Rivista Anarchica Online
Manifesto dell'antimobilista
di Enrico Bonfatti
Solo sviluppando una mentalità ostile alle automobili è possibile arrivare a costruire un mondo
migliore. E' questa
la tesi sostenuta da un nostro lettore, che ci ha inviato questo "manifesto". Discutiamone a ruota libera
Che traffico! Non se ne può proprio più!"; al giorno d'oggi nessuna
frase è più gettonata e contemporanemente
più priva di conseguenze di questa. L'automobile è ormai diventata più di quello che
era nelle intenzioni dei suoi inventori: non più solo mezzo di
trasporto, ma anche stile di vita, oggetto agognato da tutte le categorie di persone a prescindere dalla classe
sociale, dal sesso, dall'eta, indipendentemente dalla reale utilità che essa ha per chi l'acquista. Si
può dire che
ormai non esiste famiglia italiana che non possegga un automobile, anche se questa richiede per il suo
mantenimento uno sforzo economico che, se si considera questo mezzo di trasporto solamente come tale, risulta
chiaramente sproporzionato; ma nell'immaginario collettivo la macchina rappresenta qualcosa di più di
quanto
realmente è: un simbolo di volta in volta sinonimo di indipendenza, libertà, addirittura
virilità e potenza. Ma i
sempre più evidenti guai che un abuso di questo mezzo di trasporto crea all'ambiente urbano e
all'ecosistema
mondiale, anche se sono ancora visti ed accettati come conseguenze inevitabili del progresso tecnologico,
cominciano a fare scricchiolare gli stereotipi del nostro immaginario dominato dalle pubblicità delle 4
ruote,
sempre più persone vivono il traffico con sofferenza e disagio; questo malessere è però
spesso utilizzato a livello
politico per chiedere più strade e infrastrutture al servizio dell'automobile, invece che per cercare di
mettere la
parola fine a questo mito adolescenziale e futurista. Questo succede con la complicità della gente comune
che non
riesce nemmeno lontanamente a concepire come possibile un mondo con meno automobili. La classe politica,
di conseguenza anche se almeno in parte consapevole dei danni che certe scelte comportano, deve fare il gioco
delle grandi case automobilistiche le quali, oltre al ricatto occupazionale hanno in mano l'arma del consenso
indotto dalla pubblicità e dai media. Per questo secondo me c'è il bisogno di creare un
movimento culturale e politico insieme, che cerchi di stimolare
un dibattito su queste problematiche e di proporre a livello politico amministrativo, e sindacale soluzioni
alternative all'automobile, cercando, in una visione utopistica e di lungo periodo di minare alle fondamenta il
fenomeno della motorizzazione privata di massa. Per poter raggiungere questi obiettivi è necessario
creare una
mentalità ostile all' automobile, una mentalità da antimobilista, che, partendo da
una repulsione quasi istintiva
per tutto ciò che è collegato all'auto, dal basso contribuisca ad aiutare scelte che per il momento
sono indicate
come percorribili solo da un'elite di studiosi ambientalisti e di sinistra ma che a livello politico garantiscono la
trombatura alla prima tornata elettorale. Tale mentalità peraltro è già in embrione
nell'atteggiamento ambivalente
che la gente ormai ha nei confronti dell'automobile; ambivalenza di cui va sottolineata la connotazione negativa,
che, se prevale negli incolonnamenti delle ore di punta, è, in quasi tutte le altre situazioni, perdente
rispetto alle
sollecitazioni edonistiche indotte dal mercato.
Perché l'automobilista
Le motivazioni che stanno alla base di questa mentalità possono essere riassunte in ambientaliste,
sociali, di
classe, di mondialità. 1. Motivazioni ambientaliste Sono le più
comunemente accettate e riconosciute: l'auto è una delle principali cause dell'inquinamento
dell'ambiente urbano e non. Qualsiasi tentativo di ridurre gli scarichi legati al traffico automobilistico è
stato
inutile: l'aumento dell'efficienza dei motori è stato vanificato da quello delle vetture in circolazione e della
loro
cilindrata; la benzina senza piombo, che doveva essere la soluzione definitiva, si è rivelata realmente per
quello
che realmente è: un veleno alternativo tradizionale. Anche nell'improbabilissima ipotesi di vetture
con carburanti assolutamente non inquinanti dal punto di vista
della produzione di sostanze tossiche, resterebbe sempre il problema dell'effetto serra, che il traffico
automobilistico contribuirebbe comunque ad aumentare grazie alle grandi quantità di emissioni di CO2
conseguenti all'attività industriale necessaria per la produzione di autovetture: secondo fonti autorevoli
ci sono
altissime probabilità che nei prossimi decenni la temperatura media della terra si alzi provocando lo
scioglimento
parziale delle calotte polari con conseguente innalzamento del livello dei mari e scomparsa delle città
costiere. Inoltre la costruzione di automobili, con lo spreco di risorse che comporta, e le infrastrutture per il
traffico, con
gli spazi che sottraggono a possibili usi alternativi quali l'agricoltura, sono fonte di squilibri ambientali di portata
planetaria a prescindere dalla quantità di gas tossici emessa dagli autoveicoli. 2.
