Rivista Anarchica Online
L'ideologia missionaria
di Rodolfo Calpini
Il ruolo della Chiesa Cattolica e delle missioni nella distruzione dell'identità culturale di tanti popoli
"indigeni",
secondo lo storico Rodolfo Calpini
E' importante riflettere sulle dinamiche missionarie della Chiesa cattolica in questo
momento storico nel quale
appare sempre più evidente una sua riorganizzazione aggressiva in vista degli orizzonti che si aprono sul
nascere
del terzo millennio in riferimento ai problemi di inserimento nei processi di globalizzazione in atto e in quelli
della manipolazione delle coscienze. Non vi è certo dubbio che fin dagli inizi la vita pratica dei fedeli
e la teologia hanno costruito la Chiesa cattolica
come strutturalmente missionaria. La continuità dell'ispirazione missionaria percorre venti secoli di storia,
dai
numerosi passi dei Vangeli tra i quali citiamo quello di Matteo "Andate dunque e ammaestrate tutte le Nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò
che
vi è comandato. Ecco, io, sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" ( Matteo 28, 19-20 ), fino
ai più
recenti pronunciamenti del Concilio Ecumenico Vaticano : "La Chiesa pellegrinante per sua natura è
missionaria,
in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di
Dio Padre" (Ad gentes). Nella teologia più recente e nelle encicliche pontificie viene sempre meglio
evidenziata la radice più profonda
dell'idea missionaria cioè l'incarnazione di Cristo da cui discende l'incarnazione culturale della Chiesa
nell'Occidente; il processo di evangelizzazione ora chiamato inculturazione evangelica, trova perciò il
suo
fondamento ontologico nella stessa incarnazione di Dio nella natura umana. (1) D'altra parte la costruzione
mitica di un dio che personalmente interviene nella storia umana con un suo
messaggio salvifico universale è il presupposto per fondare l'azione missionaria come un incontrollabile
strumento di potere. Da quando il cristianesimo poco dopo l'anno 300 sotto l'Imperatore Costantino divenne
religione di Stato, andò
formandosi gradatamente nei fedeli la convinzione di possedere una verità assoluta e astorica che doveva
essere
imposta a tutto il mondo. In tal modo sulla scia dell'imperialismo romano missione religiosa e missione di
civiltà s'intrecciarono
profondamente mescolando nel corso dei secoli espansione commerciale e militare, salvezza delle anime, guerre
di sterminio all'interno e all'esterno della cristianità ma, in ogni caso, specialmente nei popoli indigeni
e nelle
minoranze etniche, provocando la cancellaizone delle religioni tradizionali e la persecuzione di usi, costumi e
visioni del mondo che si pensavano inconciliabili con la fede e la morale cristiana (2). A seconda della
sensibilità delle varie epoche si passò dalla figura del missionario-battezzatore, a quella del
missionario-inquisitore del 5-600 fino a quella del missionario-benefattore dei nostri giorni così come
l'apologetica cattolica ce lo presenta. Ciò che nel corso dei secoli rimane costante nella "forma"
missionaria è l'esportazione della "Verità" unica (3)
alla quale tutte le culture debbono piegarsi affinché tutto il mondo divenga "un solo ovile sotto un solo
pastore".
