Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 241
dicembre 1997 - gennaio 1998


Rivista Anarchica Online

Se siamo anarchici

Sul numero 240, novembre 1997, di "A Rivista Anarchica" ho letto una lunga lettera di Alfredo Mazzucchelli sulle vicende che hanno caratterizzato la vita di suo padre e sulle polemiche che le hanno accompagnate in campo anarchico. A differenza di altri compagni non ho avuto la sorte di conoscere Ugo Mazzucchelli nè ho mai partecipato alle polemiche a cui la lettera fa riferimento e, di conseguenza, ritengo di poter esprimere nel merito della lettera stessa un parere non viziato da troppi preconcetti.
L'argomento che sostiene lo scritto di Alfredo Mazzucchelli mi sembra abbastanza chiaro: una cosa sarebbe l'anarchismo come teoria politica generale ed un altra la concreta attività che gli anarchici conducono. Da questa tesi deriva la valutazione che, di fronte alle diverse questioni che ci troviamo ad affrontare, sarebbe più libertario regolarsi seguendo la regola del caso per caso che seguire ciecamente la teoria anarchica (sarebbe forse più corretto parlare di teorie anarchiche) come ci è stata tramandata.
La tesi in questione è effettivamente suggestiva, in quanto anarchici dovremmo disobbedire agli obblighi che l'anarchismo ci imporrebbe. Va detto che, se il problema si ponesse in questi termini, Alfredo Mazzucchelli avrebbe indubbiamente ragione. Non ritengo, però, che la via propostaci sia molto ricca di potenzialità innovative e questo per diversi motivi che cercherò di riassumere:
- in primo luogo una teoria politica, e in particolare quella anarchica che fa della sperimentazione un elemento cardine della propria esistenza, non è una fede religiosa ma un assieme di convincimenti di carattere generale che pretendono di essere verificabili e criticabili razionalmente. Se la teoria non rende conto dei fatti che pretende di spiegare, la teoria stessa è falsa e va abbandonata o, quantomeno, radicalmente corretta;
- in altri termini, se giungessimo alla conclusione che si deve difendere la repubblica italiana, che vi sono guerre a cui è opportuno dare il nostro appoggio, che il parlamentarismo è una via utile per la difesa delle libertà e dei diritti delle classi subalterne ecc. non diremmo nulla di scandaloso ma dovremmo concludere che l'anarchismo non ha alcuna ragion d'essere e potremmo, ad esempio, diventare dei democratici senza troppi problemi. Nei casi in questione, infatti, non si porrebbero in discussione aspetti magari importanti ma non fondanti della tradizione anarchica ma le sue stesse radici;
- se restiamo anarchici è perché riteniamo, al contrario, che non sia possibile affidare a coloro che detengono il potere il compito di garantire i nostri interessi e le nostre libertà e che, per dirla in una forma vecchia ma sempre attuale, che l'emancipazione del proletariato sarà opera del proletariato stesso o non sarà. Ritengo opportuno far notare che l'Internazionale non affermò affatto che il proletariato si sarebbe necessariamente emancipato ma che si sarebbe emancipato solo se avesse operato in questa direzione. Si coglieva, di conseguenza, una possibilità e non una legge della storia che si sarebbe realizzata a prescindere dall'azione degli uomini e delle donne coinvolti;
- questa tesi, che ritengo assolutamente ragionevole, ha delle conseguenze altrettanto ragionevoli dal punto di vista della pratica politica come, per fare un solo esempio, la critica radicale del parlamentarismo. Questa critica si traduce, di conseguenza, non nel fare dell'astensione elettorale un dogma e del voto un peccato, ma nello scegliere le forme d'azione che possono favorire l'emancipazione delle classi subalterne e, sempre per riassumere in una frase un'elaborazione secolare, l'azione diretta. Se qualcuno, poi, soffre per il fatto di non votare è opportuno che voti e, per parte mia, può votare tutti i giorni prima e dopo i pasti. Resta evidente che il movimento anarchico, in quanto soggetto politico, sociale e culturale, se facesse una scelta elettorale accetterebbe in pieno le regole politiche che pretende di combattere;
