Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 241
dicembre 1997 - gennaio 1998


Rivista Anarchica Online

Liberi e prigionieri
di Guido Viale

A Guido Viale - uno dei leader di Lotta Continua, oggi impegnato nel comitato "Liberi Liberi" - abbiamo chiesto un intervento sulla vicenda politico-giudiziaria di Bompressi, Pietrostefani e Sofri

Il 12 dicembre 1997 saranno passati 28 anni dalla strage di Piazza Fontana, che ha aperto la strategia della tensione in Italia - almeno ufficialmente: ormai si sa che la strategia della tensione era stata annunciata almeno due anni prima e preparata per lo meno dalla primavera. E saranno passati quasi undici mesi dal giorno dell'incarcerazione di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani, condannati con sentenza definitiva per l'omicidio del commissario Calabresi, avvenuto 25 anni fa.
Questidue fatti sono esemplari del contesto politico e istituzionale in cui viviamo e costituiscono una dimostrazione lampante della continuità tra la prima e la cosiddetta seconda repubblica: due repubbliche fondate non sul lavoro, ma sulle stragi, e sulla complicità con esse di larga parte del mondo politico, giudiziario e istituzionale.
Gli autori della Strage di Piazza Fontana, in larga parte noti, grazie alla denuncia di sparuti gruppi rivoluzionari e anarchici, tra cui, in prima fila, Lotta Continua - denunce oggi in gran parte confermate dalle indagini del giudice istruttore Salvini - sono liberi e impuniti; e tali resteranno quale che sia l'esito processuale di quell'indagine, perché alcuni sono stati già assolti con sentenza definitiva al termine della lunga farsa giudiziaria che ha trascinato il processo per quella strage da Milano a Roma, di nuovo a Milano, poi a Catanzaro e a Bari, con il solo scopo di affossare tutto; mentre altri sono protetti da un passaporto diplomatico italiano - o addirittura da una rarissima cittadinanza giapponese - e sono stati fatti espatriare - e probabilmente sono ancora oggi stipendiati - a cura e con i fondi dei servizi segreti italiani.
In questo modo, i magistrati che a vario titolo sono intevenuti in questa vicenda giudiziaria per affossarla - non tutti, per fortuna, perché qualcuno si è anche dato da fare, più o meno coraggiosamente, per smascherare i colpevoli - hanno creato le premesse perché per almeno quindici anni stragi come quelle di Piazza Fontana si ripetessero con periodicità annuale: Gioia Tauro, Peteano, Carcere di Alessandria, Piazza della Loggia, Italicus, Stazione di Bologna, San Benedetto Val di Sangro, per citare solo quelle andate in porto, trascurando le stragi non riuscite, che sono molte di più. Dei magistrati e degli organi istituzionali che hanno permesso questo scempio non si può dire altro se non che sono complici. Che con il loro comportamento non solo hanno promosso le stragi, ma hanno anche innescato il cosiddetto terrorismo di sinistra degli anni '70, che, quali che siano le sue responsabilità - e sono tante! - non sarebbe mai nato se non ci fossero stati le stragi di stato e chi le copriva e le copre tutt'ora.
Quelli che invece si sono impegnati fin dal primo giorno dopo la strage di Piazza Fontana a denunciarne la matrice di stato e le complicità di chi aveva indirizzato le indagini contro gli anarchici e ammazzato Pinelli, cioè Sofri e i suoi due compagni - ieri di Lotta Continua e oggi di detenzione - Bompressi e Pietrostefani, sono in carcere, condannati a 22 anni - praticamente l'ergastolo - con una sentenza definitiva, dopo una vicenda giudiziaria durata nove anni, che per infamia e turpitudine trova un riscontro soltanto in quella che ha garantito l'impunità agli autori della strage di Piazza Fontana.
Queste vicende sono peraltro legate tra loro molto più strettamente: i processi e le condanne per l'omicidio del commissario Calabresi sono stati fatti senza prove, sulla base delle dichiarazioni di un "pentito" istruito da un ufficiale dei carabinieri che già all'indomani dell'omicidio si era dato da fare per incolpare Lotta Continua - e che ha continuato evidentemente ad adoperarsi in tal senso per tutti questi anni - esattamente come il commissario Calabresi si stava dando da fare per attribuire agli anarchici milanesi la paternità di una strage perpetrata dai fascisti veneti e dai servizi segreti italo-americani.