Questo che era l'ideale politico-religioso medioevale e all'epoca dell'impero mondiale di Carlo V sembra ora,
nell'ottica dell'universalismo cristiano, ridiventare possibile attraverso i processi di globalizzazione all'inizio del
terzo millennio. Quali sono stati gli strumenti e le conseguenze di questo paradossale imperialismo
culturale? Da quando la croce non si è più potuta identificare direttamente con il potere
militare è risultato chiaro che una
religione europea poteva innestarsi e crescere solo su una società costretta ad europeizzarsi: in pratica
l'evangelizzazione non poteva essere disgiunta dalla colonizzazione. Specie nelle società indigene
dell'America,
dell'Africa, dell'Australia con una circolarità inarrestabile, la disintegrazione sociale causata dai vari tipi
di
colonialismo rendeva possibile l'evangelizzazione che a sua volta indeboliva l'identità culturale del gruppo
fino
all'etnocidio più completo. La catechesi missionaria moderna nell'esaltazione spregiudicata di agire
per il bene dei popoli, così traccia un
quadro perfetto di come si giunge all'etnocidio mediante la pratica missionaria che nulla potrebbe senza la
coercizione delle tecnologie armate del colonialismo occidentale: "Avendo presente l'impossibilità
per gli individui di una società tradizionale ad abbandonare la propria religione
ancestrale e convertirsi ad una religione straniera quale quella cristiana, riconosciamo un duplice contributo del
colonialismo alla causa missionaria della Chiesa. Infatti, sottomettendo la società indigena
all'autorità del governo
coloniale, il colonialismo ne scioglieva ad un tempo il meccanismo di controllo sociale liberando, per così
dire,
gli individui membri dalla pressione dei gruppi e dando loro un certo spazio libero per decisioni personali. Inoltre
il colonialismo introduceva un nuovo metodo di produzione e un nuovo sistema economico. Con ciò esso
forniva
agli indigeni dei paesi colonizzati un'alternativa alla loro vita tradizionale assicurando così ai convertiti
al
cristianesimo la sussistenza e la sopravvivenza al di fuori dei loro gruppi naturali". (4) Non bisogna inoltre
dimenticare che quegli stessi missionari, qui presentati cinicamente da una parte come
portatori di un etnocidio chiamato "causa missionaria della Chiesa", dall'altra come puri profittatori dall'esterno
del colonialismo europeo, appartenevano a quegli stessi Ordini religiosi che nei loro istituti scolastici nelle loro
parrocchie avevano educato i colonizzatori. Nulla di strano perciò, che come portatori della "vera"
civiltà e della
"vera" religione, si ritrovassero complici nell'opera di distruzione. D'altra parte da quale cultura religiosa
venivano educati i "conquistadores" spagnoli? O in quale cultura religiosa
erano stati allevati gli obbedienti ufficiali sterminatori di ebrei del terzo Reich? È indubbio che tra
le cause dei due più estesi genocidi della modernità, quello degli indiani d'America e quello
degli ebrei, la cultura cattolica, con l'esasperato fanatismo di una verità rivelata, riveste un ruolo
particolarmente
importante. È però nel genocidio culturale o etnocidio, cioè nella sistematica e
intenzionale distruzione dell'identità culturale
di un gruppo etnico, che la responsabilità della Chiesa cattolica è diretta ed inequivocabile. Solo
dalla
Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio approvata nella seduta plenaria del 9
Dicembre 1948 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, comincia a nascere nell'Occidente una
sensibilità
giuridica sul problema dell'etnocidio. Nonostante che nei lavori preparatori di questa Convenzione fosse
emersa chiara l'esigenza di una più ampia
definizione del concetto di genocidio che contenesse anche quella di genocidio culturale per poter giuridicamente
intervenire sulle condizioni che precedono la distruzione fisica dei gruppi, prevalse alla fine, per non porre sotto
accusa l'azione di molti Stati nei confronti di gruppi etnici minoritari e soprattutto l'azione missionaria della
Chiesa cristiana sui popoli indigeni, la tesi riduzionistica del concetto di genocidio che lo limitava all'aspetto
biologico cioè alla distruzione fisica totale o parziale di un gruppo etnico, razziale o religioso. (5) Nei
successivi anni '70 si creò, per un mutato clima culturale e politico nei confronti dei processi di
modernizzazione imposti ai paesi del terzo mondo e per le denunce di etnocidio e genocidio di pochi ma
coraggiosi etnologi tra quali ricordiamo Robert Jaulin e Pierre Clastres, la convinzione che lo Stato, le missioni