Motivazioni sociali L'automobile, con le distanze che essa stessa contribuisce a creare è
forse la principale responsabile della
atomizzazione delle comunità urbane in monadi solipsistiche, comunicanti per il minimo indispensabile;
minimo
indispensabile che è da leggersi come tendente allo zero, essendo ormai qualsiasi tipo di bisogno
soddisfatto da
un servizio istituzionalizzato del quale si riesce a fruire solo se motorizzati. Inoltre l'automobile, con le grosse
superfici che richiede per lo scorrimento, la sosta, la riparazione e la vendita,
tutte sottratte alla città, rende l'ambiente urbano brutto e pericoloso, poco adatto al transito di pedoni; la
strada
non è più un luogo di incorntro, ma un ambiente ostile dal quale ritirarsi il più in fretta
possibile. I morti di incidente d'auto solo in Italia nel 1995 stati circa 6500: sono i dati di un bollettino di
guerra, invece
sono stati sottolineati con un'enfasi degna della pace in Medio Oriente, dato che gli anni precedenti avevano visto
3500 vittime in più. Quanto questo calo sia dovuto all'aumento degli ingorghi e degli intasamenti nessuno
è in
grado di dirlo. Il traffico causa, oltre ai morti, anche un cospicuo numero di feriti, ed è determinante
nell'insorgere e
nell'aggravarsi di numerose malattie dell'apparato respiratorio, nonchè di un numero elevatissimo di
tumori. In questo discorso vale la pena ricordare il problema dell'auto elettrica: anche se questo mezzo
consente una
riduzione dello spreco di risorse e un allontamento delle fonti inquinanti dagli ambienti di vita non credo che un
morto da auto elettrica stia meglio di uno da auto tradizionale; nè che le città intasate di auto
elettriche diventino
più accessibili di quelle intasate di vetture a benzina. L'auto elettrica potrebbe andare bene solo se
offrisse
garanzie di compatibilità con l'ambiente di vita urbano: ciò vuol dire prestazioni molto ridotte
rispetto agli
attuali veicoli a benzina, con una velocità massima di 30-40 km/h e dimensioni molto più
contenute rispetto agli
attuali 8-10 mq di una macchina normale. 3. Motivazioni di classe Assorbendo
gran parte del bilancio di una famiglia normale, l'automobile è per le classi medio-basse una
fregatura vera e propria: anche solo osservando i costi di una qualsiasi utilitaria calcolati da "Quattroruote", si
vede che si aggirano sulle 500 L/km, escludendo autostrade, guasti imprevisti, multe, parcheggi, costo di garage.
Tradotto in termini di tempo, vuol dire che un operaio che guadagna 12000£/h, per raccogliere il denaro
necessario per per percorrere quel chilometro impiega 2,5 minuti di lavoro, ai quali va aggiunto, se si ipotizza
una velocità media di circa 60 km/h (alta), un'altro minuto; in questo modo totalizziamo 3,5 minuti per
chilometro, che corrispondono a una velocità reale di circa 17 km/h: in bici il nostro operaio farebbe
molto
prima. Lo stesso operaio, percorrendo in auto circa 15000 km all'anno, dedica un terzo del proprio tempo di
lavoro a coprire le spese derivanti dal possesso dell'autovettura (sempre escludendo le spese "opzionali" di cui
sopra ). Questo analizzando la cosa solo dal punto di vista individuale, sul piano sociale, le ore di lavoro
destinate alla
costruzione e manutenzione di strade e infrastrutture in genere, alla cura dei traumatizzati e degli intossicati e alle
misure di prevenzione dell'inquinamento andrebbero ad abbassare ancora di più a velocità
effettiva del nostro
operaio medio motorizzato e ad aumentare il tempo di lavoro utilizzato per pagare le spese legate all'auto. Stime
effettuate in Germania e USA calcolano in circa 2,5 milioni il "contributo nascosto" che la collettività
versa ogni
anno, attraverso il sistema fiscale, a ciascun autoveicolo. Chiaramente questo discorso vale per le classi
medio basse: chi ha stipendi o entrate di alto livello può
permettersi qualsiasi automobile a qualsiasi prezzo. Ormai è stato dimostrato che qualsiasi mezzo
di trasporto, superata una certo soglia di velocità "critica", che è
di circa 25 km/h, faccia perdere collettivamente molto più tempo di quanto non ne faccia risparmiare
individualmente; in altre parole non potrà esistere una società di liberi ed uguali, o almeno
qualche cosa che gli
assomigli, finchè ci saranno automobili; questa scomoda verità esige un grosso ripensamento
della nostra cultura,
del nostro modo di concepire spazio e tempo come entità assoggettabili sempre e comunque ai nostri
desideri. 4. La mondialità L'ultima motivazione è legato al
problema della ingiusta distribuzione di risorse tra zone ricche e zone povere
del nostro pianeta: non possiamo sbraitare contro la distruzione della foresta amazzonica utilizzata per fare
