Rivista Anarchica Online
Liberi e prigionieri
di Guido Viale
A Guido Viale - uno dei leader di Lotta Continua, oggi impegnato nel comitato "Liberi Liberi" - abbiamo chiesto
un intervento sulla vicenda politico-giudiziaria di Bompressi, Pietrostefani e Sofri
Il 12 dicembre 1997 saranno passati 28 anni dalla strage di Piazza Fontana, che ha
aperto la strategia della
tensione in Italia - almeno ufficialmente: ormai si sa che la strategia della tensione era stata annunciata almeno
due anni prima e preparata per lo meno dalla primavera. E saranno passati quasi undici mesi dal giorno
dell'incarcerazione di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani, condannati con sentenza
definitiva per l'omicidio del commissario Calabresi, avvenuto 25 anni fa. Questidue fatti sono esemplari del
contesto politico e istituzionale in cui viviamo e costituiscono una
dimostrazione lampante della continuità tra la prima e la cosiddetta seconda repubblica: due repubbliche
fondate
non sul lavoro, ma sulle stragi, e sulla complicità con esse di larga parte del mondo politico, giudiziario
e
istituzionale. Gli autori della Strage di Piazza Fontana, in larga parte noti, grazie alla denuncia di sparuti
gruppi rivoluzionari
e anarchici, tra cui, in prima fila, Lotta Continua - denunce oggi in gran parte confermate dalle indagini del
giudice istruttore Salvini - sono liberi e impuniti; e tali resteranno quale che sia l'esito processuale di
quell'indagine, perché alcuni sono stati già assolti con sentenza definitiva al termine della lunga
farsa giudiziaria
che ha trascinato il processo per quella strage da Milano a Roma, di nuovo a Milano, poi a Catanzaro e a Bari,
con il solo scopo di affossare tutto; mentre altri sono protetti da un passaporto diplomatico italiano - o addirittura
da una rarissima cittadinanza giapponese - e sono stati fatti espatriare - e probabilmente sono ancora oggi
stipendiati - a cura e con i fondi dei servizi segreti italiani. In questo modo, i magistrati che a vario titolo sono
intevenuti in questa vicenda giudiziaria per affossarla - non
tutti, per fortuna, perché qualcuno si è anche dato da fare, più o meno coraggiosamente,
per smascherare i
colpevoli - hanno creato le premesse perché per almeno quindici anni stragi come quelle di Piazza Fontana
si
ripetessero con periodicità annuale: Gioia Tauro, Peteano, Carcere di Alessandria, Piazza della Loggia,
Italicus,
Stazione di Bologna, San Benedetto Val di Sangro, per citare solo quelle andate in porto, trascurando le stragi non
riuscite, che sono molte di più. Dei magistrati e degli organi istituzionali che hanno permesso questo
scempio non
si può dire altro se non che sono complici. Che con il loro comportamento non solo hanno promosso le
stragi, ma
hanno anche innescato il cosiddetto terrorismo di sinistra degli anni '70, che, quali che siano le sue
responsabilità
- e sono tante! - non sarebbe mai nato se non ci fossero stati le stragi di stato e chi le copriva e le copre
tutt'ora. Quelli che invece si sono impegnati fin dal primo giorno dopo la strage di Piazza Fontana a
denunciarne la matrice
di stato e le complicità di chi aveva indirizzato le indagini contro gli anarchici e ammazzato Pinelli,
cioè Sofri
e i suoi due compagni - ieri di Lotta Continua e oggi di detenzione - Bompressi e Pietrostefani, sono in carcere,
condannati a 22 anni - praticamente l'ergastolo - con una sentenza definitiva, dopo una vicenda giudiziaria durata
nove anni, che per infamia e turpitudine trova un riscontro soltanto in quella che ha garantito l'impunità
agli autori
della strage di Piazza Fontana. Queste vicende sono peraltro legate tra loro molto più strettamente:
i processi e le condanne per l'omicidio del
commissario Calabresi sono stati fatti senza prove, sulla base delle dichiarazioni di un "pentito" istruito da un
ufficiale dei carabinieri che già all'indomani dell'omicidio si era dato da fare per incolpare Lotta Continua
- e che
ha continuato evidentemente ad adoperarsi in tal senso per tutti questi anni - esattamente come il commissario
Calabresi si stava dando da fare per attribuire agli anarchici milanesi la paternità di una strage perpetrata
dai
fascisti veneti e dai servizi segreti italo-americani. In mancanza di prove, nel corso di tutti i processi di merito
per l'omicidio Calabresi, che sono stati quattro,
l'argomento principale utilizzato dall'accusa, dalla parte civile e dall'avvocatura dello stato per dimostrare la
colpevolezza degli imputati è stata la campagna di denuncia condotta a suo tempo da Lotta Continua
contro il
commissario. E questo è in realtà il delitto che andava punito e che è stato punito;
è questo l'obiettivo per cui si
sono adoperati nel corso di tutti questi anni i magistrati che, nella più scoperta violazione della legge,
hanno
portato i processi a questo esito. Anche qui c'è una peculiarità italiana che dimostra la
continuità tra la prima e la seconda repubblica. Va segnalato
infatti che mentre in Italia Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono stati mandati in galera per punire quella denuncia,
all'estero Dario Fo è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, con delle motivazioni
esplicitamente
politiche: la sua azione di denuncia delle vessazioni dei potenti e di difesa delle ragioni degli oppressi. Azione
di cui è ovviamente parte integrante la sua pièce Morte accidentale di un anarchico,
con cui, fin dal 1970, Dario
Fo ha portato il suo contributo letterario e personale alla campagna di denuncia del commissario Calabresi.