religiose e la stessa antropologia asservita agli interessi economici occidentali, fossero le cause principali della
distruzione delle culture indigene. Questo indirizzo critico fu chiaramente riassunto dalla "Dichiarazione di
Barbados" del 1971. (6) Crebbe così negli anni 80 e 90 la convinzione che le differenze culturali e
religiose fossero un patrimonio
universale dell'umanità da preservare come condizione di dialogo e arricchimento reciproco per tutti i
popoli in
special modo contro le nuove forme di colonialismo culturale occidentale e i fenomeni assimilativi della
globalizzazione. Ultimamente in un Seminario Internazionale a Napoli nel 1993 dal titolo "Il concetto di
genocidio oggi e nella
Convenzione del 9 Dicembre 1948" per sanare l'insufficiente formalizzazione giuridica del concetto di genocidio
sono stati proposti due progetti di Protocolli aggiuntivi alla Convenzione del 1948. Nel secondo progetto
viene costituito come crimine contro l'umanità la distruzione dell'identità culturale ( lingua,
religione, produzione artistica e letteraria, luoghi di culto, scuole, musei, biblioteche, ecc ) di un gruppo nazionale,
etnico, razziale e religioso e la sua assimilazione alla cultura dominante. (7) Ecco perciò che all'inizio
del terzo millennio dopo 2000 anni durante i quali nel processo delle conversioni la
coercizione ha sempre prevalso sulla persuasione, 8) per la prima volta si configurerebbe la possibilità
giuridica,
al livello di diritto internazionale, di cogliere in flagrante come azione criminale l'azione religiosa missionaria
proprio quella che viene fatta passare come la più disinteressata tra le azioni capaci di distruggere
l'identità
culturale di un popolo. Inoltre se il crimine di etnocidio fosse a pieno titolo incluso in quello di genocidio,
come era stato previsto nei
lavori preparatori per la Convenzione del 1948, diverrebbe un crimine contro l'umanità e come tale
imprescrittibile come contemplato dalla Convenzione del 26 Novembre 1968 sull'imprescrittibilità dei
crimini
di guerra e dei crimini contro l'umanità. La configurazione giuridica del crimine di genocidio, intesa
come la distruzione deliberata dell'identità culturale
di un intero gruppo umano, non dovrebbe trovare grandi difficoltà di carattere tecnico. Come previsto
nella Convenzione del 1948 per provare il crimine di genocidio, dopo aver verificato sia l'esistenza
degli atti di distruzione enumerati nell'art. 2 , sia che questi atti riguardano un gruppo nazionale, etnico, razziale
o religioso, è sempre necessario stabilire l'esistenza di un elemento psicologico che accerti
l'intenzionalità degli
atti di distruzione. Nel caso del genocidio degli ebrei la volontà di annientamento fu dichiarata
esplicitamente
e attestata dai documenti attribuiti ai dirigenti del III Reich. Nei genocidi che seguirono quello degli ebrei
(America latina, ex Jugoslavia, popolazione curda, Ruanda ecc.) l'esistenza dell'elemento intenzionale è
stata
sempre la prova più difficile da raggiungersi poiché nessun governo per quanto folle avrebbe
dichiarato
spontaneamente i propri disegni criminali. Nel caso dell'etnocidio la volontà esplicita, da parte delle
gerarchie ufficiali della Chiesa, di distruggere la
religione e la cultura delle popolazioni indigene, non sono è documentabile storicamente dalla sparizione
di
centinaia di universi culturali-religiosi chiamati "idolatrici" e "primitivi" ma è altresì attestata da
tanti e tali
documenti ufficiali da creare solo l'imbarazzo della scelta; basterà solo nel leggere questi documenti porsi
dalla
parte degli evangelizzandi e tradurre il termine evangelizzazione con quello di etnocidio. I risultati di questi
crimini, con il fanatismo tipico di chi pensa di essere depositario dell'unica "Verità" , sono poi
ampiamente
documentati dagli stessi missionari nei numerosi musei etnologici-missionari sparsi in Europa, primo tra tutti il
pontificio Museo missionario-etnologico facente parte dei Musei vaticani. Gli aspetti storici, giuridici, sociali
di queste riflessioni, in special modo per quello che riguarda il rapporto tra
il concetto di "missione" e quello di "scuola cattolica" troveranno una più ampia trattazione durante il
Congresso
"Scuola di Chiesa, scuola di Stato, scuola di libertà" basato sull'opera di Francisco Ferrer che si
terrà
prossimamente a Roma. Colgo l'occasione per ringraziare Carlo Ghirardato non solo per l'opera appassionata
di organizzatore ma
soprattutto per l'entusiasmo con il quale accompagna le sue proposte e le sue riflessioni.
