Rivista Anarchica Online
Dibattito teatro
Continua il dibattito sullo stato del teatro, fra attese più o meno disilluse della
nuova legge e marginalità non
sempre scelta dei molti teatri "fuori legge". Dopo l'articolo di Cristina Valenti, che ha dato avvio alla
discussione (Lasciate che il vento soffi, "A" 238), sono intervenuti Alessandro Lay, attore ed organizzatore del
Cada Die Teatro di Cagliari ("A" 239) e quindi i rappresentanti di tre realtà bolognesi: Fulvio Ianneo del
Teatro
Reon, Stefano Pasquini del Teatro delle Ariette, Chiara Sorgato del Baule ("A" 240). Lo scritto che segue porta
la firma di Eugenio Ravo, artista conosciuto ai lettori di "A", che recentemente ha dovuto lasciare Bologna,
città
nella quale per molti anni ha lavorato dando vita ad interessanti esperienze di autogestione teatrale, per cercare
altrove la possibilità di proseguire la sua ricerca artistica. La sperimentazione di nuove
forme di organizzazione come necessità vitale per il teatro emergente, il processo
di "normalizzazione" del quadro istituzionale, la necessità di trovare nel teatro un ambiente che
corrisponda alla
vita e alle passioni di chi lo abita; la sfida alle norme e alle strettoie burocratiche da parte di chi intende usarle
anziché esserne omologato, e da parte di chi sceglie di stare fuori, di sottrarsi al panorama riconosciuto
per dare
vita a modalità alternative, magari invisibili ma vitali e necessarie: questi i temi diversamente affrontati
in un
dibattito che ci auguriamo possa proseguire.
Da "Lasciate che il vento soffi" a "Lasciate che la tempesta li inghiotta"
La vita creativa regolata da leggi. La legge sul teatro serve solo a legittimare la realtà già
esistente, essa regolerà chi mangia e chi non mangia,
regolerà il lavoro creativo riconosciuto, dai circuiti teatrali dell'ETI a quelli dei festival, ai teatri stabili,
ai centri
di produzione. E il lavoro creativo non riconosciuto, perché non è a norma delle regole prescritte
(SIAE - Agibilità
etc...), che è visibile solo in luoghi anomali e rappresenta il lavoro al nero, con la legge sul teatro
diventerà
"giallo"? La politica teatrale è vissuta fino ad oggi alla mercè di chi più si
accaparrava, con formule alternative: dalle
amicizie alle conoscenze politiche del momento e dalla buona simpatia di un magnate assessore alla cultura. Oggi
la legge riconosce chi di fatto ha fatto (nel senso che ha edificato); gli altri sono semplicemente emarginati e
continuano a svolgere attività nel sottobosco. Cosa è più opportuno avere? Un vigile
che tuteli il patrimonio culturale artistico o una serie di poliziotti che
stabiliscono secondo poteri forti o deboli chi apparterrà a questa legge? E la SIAE nemmeno a
nominarla - e chi la tocca? Mamma mia! Non sono amico né nemico delle leggi, ma credo che esse
debbano solo dare degli orientamenti e non proporre
come e chi deve avere le possibilità di creare. Perchè non perseguire tutti i grandi nomi dello
spettacolo, anche fiscalmente, perchè così la smettono un po' di
accaparrarsi denaro pubblico? Questi burloni delle istituzioni che usufruiscono di tutte le strutture e dei beni
dello Stato: non cambia niente per
tutti questi privilegiati? IMPORTANTE Il disegno di Legge Veltroni, nel suo Art. 1 (principi generali),
inizia così: "Il Teatro di Prosa quale mezzo di espressione artistica e di promozione culturale,
costituisce aspetto
fondamentale della cultura nazionale." ...Se già si inizia così, immaginiamo come
sarà tutta un'illusione il resto. Perchè si continua a parlare sempre di Teatro di Prosa? - bla
bla bla - Non sarebbe ora di star zitti e lasciar parlare
il corpo? Il teatro non è tutto prosa: sono sempre le parole che contano? Il Teatro è fatto da tanti
teatri e non dalla
dittatura verbale. E' come voler affermare che il morto è morto! Vorrei poter vedere altri colori nella
parola teatro,
vorrei che si difendesse un patrimonio e non si stabilisse per legge il predominio della
parola. Osservazioni: 1° punto: Lo stato delle cose del mondo teatrale così com'è non
va. Se va, va troppo bene per pochi (ma questi
si lamentano lo stesso) quindi non va. C'è sperpero di denaro pubblico e tanta ignoranza in materia. 2°
punto: Se la legge deve solo regolare il traffico dello stato delle cose, essa è solo un danno maggiore
(cioè un
cancro che non si cura più) perchè non apporta alcun cambiamento alla mentalità
culturale vigente. E' come dire:
chi ha avuto ha avuto e chi è dannato è dannato, scurdammece dò passato, siamo tutti
democristiani paesani. 3° punto: Il teatro non è l'edificio centrale che da ETI si chiamerà CNT
con i vari stabili delle città e i centri di
produzione, dove tutti saranno riciclati dalle nuove denominazioni, purchè si faccia vedere che il cambio
è
avvenuto. Credo che una legge, se ci deve essere, debba spingere a far sì che il sommerso sia in
qualche modo sostenuto e
che la mediocrità sia combattuta con rigorosità e serio impegno. E' difficile potersi esprimere
su una legge del teatro così com'è, perchè essa non contempla nemmeno quella fetta
di mondo non vista fino ad ora. Di cosa si parla se è già tutto fatto? Le infinite realtà
di piccole compagnie che fanno lavoro sul territorio da buoni militari e militanti (in bene e in
male) chi se le caca? 4° punto: Può una legge non tenere conto della mentalità arretrata e
conservatrice del teatro? E per finirla: come tutto sa di vecchiume, ed è appena nuovo.
Eugenio Ravo (Ascoli Piceno)
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