In mancanza di prove, nel corso di tutti i processi di merito per l'omicidio Calabresi, che sono stati quattro, l'argomento principale utilizzato dall'accusa, dalla parte civile e dall'avvocatura dello stato per dimostrare la colpevolezza degli imputati è stata la campagna di denuncia condotta a suo tempo da Lotta Continua contro il commissario. E questo è in realtà il delitto che andava punito e che è stato punito; è questo l'obiettivo per cui si sono adoperati nel corso di tutti questi anni i magistrati che, nella più scoperta violazione della legge, hanno portato i processi a questo esito.
Anche qui c'è una peculiarità italiana che dimostra la continuità tra la prima e la seconda repubblica. Va segnalato infatti che mentre in Italia Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono stati mandati in galera per punire quella denuncia, all'estero Dario Fo è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, con delle motivazioni esplicitamente politiche: la sua azione di denuncia delle vessazioni dei potenti e di difesa delle ragioni degli oppressi. Azione di cui è ovviamente parte integrante la sua pièce Morte accidentale di un anarchico, con cui, fin dal 1970, Dario Fo ha portato il suo contributo letterario e personale alla campagna di denuncia del commissario Calabresi. Un'azione che continua oggi con l'impegno con cui Dario Fo lavora al rovesciamento della sentenza di condanna per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, impegnando in esso il prestigio che gli viene dal Nobel.
Questa non costituisce certo l'ultima delle ragioni che hanno suscitato un coro di indignazione - e addirittura di proteste - di letterati, accademici, politici e columnist, non solo di destra, ma anche "di sinistra" per l'attribuzione del Nobel a Dario Fo. Scoperchiare il verminaio che alligna nelle istituzioni della repubblica italiana (prima e seconda) non è evidentemente, per l'establishment italiano, cosa che meriti un premio; per di più Nobel.
In ogni caso, nei mesi successivi all'incarceramento di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, le proteste contro l'esito di questa vicenda giudiziaria si sono moltiplicate. In particolare:
ci sono state una grande manifestazione nazionale, il 15 febbraio a Pisa, per protestare contro la condanna definitiva, e una manifestazione nazionale il 25 ottobre, per rendere pubblici i risultati della campagna di solidarietà si sono svolti in tutta Italia centinaia di dibattiti - molti ospitati in sedi messe a disposizione da forze appartenenti a tutto lo schieramento politico e culturale - in cui sono stati incontrovertibilmente documentati e riconosciuti l'arbitrio di quella sentenza e l'assurdità di quella condanna; si sono costituiti circa cento comitati liberi liberi in altrettante città d'Italia, inpegnati spesso quotidianamente in iniziative di denuncia e di sostegno alla lotta di Sofri, Bompressi e Pietrostefani;
sono state raccolte oltre 160.000 firme - un lavoro capillare quanto improbo, soprattutto nella prima fase di questa campagna - in calce a una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica perché si avvalga delle sue prerogative per porre fine a questa ingiusta detenzione;
fatto più paradossale di tutti, è quasi quotidiana la presa di parola di Sofri, Bompressi e Pietrostefani sui media (radio, TV, giornali, libri e pubblicazioni varie); non solo sulla loro vicenda giudiziaria, ma su una quantità quasi infinita di questioni sulle quali viene loro riconosciuta una indiscutibile autorità: la Bosnia, la Cecenia, l'Algeria, la droga, l'immigrazione, la religione, la fede, l'impegno politico, il carcere, il terrorismo, la giustizia, ecc.
Questa campagna ha comunque messo in evidenza l'assurdità e la pericolosità del meccanismo giudiziario responsabile di questa persecuzione. Solo per ricordare i fatti principali, questa vicenda giudiziaria è talmente ingarbugliata e carica di illegalità - commesse sia dagli inquirenti che dai giudici che la hanno gestita - che basta questo per pretendere l'annullamento della condanna e - per l'intanto - dei suoi effetti detentivi. Solo per ricordare i fatti più macroscopici:
sono passati venticinque anni dal reato contestato, che di per sé sarebbe già entrato in area di prescrizione. La prescrizione sarebbe scattata automaticamente se l'ultima sentenza di merito, confermata dall'ultima sentenza di Cassazione, non avesse negato agli imputati la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti - cosa che è prassi fare in tutte le sentenze consimili - con l'incredibile motivazione che gli imputati non hanno mai mostrato segni di pentimento... per un delitto di cui si proclamano innocenti!
