implicito «di seconda generazione», fenomeno che nasce dall'inconsapevole confronto della scelta implicita
presente con le altre scelte implicite possibili ma assenti. Quasi sempre, infatti, dei concetti contrari si richiamano
vicendevolmente in un'alternanza che ricorda le figure reversibili degli esperimenti psicologici sulla percezione,
come ad esempio quella di Rubin. Ne abbiamo una dimostrazione esemplare nell'ultimo manifesto murale
della pubblicità Benetton, una semplice
fotografia su sfondo bianco nella quale, a elucidare in modo nuovo il vecchio concetto «United Colors of
Benetton» (che già è per fatti propri una bellamente ideologica allusione metaforica agli Stati
Uniti d'America),
appaiono due cavalli appunto di colori diversi, diciamo uno bianco e uno nero, a costo di correre il rischio di
incappare nel rimprovero dell'amico Accame per la mia scarsissima dimestichezza col campo semantico dei
termini come «baio», «pezzato», ecc. A rafforzare il concetto di «unione», già effetto della mera
giustapposizione dei colori, interviene la postura in
cui sono colti i due animali, che è quella dell'accoppiamento. Col che l'unione diventa «unione sessuale».
E a
questo punto abbiamo capito tutti che i colori Benetton sono davvero molto, molto uniti, nel senso che stanno
bene, molto bene insieme. Meglio di così! Quello che invece può sfuggire è tutta una
serie di impliciti confronti effettuati per default, non ultimo il fatto che
il cavallo montato (dunque - si spera - la femmina) sia quello bianco, mentre quello montante (dunque il maschio)
sia il nero. Mentre potrebbe essere tranquillamente il contrario, anche se con conseguenze assai più
tranquille,
nella supposizione ideologica proiettata sui fruitori da parte degli ideatori del messaggio. Così come la
scelta dei
cavalli piuttosto che di qualunque altro animale. O addirittura la scelta di due animali piuttosto che di due esseri
umani. Scegliere dei cavalli, pur non rappresentando un meccanismo chiave, è abbastanza cruciale,
poiché
consente di indirizzare il pensiero inconscio sugli altri passaggi confrontativi obbligati e sulle volute
identificazioni. Non appartiene infatti il cavallo alla categoria dei «nobili animali», come il cane e il leone?
Però
il leone non è un animale domestico (dunque civile) e la sua specie ha colore uniforme. Il cane, pur
possedendo
il requisito della dimestichezza assieme a quello del multicromatismo, potrebbe non avere per qualcuno
quell'eleganza che invece tutti riconoscono al cavallo, e probabilmente non possiede nelle stesse circostanze le
stesse apparenze di slancio spirituale e quasi mistico (a causa forse della posizione reciproca degli occhi
più
ravvicinata, che fa apparire il suo sguardo più umano e di conseguenza - scontata ideologia - più
intelligente di
quello del cavallo). A questo punto risulta già chiaro l'intento della sostituzione eufemistica del
cavallo all'uomo, per non parlare
degli elementi «colore» e «sesso», le cui combinazioni forniscono quasi una tabella mendeliana relativamente
ai
possibili confronti di queste caratteristiche prese due alla volta. Infatti scoperte le uguaglianze «cavallo-uomo»
e «cavalla-donna», appaiono, ora sì, scontate le conseguenti implicazioni di «uomo nero-donna bianca»
e del suo
iperimplicito contrario «uomo bianco-donna nera». Per non parlare della postura more ferarum che, se per i
cavalli
è ovvia, evoca, nel mix con «uomo nero», collegamenti che sarebbero stati molto meno bene accetti
nell'utopica
America degli Stati Uniti. Qui siamo in Europa, anzi, in Italia, dove le varietà gamiche multietniche non
ci
sconvolgono più di tanto, e comunque infinitamente meno che ai sudditi di Bill Clinton. In
conclusione, il manifesto Benetton si presenta al pubblico come una finta trasgressione, concepita quindi non
per indignare il borghese, bensì, in fondo, per titillare il capriccioso istinto voyeuristico di tutti. Il che non
c'entra
niente con la qualità del tessuto. Ma chi ha mai detto che la pubblicità abbia a che vedere con la
qualità?
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