carbone per gli altoforni delle case automobilistiche di mezzo mondo e contemporaneamente entrare dal
concessionario con l'atteggiamento di un buongustaio che entra in un ristorante da guida Michelin. Tutti i
poveri del mondo guardano ormai il modello occidentale come un traguardo da raggiungere, senza
rendersi conto dei guasti che questo modello ha portato all'ecosistema mondiale e anche ai loro stessi sistemi
sociali; come un paese raggiunge un certo livello di benessere, la prima cosa che fa è avviare un processo
di
motorizzazione di massa; forse non ci si rende conto che quando 1200 milioni di cinesi avranno l'automobile,
i1 rischio di una guerra per controllo delle fonti energetiche diventerà altissimo (e la Cina non è
l'Iraq!); questo
trascurando il problema dell'aumento di emissioni dannose per l'ambierite, nonchè quello della
diminuzione di
terre disponibili per utilizzi agricoli, che, in un paese come la Cina, è tutt'altro che di secondaria
importanza. Per questi motivi è un dovere delle popolazioni ricche, che già hanno
sperimentato, oltre ai benefici, anche i guasti
che questo mezzo di trasporto ha provocato nella nostra società, cercare di invertire la rotta, possibilmente
senza
cospargersi il capo di cenere e senza farsi soggiogare dal pregiudizio che una diminuzione del PIL, al quale
l'industria automobilistica contribuisce in larga parte, debba necessariamente portare a un peggioramento della
qualità della vita. Guido Viale, nella sua recente "demonologia dell'automobile", propone quello che
lui chiama "un grande baratto"
tra Nord e Sud del pianeta: il primo si dovrebbe impegnare ad avviare un processo di demotorizzazione, mentre
il secondo garantire la conservazione delle risorse naturali presenti sul proprio territorio, proteggendole dalle
aggressioni rapinose delle multinazionali.
Che fare?
Le soluzioni per il problemi appena enunciati sono tutt'altro che scontate e facili da perseguire; l'automobile
è
ormai talmente entrata nell'organizzazione del nostro menage quotidiano che cercare di farne a meno
equivarrebbe a chiedere a un pesce di vivere fuori dall'acqua. Solo che quando l'acqua è sporca bisogna
cambiarla, anche se il pesce può momentaneamente soffrirne. Anche se non è chiaro come
avverrà questo
ricambio l'importante è cominciare a porre domande, perchè è da queste che poi nascono
le soluzioni; diffidate
sempre di chi propone saperi preconfezionati. Per queste ragioni non si pretende qui di dare delle soluzioni
valide urbi et orbi, ma semplicemente di immaginare
come potrebbe venire tracciato un sentiero in grado di portarci fuori da questo vicolo cieco; sentiero che come
tutti i sentieri può subire modificazioni di percorso. L'importante è però non perdere
di vista il desiderio (o il sogno) di realizzare un mondo dove l'automobile sia
relegata a un ruolo il più marginale possibile. A grandi linee, quindi, si possono immaginare 4 aree
di intervento: politica-amministrativa, culturale-pedagogica,
di ricerca scientifica, sindacale. E' da sottolineare che non sono da intendersi in ordine di
priorità. l. Area politico-amministrativa A questo livello bisogna
favorire tutte quelle misure che ostacolino velocità delle autovetture e accessibilità degli
spazi alle medesime, facilitando invece la possibilità di circolazione per tram, biciclette, treni e pedoni:
in questo
modo si renderebbe l'auto non più una scelta obbligata dai pericoli da essa stessa creati, ma solo
un'alternativa
tra le altre. Tra queste, la bicicletta in modo particolare offre, almeno in ambito urbano, velocità di
spostamento
che sono uguali o addirittura superiori a quelle dell'auto già nella situazione attuale, in cui codici e e
regole non
fanno altro che scoraggiarne l'uso. In Italia è in vigore il limite di 130 km/h; non ci vorrebbe niente
a chiedere una legge che vieti la
commercializzazione di automobili che superino questa velocità. Spingendosi oltre si potrebbe chiedere
la messa
in opera di un sistema di limitazione della velocità via radio, in modo che chi guida non possa superare
il limite
di velocità vigente nel tratto di strada che sta percorrendo. Per quanto riguarda il trasporto merci, si
potrebbe chiedere l'introduzione di soluzioni "svizzere", che consistono
nel caricare i TIR sui treni merci, per farli scendere nella stazione più vicina alla località di
destinazione. Importantissimo sarebbe anche richiedere l'approvazione di leggi che trasformino i costi fissi
di un'automobile
(assicurazione e bollo), in costi variabili, dipendenti dal chilometraggio effettuato; in questo modo si incentiva