Un'azione che continua oggi con l'impegno con cui Dario Fo lavora al rovesciamento della sentenza di condanna
per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, impegnando in esso il prestigio che gli viene dal Nobel. Questa non
costituisce certo l'ultima delle ragioni che hanno suscitato un coro di indignazione - e addirittura di
proteste - di letterati, accademici, politici e columnist, non solo di destra, ma anche "di sinistra" per l'attribuzione
del Nobel a Dario Fo. Scoperchiare il verminaio che alligna nelle istituzioni della repubblica italiana (prima e
seconda) non è evidentemente, per l'establishment italiano, cosa che meriti un premio; per di più
Nobel. In ogni caso, nei mesi successivi all'incarceramento di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, le proteste
contro l'esito
di questa vicenda giudiziaria si sono moltiplicate. In particolare: ci sono state una grande manifestazione
nazionale, il 15 febbraio a Pisa, per protestare contro la condanna
definitiva, e una manifestazione nazionale il 25 ottobre, per rendere pubblici i risultati della campagna di
solidarietà si sono svolti in tutta Italia centinaia di dibattiti - molti ospitati in sedi messe a disposizione
da forze
appartenenti a tutto lo schieramento politico e culturale - in cui sono stati incontrovertibilmente documentati e
riconosciuti l'arbitrio di quella sentenza e l'assurdità di quella condanna; si sono costituiti circa cento
comitati
liberi liberi in altrettante città d'Italia, inpegnati spesso quotidianamente in iniziative di
denuncia e di sostegno
alla lotta di Sofri, Bompressi e Pietrostefani; sono state raccolte oltre 160.000 firme - un lavoro capillare
quanto improbo, soprattutto nella prima fase di questa
campagna - in calce a una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica perché si avvalga delle sue
prerogative
per porre fine a questa ingiusta detenzione; fatto più paradossale di tutti, è quasi quotidiana
la presa di parola di Sofri, Bompressi e Pietrostefani sui media
(radio, TV, giornali, libri e pubblicazioni varie); non solo sulla loro vicenda giudiziaria, ma su una
quantità quasi
infinita di questioni sulle quali viene loro riconosciuta una indiscutibile autorità: la Bosnia, la Cecenia,
l'Algeria,
la droga, l'immigrazione, la religione, la fede, l'impegno politico, il carcere, il terrorismo, la giustizia,
ecc. Questa campagna ha comunque messo in evidenza l'assurdità e la pericolosità del
meccanismo giudiziario
responsabile di questa persecuzione. Solo per ricordare i fatti principali, questa vicenda giudiziaria è
talmente
ingarbugliata e carica di illegalità - commesse sia dagli inquirenti che dai giudici che la hanno gestita -
che basta
questo per pretendere l'annullamento della condanna e - per l'intanto - dei suoi effetti detentivi. Solo per ricordare
i fatti più macroscopici: sono passati venticinque anni dal reato contestato, che di per sé
sarebbe già entrato in area di prescrizione. La
prescrizione sarebbe scattata automaticamente se l'ultima sentenza di merito, confermata dall'ultima sentenza
di Cassazione, non avesse negato agli imputati la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti - cosa che
è prassi fare in tutte le sentenze consimili - con l'incredibile motivazione che gli imputati non hanno mai
mostrato
segni di pentimento... per un delitto di cui si proclamano innocenti! tutta l'accusa si fonda sulla deposizione
di un unico "pentito", che si è contraddetto più volte clamorosamente su
punti decisivi delle sue deposizioni, che è stato contraddetto da tutti gli altri testimoni - sia della difesa
che
dell'accusa, compresi i testimoni oculari dell'attentato, escussi subito dopo il fatto - e alla cui deposizione non
è stato trovato alcun riscontro "oggettivo". Tanto è vero che per convalidarne le affermazioni si
è sostenuto, nelle
varie sentenze, che Leonardo Marino, cioè l'accusatore, è religioso, è cattolico, è
andato a scuola dai Salesiani
- e forse è proprio per questo che Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono stati mandati a rieducarsi al
carcere Don
Bosco! - tiene famiglia, ha dato visibili segni di rimorso: tutti argomenti irrilevanti e di nessun valore giudiziario,
che non sarebbero mai stati invocati in una sentenza, se le sue accuse fossero state anche solo suffragate da
qualche elemento più concreto; in particolare, a sostegno della credibilità di Leonardo
Marino - si è invocato l'argomento secondo cui non si
capisce perché una persona libera e incensurata avrebbe dovuto accusarsi di un delitto che lo avrebbe
esposto a
una durissima condanna. Questo argomento rappresenta un classico esempio giudiziario di "inversione dell'onere
della prova": si chiede agli imputati di spiegare un fatto che dovrebbero essere invece gli inquirenti ad accertare.