- se si passa, però, dal voto in generale al caso particolare del voto di Ugo e Alfredo Mazzucchelli credo sia opportuna un'ulteriore considerazione. Non mi risulta che alcun giornale abbia dedicato articoli al fatto, per fare un esempio immaginario, che il ragionier Rebaudengo di Torino si è recato a votare e che ha votato per il PPI. Se si è parlato della scelta di votare da parte di alcune persone è perché si tratta di individui noti come anarchici che hanno fatto una scelta, diciamo così, bizzarra o, se si preferisce, anticonformista. La scelta significativa non è stata tanto quella di andare a votare quanto quella di farne un caso giornalistico. Non capisco allora perché Alfredo Mazzucchelli si stupisca del fatto che degli astensionisti abbiano criticato una scelta e, soprattutto, una propaganda parlamentarista mentre si dovrebbe stupire, casomai, se fosse avvenuto il contrario. La stessa considerazione vale per la difesa della repubblica, per la posizione internazionalista, ecc.. A questo proposito, mi limito a far rilevare il fatto che non mi risulta che il popolo dell'Iraq sia stato liberato dalla tirannide che lo opprimeva e che, per attribuire ai bombardamenti americani un obiettivo del genere, è necessaria una fiducia nelle democrazie occidentali che un democratico liberale di vecchia data, di norma, non ha affatto;
- Alfredo Mazzucchelli nella sua lettera pone l'accento su di un presunto purismo degli anarchici che non vivrebbero i problemi della gente comune. Per la verità non ritengo che sia un nostro dovere il vivere immersi nel popolo, se qualcuno volesse e potesse darsi all'eremitaggio farebbe benissimo a farlo. Il fatto, però, è che tutti gli anarchici che conosco vivono normalmente, e senza che la cosa sia un problema, nell'ambito di ambienti non anarchici, svolgono un'attività lavorativa di un qualche tipo, sono afflitti dai mali comuni alla società, conducono
delle lotte, se ci riescono, con altre persone che non sono, di norma, anarchiche, ecc.. Certamente il movimento anarchico ha un'influenza limitata nell'attuale situazione ma le ragioni di questo dato sono, a mio parere, di tipo diverso da un presunto purismo. Certo, se appoggiassimo l'attuale ordine sociale, saremmo in maggioranza ma sarebbe una maggioranza diversa da quella che desideriamo e, quindi, ci tocca restare in minoranza che ci piaccia o meno. Se, poi, Mazzucchelli o altri vogliono porre l'accento sui difetti del movimento anarchico, hanno tutto il diritto di farlo e io stesso sono convinto che ne abbia molti ma certo non potrà liberarsene abbandonando l'anarchismo stesso;
- sulla questione del fascismo, infine, che molti siano convinti della necessità di una pacificazione è cosa nota e, per la verità, mi sembra che la discriminante antifascista sia stata abbandonata da molti che dell'antifascismo avevano fatto una bandiera, PDS in testa. Io credo che, in quanto rivoluzionari, noi siamo avversari del capitalismo e dello stato e che, di conseguenza, più che pensare a cercare una pacificazione con i fascisti dovremmo rompere la pace che ci viene imposta da tutti gli sfruttatori di destra e di sinistra. E, soprattutto, dovremmo ricordare che, se un qualsiasi movimento di emancipazione sociale importante si svilupperà, i fascisti non li troveremo nelle osterie a bere pacificamente con noi ma nelle piazze e sui posti di lavoro a combatterci così come troveremo tutti i difensori di questa società. Non è dunque per odio cieco verso gli avversari o per amor della violenza che dobbiamo rifiutare ogni pacificazione con i nostri nemici ma per un salutare istinto di sopravvivenza. Che, poi, non sia certo la violenza cieca o la ricerca dello scontro per lo scontro l'atteggiamento che ci deve caratterizzare credo sia evidente ma non mi risulta che i nostri compagni coltivino simili bestialità.

Cosimo Scarinzi (Torino)