il non utilizzo della macchina. A livello locale, si dovrebbe considerare lo spazio da riservare al traffico
automobilìstico privato residuale rispetto
a quello da destinare, in ordine di priorità, a biciclette, pedoni, trasporto pubblico, forme di
"paratrasporto": ciò
si tradurrebbe in politiche che ostacolino la circolazione delle automobili attraverso la riduzione dell'ampiezza
delle carreggiate a loro riservate e il conseguente recupero di spazio da destinare a piste ciclabili (magari coperte)
e corsie preferenziali per autobus e tram. Chiaramente qualsiasi iniziativa di opposizione a priori alla
costruzione di nuove strade, tangenziali, autostrade,
parcheggi è utilissima; così come battaglie per richiedere trasporti pubblici su rotaia adeguati,
sostenendo anche
il principio che questi possono benissimo essere in perdita, dato che l'alternativa automobile comporta costi,
economici e "sociali", spesso non contabilizzati, ben maggiori di quelli di altri sistemi di
trasporto. 2. Area culturale pedagogica E' forse l'area di intervento principale,
almeno data l'attuale situazione; il concetto di residualità dell'autovettura
per la soddisfazione del bisogno di trasporto, prima di venire applicato a livello politico, deve chiaramente venire
interiorizzato a livello di opinione pubblica e di classe dirigente: è importante far capire che la
motorizzazione
privata di massa sta al trasporto come la cattedrale di Notre-Dame sta al bisogno di abitazione. Come principio
generale bisognerebbe affermare quello secondo il quale, per la soddisfazione di un determinato bisogno è
meglio
dare la priorità prima alle tecnologie più semplici, che comportano una minore concentrazione
del potere e quindi
una maggiore possibilità di controllo dal basso del loro uso, e lasciare a quelle più complesse un
ruolo residuale,
volto a riempire gli spazi lasciati liberi dalle prime. Nel nostro caso la bicicletta nel trasporto urbano offre
senz'altro prestazioni più elevate rispetto all'auto, costruendo piste ciclabili coperte molto probabilmente
il
bisogno di auto in città si ridurrebbe di una percentuale molto vicina al l00%; questo se non ci fossero
quelle
barriere culturali che legano il possesso di un automobile alla realizzazione di sè. Più
prosaicamente è
importantissima la controinformazione a livello locale e nazionale in occasione della costruzione di varianti,
anelli, tangenziali, del varo di nuovi PRG; la divulgazione di testi e di dati statistici riguardanti i "costi nascosti"
(morti, feriti, insicurezza nelle strade, scarso controllo sull'ambiente urbano da parte di chi ci vive, misure
antinquinamento), nonchè di quelli a proposito di esperienze di lotta contro l'invasione del traffico da
parte delle
comunità residenti. Anche la divulgazione di letteratura di ispirazione ecologista e terzomondista
può essere
utilissima per la formazione di una mentalità e una cultura più sensibili ai problemi legati al
fenomeno della
motorizzazione privata di massa. Sarebbero utilissime campagne pubblicitarie mirate a sgretolare
l'immaginario automobilistico, che cerchino di
portare a coscienza i problemi legati ad un uso indiscriminato dell'autovettura anche in momenti diversi da quello
dell'imbottigliamento in tangenziale. Si potrebbe far scrivere sulla fiancata della propria autovettura qualcosa
come "nuoce gravemente alla salute",
oppure "provoca il cancro", sull' esempio di quello che è già stato fatto per le
sigarette. 3. Area di ricerca scientifica Sono da stimolare attività di
ricerca volte a creare strumenti che permettano ai singoli individui di superare la
autodipendenza: per il trasporto in città si potrebbero mettere a punto veicoli a doppia trazione umana
ed elettrica,
che consentano velocità medie di 25-30 km/h. Anche ricerche volte a favorire un uso più
collettivo dell'autovettura sono senz'altro utili; si potrebbe pensare a
un sistema di autostop telematico, sia all'interno del medesimo ambiente urbano, sia per favorire collegamenti
tra una citta e l'altra. Sarebbero utilissimi studi per modellare spazi e tempi urbani in funzione di biciclette
e pedoni anzichè delle
automobili: si pensi a tutti i giri in tondo che quotidianamente siamo costretti a fare per poter venire trasportati
dall'automobile; oppure ai tempi di attesa ai semafori, inutili o esageratamente lunghi rispetto alle esigenze di
un, per ora improbabile, transito ciclistico; alle distanze che spesso separano luoghi di lavoro, di residenza, di
svago. Tali ricerche, anche se improponibili politicamente, almeno dato l'attuale momento storico, servirebbero
comunque anche da stimolo e da risveglio delle coscienze, rendendo visibili le possibilità alternative.