Di fatto comunque una spiegazione c'è: Leonardo Marino, che è un rapinatore recidivo, è
libero, non ha scontato
un solo giorno di carcere, ha risolto tutti i suoi guai finanziari e si è persino comprato due case; le persone
che
lui ha accusato sono in carcere senza altre prove che la sua parola! la deposizione accusatoria di Leonardo
Marino è stata preparata durante diciassette giorni o - più probabilmente
- alcuni mesi di colloqui non verbalizzati - cosa proibita dalla legge e dalla convenzione internazionale sui diritti
dell'uomo - tra il "pentito" e i carabinieri. Sia Marino che i carabinieri hanno cercato di nascondere questi
colloqui, alterando - con la complicità del Sostituto procuratore della Repubblica e del Giudice Istruttore
che li
hanno interrogati - le date e le modalità con cui Marino si sarebbe "consegnato alla giustizia"; nel
corso dei vari dibattimenti sono stati distrutti fondamentali corpi del reato che avrebbero potuto contraddire
le versioni fornite da Leonardo Marino - non sono state tenute in alcun conto le testimonianze che smentivano
l'accusa, non si è proceduto per le accuse lanciate da Marino contro altri ex-esponenti di Lotta Continua,
nonostante che queste accuse venissero considerate "assodate" nelle successive sentenze; né si è
proceduto contro
magistrati e carabinieri di cui erano emersi comportamenti chiaramente delittuosi; le sentenze che hanno
portato a questa condanna sono state ben sette - di cui una di assoluzione e una delle
Sezioni Unite della Corte dissazione, che annullava tutte le precedenti sentenze di condanna - più tre
sentenze
di processi connessi, sempre innescati dalle dichiarazioni di Marino, in cui tutte le persone da lui accusate sono
state assolte. La presenza di tante sentenze contraddittorie è una prova indiscutibile che il "ragionevole
dubbio"
sulla colpevolezza degli imputati, che dovrebbe comunque inibire una condanna, è più che
fondato. Tanto è vero che uno dei giudici di Cassazione, subito dopo aver confermato l'ultima
sentenza di condanna, ha
dichiarato che agli imputati bisognava concedere la Grazia, riconoscendo così che la sentenza che aveva
appena
emesso era un sopruso; per invalidare la seconda sentenza di appello, che ha mandato assolti tutti gli imputati
- compreso Leonardo
Marino che si autoaccusava - riconoscendo così la totale falsità o, per lo meno, l'infondatezza
delle accuse, non
si è esitato a ricorrere a un imbroglio: redigendo delle motivazioni che contraddicevano totalmente lo
spirito e
la lettera del verdetto pronunciato dalla giuria e provocando così l'annullamento della sentenza; per
ottenere la condanna degli imputati nel corso dell'ultimo processo di appello il Presidente della corte ha
esercitato pesanti e documentate pressioni sui giudici popolari, fino a minacciare di invalidare ancora una volta
la loro sentenza in caso di un verdetto di assoluzione. Non è questo l'unico dei dieci processi innescati
dalla
denuncia di Marino in cui sono state esercitate pressioni di questo genere; ma, in questo caso, esse sono
documentate da precisi atti istruttori, di cui non si è voluto tenere alcun conto! Infine bisogna
ricordare che Sofri, Bompressi e Pietrostefani si sono consegnati volontariamente per continuare
a combattere la gestione e l'esito di questa vicenda giudiziaria. Non lo hanno fatto per fiducia nella "Giustizia"
o nelle istituzioni: non hanno alcun motivo per averne. Lo hanno fatto perché ritengono che nella loro
condizione
entrare in carcere fosse la soluzione migliore per continuare la loro lotta e per mettere tutti e ciascuno di fronte
alle proprie responsabilità.
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