(1) Un significato prevalente nella letteratura missionaria del termine "inculturazione" è il seguente:
"L'intima
trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del
cristianesimo nelle varie culture umane" ( Sinodo 1985, Relazione finale II D4 in Osservatore
Romano, 10
Dicembre 1985, p. 7 ). Vedi su questo tema : Arij A. Roest Crollis, S. J. Teologia
dell'inculturazione, Pontificia
Università Gregoriana, Roma 1994. (...)
(2) Vedi: Karlheinz Deschner "Kriminalgeschichte des Christentums: Fruhmittelalter", Rowohlt Verlag
GmbH,
Reinbek bei Hamburg,1994; traduzione in spagnolo: "Historia criminal del Cristianismo" Ediciones Martinez
Roca, S. A: , Barcelona, 1994.
(3) Vedi: "Cattolicesimo della Chiesa cattolica" Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1992
p. 235.
(4) Vedi : Joseph Shih S.J. "La catechesi missionaria" Pontificia Università Gregoriana, Roma 1993
pp. 67-68
(5) Nell'ambito dei lavori preparatori della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la repressione del
crimine
di genocidio, durante i quali il prof. Raphael Lemkin fornisce una definizione del genocidio che include quello
che oggi chiamiamo etnocidio, vengono evidenziati alcuni aspetti formali come l'imprecisione della nozione di
etnocidio e il probabile rifiuto di ratificare la Convenzione da parte di molti Stati, ma in fine il sospetto di una
connessione tra azione civilizzatrice occidentale e genocidio prende la forma inquietante del ritornare, salvezza
delle anime, guerre di sterminio all'interno e all'esterno della cristianità ma, in ogni caso, specialmente
nei popoli
indigeni e nelle minoranze etniche, provocando la cancellazione delle religioni tradizionali e la persecuzione di
usi, costumi e visioni del mondo che si pensavano inconciliabili con la fede e la morale cristiana. A seconda
della sensibilità delle varie epoche si passò dalla figura del missionario- battezzatore, a quella
del
missionario-inquisitore del 5-600 fino a quella del missionario-benefattore dei nostri giorni così come
l'apologetica cattolica ce lo presenta.
(6) Questa "Dichiarazione" si trova tradotta in : R. Calpini Op. cit. pp. 186-191
(7) Vedi: "genocidi/ genocidio" Associazione Nuova Cultura, Badia Polesine (RO) , 1995. I materiali
pubblicati in questo libro sono stati in gran parte presentati nel Seminario internazionale svoltosi a
Napoli, 10-12 Dicembre 1993, "Il concetto di genocidio oggi e nella Convenzione del 9 Dicembre 1948"
organizzato dalla Fondazione Internazionale Lelio Basso, l'Istituto Italiano per gli studi Filosofici e l'Istituto
Universitario Orientale di Napoli, con il contributo della Commissione dell'Unione Europea.
(8) A questo proposito basterà riflettere come il battesimo, prima "professione di fede", venga
imposto alla
nascita nella totale incapacità d'intendere e volere del soggetto.
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