tutta l'accusa si fonda sulla deposizione di un unico "pentito", che si è contraddetto più volte clamorosamente su punti decisivi delle sue deposizioni, che è stato contraddetto da tutti gli altri testimoni - sia della difesa che dell'accusa, compresi i testimoni oculari dell'attentato, escussi subito dopo il fatto - e alla cui deposizione non è stato trovato alcun riscontro "oggettivo". Tanto è vero che per convalidarne le affermazioni si è sostenuto, nelle varie sentenze, che Leonardo Marino, cioè l'accusatore, è religioso, è cattolico, è andato a scuola dai Salesiani - e forse è proprio per questo che Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono stati mandati a rieducarsi al carcere Don Bosco! - tiene famiglia, ha dato visibili segni di rimorso: tutti argomenti irrilevanti e di nessun valore giudiziario, che non sarebbero mai stati invocati in una sentenza, se le sue accuse fossero state anche solo suffragate da qualche elemento più concreto;
in particolare, a sostegno della credibilità di Leonardo Marino - si è invocato l'argomento secondo cui non si capisce perché una persona libera e incensurata avrebbe dovuto accusarsi di un delitto che lo avrebbe esposto a una durissima condanna. Questo argomento rappresenta un classico esempio giudiziario di "inversione dell'onere della prova": si chiede agli imputati di spiegare un fatto che dovrebbero essere invece gli inquirenti ad accertare. Di fatto comunque una spiegazione c'è: Leonardo Marino, che è un rapinatore recidivo, è libero, non ha scontato un solo giorno di carcere, ha risolto tutti i suoi guai finanziari e si è persino comprato due case; le persone che lui ha accusato sono in carcere senza altre prove che la sua parola!
la deposizione accusatoria di Leonardo Marino è stata preparata durante diciassette giorni o - più probabilmente - alcuni mesi di colloqui non verbalizzati - cosa proibita dalla legge e dalla convenzione internazionale sui diritti dell'uomo - tra il "pentito" e i carabinieri. Sia Marino che i carabinieri hanno cercato di nascondere questi colloqui, alterando - con la complicità del Sostituto procuratore della Repubblica e del Giudice Istruttore che li hanno interrogati - le date e le modalità con cui Marino si sarebbe "consegnato alla giustizia";
nel corso dei vari dibattimenti sono stati distrutti fondamentali corpi del reato che avrebbero potuto contraddire le versioni fornite da Leonardo Marino - non sono state tenute in alcun conto le testimonianze che smentivano l'accusa, non si è proceduto per le accuse lanciate da Marino contro altri ex-esponenti di Lotta Continua, nonostante che queste accuse venissero considerate "assodate" nelle successive sentenze; né si è proceduto contro magistrati e carabinieri di cui erano emersi comportamenti chiaramente delittuosi;
le sentenze che hanno portato a questa condanna sono state ben sette - di cui una di assoluzione e una delle Sezioni Unite della Corte dissazione, che annullava tutte le precedenti sentenze di condanna - più tre sentenze di processi connessi, sempre innescati dalle dichiarazioni di Marino, in cui tutte le persone da lui accusate sono state assolte. La presenza di tante sentenze contraddittorie è una prova indiscutibile che il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza degli imputati, che dovrebbe comunque inibire una condanna, è più che fondato.
Tanto è vero che uno dei giudici di Cassazione, subito dopo aver confermato l'ultima sentenza di condanna, ha dichiarato che agli imputati bisognava concedere la Grazia, riconoscendo così che la sentenza che aveva appena emesso era un sopruso;
per invalidare la seconda sentenza di appello, che ha mandato assolti tutti gli imputati - compreso Leonardo Marino che si autoaccusava - riconoscendo così la totale falsità o, per lo meno, l'infondatezza delle accuse, non si è esitato a ricorrere a un imbroglio: redigendo delle motivazioni che contraddicevano totalmente lo spirito e la lettera del verdetto pronunciato dalla giuria e provocando così l'annullamento della sentenza;
per ottenere la condanna degli imputati nel corso dell'ultimo processo di appello il Presidente della corte ha esercitato pesanti e documentate pressioni sui giudici popolari, fino a minacciare di invalidare ancora una volta la loro sentenza in caso di un verdetto di assoluzione. Non è questo l'unico dei dieci processi innescati dalla denuncia di Marino in cui sono state esercitate pressioni di questo genere; ma, in questo caso, esse sono documentate da precisi atti istruttori, di cui non si è voluto tenere alcun conto!
Infine bisogna ricordare che Sofri, Bompressi e Pietrostefani si sono consegnati volontariamente per continuare a combattere la gestione e l'esito di questa vicenda giudiziaria. Non lo hanno fatto per fiducia nella "Giustizia" o nelle istituzioni: non hanno alcun motivo per averne. Lo hanno fatto perché ritengono che nella loro condizione entrare in carcere fosse la soluzione migliore per continuare la loro lotta e per mettere tutti e ciascuno di fronte alle proprie responsabilità.