Rivista Anarchica Online
Una scelta che non ci riguarda
di Carlo Oliva
Nei miei anni formativi ho imparato che le classi oppresse non hanno nazione e anche se questa amara
verità oggi
è assolutamente fuori moda...
Vi confesserò che, anche se un certo numero di amici miei, compreso
qualcuno del cui parere faccio abbastanza
conto, ha espresso un certo qual timore in merito, personalmente non sono riuscito a preoccuparmi troppo del
sedicente "referendum per l'indipendenza della Padania" che quei burloni della Lega Nord hanno organizzato e
svolto per la giornata dello scorso 25 maggio. Concordo pienamente con quanti hanno osservato che, più
che di
un referendum, si trattava di una bassa manovra di propaganda, priva di qualsiasi valore di legittimazione,
destituita della minima garanzia di serietà e lontanissima da ogni possibile fair play, ma, che volete, ormai
i vari
Pannella hanno trascinato l'istituto del referendum così in basso che peggio davvero non si potrebbe. E
poi non
sono davvero riuscito a considerare così disdicevole un'iniziativa in cui, in vista della realizzazione di
un
obiettivo in sé, tutto sommato, lecito, si chiedeva alla gente di dichiarare cosa ne pensasse. In un paese
in cui
un'apposita commissione parlamentare è riuscita a licenziare una bozza di riforma federale dello stato
senza che
l'aggettivo "federale" o il sostantivo "federazione" vi comparissero una sola volta, mi sembra che qualche chiara
dichiarazione di intenti non possa fare che bene. E visto che ci siamo, vi dirò che non mi è
dispiaciuto affatto lo
slogan del manifesto che gli amici di Bossi, prima del 25 maggio, hanno affisso per ogni dove. Mi
sbaglierò, ma
in quel "Padania pacificamente" mi è sembrato di leggere una certa prevalenza dell'avverbio sul sostantivo
e che
nella lotta politica prevalgano i comportamenti pacifici è un fatto di cui, nel paese di piazza Fontana e
delle stragi
di stato, non possiamo che rallegrarci tutti. É vero che taluni fautori della Padania (o di sue ulteriori
ripartizioni)
hanno dimostrato di non disdegnare delle iniziative, come dire, più bellicose, occupando a mano armata
storici
campanili ed esibendo autoblindo più o meno in assetto, ma appunto per questo mi è parso
importante che la
principale organizzazione secessionista affermasse pubblicamente la volontà di non seguirli su quella
strada.
Della tragicomica vicenda di piazza S. Marco a me è sembrata inquietante soprattutto la sua coincidenza
con la
nomina a procuratore della repubblica di Padova del dottor Pietro Calogero, lo ricordate, no?, quello che il 7 aprile
del 1979, quando era sostituto presso lo stesso ufficio, aveva fatto arrestare una quantità di persone (non
soltanto
Toni Negri), sotto l'accusa di aver fiancheggiato le Brigate Rosse, imputazione da cui vennero tutti assolti, anche
se poi li condannarono lo stesso per tutt'altri asseriti reati, il che non toglie che sarebbe bene che chi ha sbattuto
in galera un certo numero di cittadini in base a un'accusa che poi non ha retto sia, se possibile, adibito a funzioni
in cui meno potrebbe nuocere. E se per caso vi chiedete cosa diavolo c'entri il dottor Calogero con il commando
leghista di piazza S. Marco andate a leggere il trafiletto sul Corriere della sera del 15 maggio, che comincia con
la frase "Un procuratore di ferro per stroncare sul nascere il fantaterrorismo indipendentista". Ciò
premesso, posso assicurarvi, ove la cosa vi interessasse, che io alla Padania non credo. E non solo perché
uno
stato vale l'altro, che non è sempre vero. Il fatto è che la Padania è un assurdo
storico-geografico, elaborato da
menti evidentemente digiune tanto di storia quanto di geografia, ossessionate dal desiderio di esorcizzare certi
problemi reali addebitandone in toto la responsabilità a qualcun altro. Quanti ambiscono ad esserne
cittadini, in
fondo, non hanno più probabilità di realizzare il proprio obiettivo di quante ne abbiano di
stabilirsi nella contrada
che si chiama del Bengodi, quella in cui si legano le vigne con le salsiccie e ci son genti che niuna cosa fanno che
far maccheroni e raviuoli in brodo di capponi e poi gli gittano giù e chi più ne piglia più
ne ha, ma purtroppo è
lontano miglia millanta che tutta la notte canta. Ma c'è una precisazione che credo valga la pena di
fare. Il fatto che io non creda nella Padania non (ripeto, non)
mi obbliga a condividere le prediche baltiche di Oscar Luigi Scalfaro o i suoi reiterati inviti a ricorrere, contro
la Lega e la sua predicazione, ai tribunali e alle forze dell'ordine. Anche se a chi comanda fa comodo
presentarcele così, queste scelte non sono di quelle che tecnicamente si definiscono "a somma zero", nel
senso
che la scelta dell'ipotesi "A" esclude per definizione l'ipotesi "B" e viceversa, senza lasciar spazio ad altre
possibilità. Se qualcuno mi chiede, come si faceva una volta con i referendum seri, prima che i vari
Pannella li
elaborassero a proprio uso e consumo, se voglio che la tal legge (sul divorzio, sull'aborto, sulla caccia o che altro)
resti in vigore o vada abrogata, non posso rispondere altro che sì o che no (al massimo posso eccepire
che il problema non mi interessa per niente, o che non voto per ragioni di principio,
ma allora è tutto un altro discorso). Ma se uno mi chiede se sono per l'Italia o per la Padania, non sono
obbligato
a scegliere più di quanto chi non è tifoso del Milan sia costretto a tenere per l'Inter. Posso
benissimo dire che non
sono per nessuno dei due. E per quanto mi sia antipatico Bossi (e a chi non lo sarebbe?), non voglio che questa
antipatia mi costringa a improvvisarmi crociato di un'unità nazionale che, visto che siamo in argomento,
è stata
sancita 136 anni fa con una serie di referendum (allora si chiamavano"plebisciti") ancora meno seri di quello che
la Lega Nord ha celebrato il 25 maggio. Che volete che vi dica. L'ipotesi padana sarà anche il
massimo dell'egoismo antisolidale, ma questa nostra
repubblica, ancorché in procinto di quasifederalizzarsi, non mi sembra offrire prospettive migliori. Nei
miei anni
formativi ho imparato che le classi oppresse non hanno nazione e anche se questa amara verità oggi
è
assolutamente fuori moda, spero mi riconoscerete il diritto di abbracciarla in nome di quell'internazionalismo cui
spero che un giorno o l'altro l'umanità intera avrà la ragionevolezza di aderire. E questi, in fondo,
possono essere,
qual più qual meno, problemi miei. Ma non manca di interesse generale la constatazione che non
è Bossi,
vivaddio, che ha promulgato le vergognose leggi sull'immigrazione che affliggono il nostro paese e non
sarà lui,
tra breve, a deportare allegramente oltre il canale di Otranto le tot migliaia di albanesi venuti a cercare rifugio e
speranza fra di noi. Il ché non significa, naturalmente, che non sia colpevole anche lui. La
volontà stessa di
proporci una scelta come quella che ci propone, di farci schierare per Mantova contro Roma o viceversa, è
il
contributo migliore che possa dare alla causa di quanti, in nome dell'Italia, della Padania, dell'Europa di
Maastricht, dell'Occidente o di qualsiasi altra patria, non si stancano di predicare la necessità della
subordinazione
altrui.
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