Rivista Anarchica Online
La legge-truffa sulla "rappresentanza sindacale"
di S. d'Errico, P. Bettenzoli, G. Malabarba
Il Ministro per la Funzione Pubblica Bassanini, con il pretesto di assicurare la
legittimità della nuova
tornata contrattuale in scadenza in tutto il pubblico impiego entro la fine del '97, ha prodotto in realtà
un mostro giuridico. La "ratio" del ricorso al decreto sarebbe quella di far fronte al vuoto normativo
determinatosi in Italia,
in materia di rappresentanza, dopo l'esito dei referendum abrogativi delle vecchie norme: resta il fatto
che le nuove regole avrebbero dovuto tener conto del risultato referendario, che andava nettamente nella
direzione di una maggiore democrazia sindacale e del pluralismo sindacale. Le vecchie norme richiedevano
alle organizzazioni sindacali il raggiungimento della soglia del 5% dei
voti validi nelle elezioni di categoria, fino a qualche anno fa disposte nel pubblico impiego in tutti i
comparti: l'elezione dei Consigli di Amministrazione e nella scuola del Consiglio Nazionale della
Pubblica Istruzione e dei Consigli Scolastici Provinciali. Elezioni eliminate tranne che per la scuola. In
alternativa si chiedeva un numero di deleghe a riscuotere pari al 5% dei sindacati del settore. Queste norme
avevano valore sia sul piano nazionale che per il livello decentrato (provinciale e di
singolo ufficio/scuola). Chi non raggiungeva la soglia nazionale non era ammesso alla contrattazione
per la stipula del contratto collettivo di lavoro, se si raggiungeva la soglia a livello decentrato si era
ammessi solo alla contrattazione provinciale e decentrata ed al godimento dei relativi diritti sindacali.
Va segnalato che già tali norme vennero introdotte in Italia subito dopo la nascita del sindacalismo
alternativo, esploso a livello di massa con i "Cobas" sul finire degli anni '80. Vediamo invece cosa prevede
il decreto Bassanini, scritto insieme a CGIL, CISL e UIL, come
testimoniano le dichiarazioni di loro autorevoli rappresentanti nazionali. Un meccanismo elettorale farsesco
che impedisce la presentazione di un'unica lista per la
rappresentanza a livello nazionale, contemplando solo l'accredito di una lista per ogni ufficio/scuola
(15.000 sono ad esempio le istituzioni scolastiche). Verrebbero così elette "Rappresentanze Unitarie
del Personale" unicamente nei singoli luoghi di lavoro, titolate a trattare solo su questioni minimali e
sulle linee di contratti nazionali e provinciali già decisi altrove, rendendo impossibile a chi non possiede
i 3.500 distacchi sindacali concessi a CGIL, CISL e UIL di competere seriamente. Invece le elezioni
di categoria che si tenevano sino a qualche anno fa, come quelle che si tengono ancora nella scuola,
prevedevano nel pubblico impiego la presentazione di liste nazionali, oltre a quelle locali. La
percentuale di firme richieste, se è congrua alle singole unità amministrative, è
improponibile nell'ottica
di una sommatoria nazionale: per un comparto con un milione di dipendenti occorrerebbe la
sottoscrizione di almeno 20.000 lavoratori (poco meno della metà di quanto è richiesto per la
presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare, ma molto meno di quanto prevedono le
norme per le liste alle elezioni politiche che non chiedono certo il 2% degli aventi diritto). In realtà
sarebbe imbarazzante per CGIL, CISL e UIL essere costretti a far scegliere direttamente dai lavoratori
le delegazioni trattanti. Altrettanto imbarazzante per loro è competere apertamente, ad armi pari, con
altri sindacati per la rappresentatività nazionale: significherebbe passare dal monopolio al pluralismo.
Ma si sa, il "liberismo" vale solo in economia. Una soglia per il raggiungimento della
rappresentatività ancora al 5% ma come media fra i voti validi
riportati e gli iscritti al sindacato. In tal modo la soglia, anziché scendere (nel rispetto della
volontà
popolare a seguito del referendum) sale, perché la media su due parametri richiede di più della
percentuale secca solo su uno dei due. Se fosse adottato qualcosa di simile per accedere al Parlamento,
sarebbero ben pochi i partiti rappresentati e nessuno accetterebbe un computo spurio fra voti ed
iscritti. Questa soglia è prevista solo a livello nazionale e i sindacati che non la raggiungeranno
verranno
spazzati via pure dal piano decentrato anche se, come nel caso dell'Unicobas Scuola, hanno comunque
il 10% dei voti ed il 5% degli iscritti nell'ambito di numerose province o regioni. Paradossalmente un
sindacato potrebbe avere anche il 99% dei voti e delle deleghe in alcune regioni e non essere ammesso
a nessuna trattativa decentrata, anzi, venire cancellato. In Italia si introduce persino il federalismo
fiscale, ma il federalismo viene espunto dalla democrazia del lavoro. L'unica possibilità di
sopravvivenza del fattore della rappresentatività a livello decentrato, prevista solo per un anno "in prima
applicazione", è legata al requisito dell'affiliazione diretta di almeno il 10% dell'intera forza lavoro, cosa
che in una zona di bassa sindacalizzazione come il pubblico impiego non è data neanche a CGIL, CISL
e UIL. Se una percentuale analoga fosse richiesta per entrare in un consiglio comunale, calcolando il
dato fisiologico di astensione, vi entrerebbero solo partiti con almeno il 17% dei voti validi e nessuno
per numero di iscritti. (...) Il golpe Bassanini, vero e proprio codice Rocco della rappresentanza sindacale,
mentre pone
un'imprescindibile urgenza di impegno alle forze politiche e sociali sensibili alle questioni di
democrazia del lavoro, richiama all'unità il sindacalismo di base. Non solo all'unità nella lotta,
ma anche
nel progetto. Un progetto che sappia valorizzare i percorsi sin qui seguiti e mettere a frutto le differenze,
intese come ricchezza di prassi, intuizioni e capacità espressi da segmenti delmondo del lavoro non
"normalizzati", sfuggiti al giogo della contrapposizione fra pubblico e privato ed all'omologazione del
"pensiero unico", capaci di autogestire percorsi di lotta e di organizzazione stabili e non episodici. In
tutto ciò il "patto tecnico" per la rappresentanza, passo oggi possibile e da noi avanzato, esclude tanto
la tentazione di "affiliazioni d'ufficio" quanto "scorciatoie" opportunistiche che possano anche solo
lontanamente contaminare la ricchezza del sindacalismo di base con la povertà strutturale di quello
autonomo e corporativo, strada pericolosa intrapresa dalle RdB-CUB tramite accordi con tali settori.
Stefano d'Errico
(Unicobas)
Piergiuseppe Bettenzoli
(SdB)
Gigi Malabarba (SinCOBAS)
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