Rivista Anarchica Online
Arditi del popolo
di Dino Taddei
Sugli Arditi del popolo poco si sa, pochissimo è stato scritto ed anche nella
tradizione orale si arriva a malapena
a qualche canto postumo. Un serio contributo ci arriva da Marco Rossi che nel suo libro "Arditi,
non gendarmi!" (BFS edizioni, Pisa,
1997 pp. 192) ricostruisce, da paziente cesellatore storico, le vicende di queste formazioni dimostratesi l'unico
efficace antidoto alla dilagante violenza dello squadrismo fascista. Attorno a questa pagina importante della
storia italiana sembra sia caduta una congiura del silenzio; del resto il
fenomeno più vasto dell'arditismo e di quello che ha rappresentato nel crepuscolo dello stato liberale
è di ardua
interpretazione sia per l'eterogeneità di istanze di cambiamento che portò gli arditi su posizioni
contrapposte, sia
per il suo complesso intreccio con socialisti rivoluzionari, legionari fiumani, futuristi e quant'altro si muoveva
di ribellistico nel panorama di quegli anni. Merito di Marco Rossi è quello di non isolare l'esperienza
degli Arditi del popolo ma di tentare un primo bilancio
complessivo dell'arditismo, dalla nascita nella Grande Guerra come reparti d'élite, insofferenti alla
disciplina ed
alla gerarchia, fino a divenire vuota scenografia del fascismo. Eppure l'arditismo rappresenta uno snodo
fondamentale per capire le contraddizioni del primo dopoguerra, una
sorta d'imbuto delle tensioni ma anche delle speranze che agitarono la società italiana; stretta tra una
devastante
crisi economica, il mito della rivoluzione, le paure della borghesia ed un reducismo pronto ad ogni
avventura. Il fascismo fu un tardivo interprete dell'arditismo, certo, ne prese la camicia nera, i simboli, le
parole d'ordine
ma in ben altre situazioni gli arditi pesarono sul piatto della bilancia politica nazionale: dalle occupazioni delle
fabbriche nel biennio rosso all'impresa fiumana di D'Annunzio. A proposito della quale è necessario
ricordare
che essa non fu solo una bieca rivendicazione nazionalista, a mezza strada tra una farsesca signorìa
rinascimentale
e la prova generale del fascismo, fu anche e soprattutto un eccezionale laboratorio sociale che vide l'attiva
partecipazione di personaggi del calibro di Alceste De Ambris, uomo di punta del sindacalismo rivoluzionario,
di Giuseppe Giulietti, segretario della potente Federazione Lavoratori del Mare e del vivo interesse dello stesso
Malatesta. È da queste esperienze che muovono i primi passi gli Arditi del popolo, arrivando a
contare più di tremila
militanti nella sola città di Roma, grazie alla spinta organizzativa impressa da Argo Secondari, tenente
degli arditi
durante la guerra e di forti tendenze anarchiche, al quale non è stata mai resa piena giustizia se uno
storico dalla
autorevolezza di Paolo Spriano ancora lo classifica nella "Storia del Partito comunista italiano" come poco meno
che un provocatore della polizia. D'altronde già nell'agosto del '21 il PCd'I scomunicò, dopo
una prima convergenza, queste formazioni armate
che furono abbandonate, in tempi diversi, da tutte le forze politiche meno che dagli anarchici, spuntando una delle
risposte popolari più temute dagli squadristi. Probabilmente il fascismo sarebbe andato al potere
ugualmente ma
è altrettanto vero che la sua legittimazione, agli occhi dei suoi molti finanziatori, se la conquistò
sul piano
militare, spazzando via a suon di fucile e di bastone organizzazioni che contavano milioni di iscritti ma
assolutamente incapaci di opporre una benché minima resistenza organizzata. È interessante
notare come i momenti di crisi del giovane fascismo coincidano con le risposte di autodifesa
popolare di Sarzana, di Parma, di Bari che videro in prima fila l'arditismo popolare. Molti di questi
antifascisti, come ci ricorda Rossi, non si arresero all'instaurazione della dittatura ma continuarono
una lotta senza quartiere come gli anarchici Antonio Cieri, figura di primo piano nella difesa di Parma caduto nel
'37 in Spagna o Emilio Canzi, leggendario comandante partigiano.
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