Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 242
febbraio 1998


Rivista Anarchica Online

Contro la tecnologia

Ho accolto con piacere l'intervento di Marco Cagnotti, pubblicato nel numero dello scorso febbraio nello spazio della sua stessa rubrica "Libera rete". Ciò perché, trattandosi di una rubrica di carattere tecnico-pratico, rivolta per lo più ad un pubblico interessato all'uso delle reti multimediali, considero positivamente che il curatore abbia scelto di uscire dagli schemi propri di quello spazio, per accettare il confronto con quanti si pongono criticamente riguardo allo spazio, per accettare il confronto con quanti si pongono criticamente riguardo internet e, più in generale, alle nuove tecnologie. Aggiungerò che attendevo che sulle pagine di A potesse nascere un dibattito sull'argomento che, mi auguro, possa allargarsi e approfondirsi. Entrando nel merito, Marco Cagnotti mette in guardia dagli estremismi, sia da parte degli adoratori del computer e di Internet, sia da parte degli antitecnologici a oltranza. Il che mi lascia d'accordo, in via di principio, in quanto non sopporto gli assolutismi e I dictat da qualsiasi parte provengano. Anche se non credo si possano ridurre senza problemi posizioni come quelle cyberpunk a semplici mitizzazioni romantiche, o I variegati movimenti eco-alternativi, neopagani, neoluddisti, o via discorrendo a soli sognatori bucolici. La realtà e le ragioni di ogni diversa posizione hanno radici profonde, che non vanno banalizzate.
Per il resto il discorso di Marco è semplice e chiaro: la tecnologia in sé è solo un mezzo e "l'essenziale è saper scegliere il mezzo più adatto allo scopo che si vuole ottenere e al pubblico che si vuole raggiungere ". Quindi il fine dovrebbe regolare il mezzo, come ho avuto modo di sottolineare nel mio precedente intervento. Ma qui Marco intende il mezzo come quello più adatto ad esempio a informare o a far circolare le proprie idee. In tal senso, è ovvio, Internet è adattissima, almeno entro i suoi limiti attuali in cui viene azzerato il tempo o quasi e i referenti sensoriali sono limitati a vista e udito; limiti che peraltro la ricerca sulla realtà virtuale sta già rapidamente colmando.
Ma se consideriamo il mezzo anche come eticamente legato al fine che si vuole raggiungere, qualche piccolo problema in più, qualche dubbio, possiamo porcelo. E infatti anche Marco se lo pone, quando dice: "La tecnologia in sé non è né buona né cattiva. Dipende dall'uso che noi facciamo in essa. Dipende soprattutto, se siamo noi a usare lei o lei a usare noi".
Pur adombrando questo dubbio, Marco però non lo dipana: parla diffusamente di come possiamo usare la tecnologia, ma tace di come essa possa usarci. Il discorso che io voglio sollevare è invece proprio questo. Metto in dubbio la presunta neutralità tecnologica: in che senso si considera neutro, cioè eticamente irrilevante, il computer, strumento che invece incide in un certo senso nella realtà di ogni giorno, trasformandoci, modellandoci, usandoci, forse. Un attimo, ma siamo noi stessi ad aver creato il computer, come potremmo essere usati da lui? (Scusate il lui umanocentrico).
Ci sono alcune caratteristiche intrinseche nella tecnologia, intesa almeno come tecnologia dalla rivoluzione industriale ad oggi, che ne fanno sempre più un soggetto anziché un oggetto nelle relazioni umane.
Cercando di essere sintetici:
1 - La tecnologia crea adattamento.
L'uomo si adatta per natura alle nuove invenzioni, sempre che non si senta snaturato da esse. L'esempio lampante è quello delle etnie tribali che resistono all'invasione tecnologica, se riescono, perché sanno che essa ha il potere di annientare la loro cultura. Può darsi che questo effetto violento semplicemente non venga percepito da noi, uomini/ donne tecno del Primo Mondo o Secondo che sia, perché precedenti livelli tecnologici ci abbiano preparati, in qualche modo desensibilizzandoci.
Adattamenti tipici sono quelli della persona all'automobile, con tutta la psicopatologia del caso e la tragedia sommersa e normale delle morti sull'asfalto, l'inquinamento dell'aria e della mente e via dicendo; oppure quello della gente alla televisione, che nella massa raggiunge livelli paradossali di coinvolgimento ed introiezione, che sono gli stessi meccanismi ben noti ai pubblicitari. C'è già, soprattutto in America del nord, un'ampia casistica di casi di disturbi psichici derivati da un ossessivo uso del computer, che in determinati soggetti diventa quasi esclusivo, divenendo quasi sostituzione della realtà.
2 - La tecnologia perpetua se stessa. Ogni nuova invenzione ha sempre portato a degli adattamenti, però soprattutto adesso gli adattamenti devono essere più veloci. È cambiato il ritmo. Ogni nuova invenzione crea la strada per la successiva, formandone i presupposti necessari. Così con tutte queste considerazioni non voglio negare l'importanza che, nel breve periodo, Internet non possa costituire un'occasione di scambio di idee a distanza dagli aspetti anche positivi. Il problema che mi pongo è di cosa questo faccia parte e di dove ci possa portare. O ancora, di cosa ci deprivi.
Così non possiamo fare a meno di nuove tecnologie che rimedino ai limiti delle precedenti cui già abbiamo adattato la nostra economia e la nostra cultura.
Ciò è quanto porta al detto: il progresso è inarrestabile. Non si possono fermare le macchine, ma non si può neppure andare al minimo, di rallentare non se ne parli, si può giusto discutere se siano leciti dei limiti all'accelerazione.
3 - La tecnologia tende ad essere sostitutiva della realtà.
Ogni nuova tecnologia ci ha sempre deprivato di qualcosa. La polvere da sparo ha tolto al cacciatore l'animalesca tensione dell'arco che lo riavvicinava alla preda; la lampadina ha fatto le prove generali per la sostituzione della luce solare. Pacificamente parliamo di luce naturale e artificiale, senza porci molti perché. Anche il televisore di casa emana luce, così come lo schermo del computer. Per quanti queste luci sono già oggi sostitutive di quella naturale? Tutti noi siamo deprivati sensorialmente, perché un palazzo ci occlude la vista sul mare, o perché stiamo troppo a lungo chiusi in edifici o macchine, il bambino riconosce le piante sullo schermo ma non le ha mai incontrate. Pian piano la tecnologia può sostituire larghissime realtà, con rischi dittatoriali di tipo orwelliano.
Con questi spunti rischio forse di mettere troppa carne al fuoco, ma mi sforzo di riassumere i miei pensieri.
La tecnologia ci sta allontanando dalla natura. C'è chi sostiene che la catastrofe ecologica sia già innescata e che le innovazioni scientifiche tendano già a preparare un dopo vivibile, una sorta di "day after" ipertecnologico, in cui sia contenuto tutto il testamento della terra. Ma dalla natura ci siamo già allontanati: il processo è circolare. Che questo sia vissuto come male o come bene fa parte delle differenze umane, forse più di carattere che di opinione, così come dall'etica, che è comunque umana. È importante ammettere questo, ma anche tenere conto dello stretto rapporto fra scienza, tecnologia e potere, sia negli aspetti di produzione (automazione, manipolazione genetica) che di che di controllo della comunicazione (se tutto passa attraverso la macchina è più facile trovare prima o poi il modo di controllarlo; oppure, proprio perché passa attraverso la macchina è solo un punto già previsto).