Più attuabili
sarebbero campagne mirate a ottenere il rallentamento del traffico urbano attraverso la frapposizione di ostacoli
fisici sulle corsie (es. alberi, dossi rallentatraffico, aiuole etc.) e a facilitare lo scorrimento di mezzi non a motore
o su rotaia (corsie preferenziali, precedenza ai semafori, abolizione di sensi vietati per le
biciclette). 4) Area sindacale Anche una riorganizzazione del lavoro in
funzione di questi problemi non è da sottovalutare; si potrebbe pensare
di chiedere riduzioni di orario, anche con proporzionale riduzione degli stipendi, per quei lavoratori che rinuncino
a spostarsi in automobile: il tempo (poco) perso negli spostamenti verrebbe più che compensto da quello
(molto)
guadagnato dal non dover lavorare per pagarsi un'automobile. Si potrebbe pensare anche a mettere a punto
tecnologie di telelavoro, dato che molti tipi di impiego richiedono solo compiti di supervisione e controllo che
possono benissimo essere svolti da casa; chi scrive è cosciente dei problemi di dispersione e di perdita
di coesione
della classe operaia che deriverebbero da una situazione di questo tipo, ma forse questi problemi verrebbero
più
che compensati dalla formazione di un senso di identificazione col proprio territorio maggiore di quello attuale,
che faciliterebbe una presa di coscienza dei problemi sociali ed ambientali di cui sopra, grazie a una riduzione
dei tempi di lavoro e di spostamento, nonchè a un maggiore coinvolgimento di persone in età
lavorativa nei
problemi del proprio ambiente di vita.
Concludendo Per finire vorrei sottolineare come la motorizzazione di massa,
volenti o nolenti, è comunque un fenomeno in
lento ma inevitabile declino; le "pere" di denaro pubblico che il governo attuale inietta all'industria
automobilistica per tenerla in piedi ne sono la prova più evidente. Se si pensa che negli ultimi
vent'anni il costo di acquisto di un automobile è aumentato in termini reali di una
percentuale che varia dal 60 al 100%, e che inderogabili esigenze ambientali e di sicurezza lo spingeranno ancora
piu in alto, è facile immaginare un futuro in cui l'automobile sarà riservata al jet-set mondiale
dell'era della
globalizzazione, lasciando alle classi medio basse la lotta per accaparrarsi un lavoro sempre meno remunerativo,
soprattutto in rapporto al bene automobile. Di fronte a questa possibilità la scelta automibilistica diventa
una
strada più economica e a misura d'uomo (piu "vernacolare", come direbbe Illich), un bisogno che
altrimenti
trovera risposta solo in mezzi pubblici fatiscenti e male organizzati, garantendo invece il un'elite di tecnocrati
ampie, strade e superstrade da percorrere a velocità elevatissime, con gradi conseguenze per la salute e
il
portafoglio della maggioranza.
Bibliografia Ward, Colin: Dopo l'automobile;
Eleuthera, 1992 Illich, Ivan: Energia ed equità, in Per una storia dei
bisogni, Mondadori, 1975; Robert, Jean: Tempo rubato; Red Edizioni, 1992 ; Viale,
Guido: Tutti in taxi - Demonologia dell'automobile; Feltrinelli, 199 Zuckermann, Wolfgang:
Fine della strada, Muzzio, 1992; AA. VV.: On the road, sezioni monografiche su "La
terra vista dalla luna", n/95 e 10/95; Lowe, M.D: In bicicletta verso il futuro, in "State
of the World 1990", ISEDI; Lowe, M.D.: Riconsiderare i trasporti urbani, in "State of the world
1991"; ISEDI
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