Carlo Bellisai
(Capoterra - Ca)

Interessanti le osservazioni di Carlo, ma... manca la risposta a una domanda essenziale: che fare? È evidente che la rapida diffusione della tecnologia su larga scala pone problemi gravi. Resta tuttavia da decidere come risolverli. Rifiutandola in blocco? Spostandosi a piedi invece che in automobile? Scrivendo a mano invece che con il computer? Tornando ai segnali di fumo al posto di Internet? Ma non sono forse "tecnologia" anche le suole delle scarpe, la penna a sfera e il fuoco che usiamo per produrre il fumo? Dove vogliamo porre il limite? E perché proprio lì e non un po' più indietro, o un po' più avanti?
Che ci piaccia o no, è in questo mondo tecnologizzato che ci tocca vivere e agire per diffondere il pensiero e la pratica libertari. E il mondo va avanti per i fatti suoi, con il computer e la televisione, con le automobili e gli aerei, con il telefono e la posta elettronica. Rinunciare ad usarli significa rinunciare alla possibilità di interagire in maniera costruttiva e proficua con persone e contesti che vadano al di là del quartiere in cui viviamo. Che, onestamente, mi sembra un po' poco.
Come anarchici, siamo sensibili allo stretto legame fra i mezzi e i fini. Nessun mezzo è eticamente neutro. La sua rilevanza etica sta nel mezzo stesso ma anche nell'uso che noi ne facciamo, nell'attenzione che manteniamo desta nel servircene. Attenzione all'assuefazione e all'abitudine. Attenzione ai danni possibili a noi stessi e all'ambiente che ci circonda. Attenzione alle rinunce e alle deprivazioni. I rischi che tu paventi sussistono, ma rinunciare alla tecnologia tout court per evitarli è una soluzione che reca più danno che giovamento.
Specialmente se conserviamo sempre la consapevolezza sia di ciò che stiamo facendo che del modo in cui lo facciamo, dei mezzi che adoperiamo e dei loro limiti. I questo senso, e solo in questo, siamo noi che dobbiamo usare la tecnologia, e non lei che deve usare noi. Per non dimenticare mai il nostro ruolo di artefici.
Saluti libertari...

Marco Cagnotti