Rivista Anarchica Online
La via egiziana al socialismo
di Fabio Marnieri
Sul controverso tema delle rivoluzioni nazionali nel terzo mondo un'originale e interessante ipotesi: i
militari sono nei paesi sottosviluppati il nucleo di formazione della nuova classe dirigente
tecno-burocratica.
In seguito alle grandi nazionalizzazioni del 1960-61 e quindi alla
sempre maggior importanza che viene
ad assumere il settore pubblico della economia (1), si è formata in Egitto una nuova classe
dirigente, i cui
quadri superiori - ministri, dirigenti degli enti pubblici, ecc. - sono nominati direttamente dal capo dello
stato. Questi dopo il 1952, ma soprattutto dal 1961 in poi, non sono più di formazione giuridica
francese,
ma sono generalmente tecnici specializzati - economisti ed ingegneri - di formazione anglosassone,
provenienti cioè dalla London School of Economics and Political Science, da
Harvard, dal Mass.
Institute of Technology, ecc., come ad esempio i membri dell'equipe ministeriale civile costituita
il 18
ottobre 1961, e come i quadri dirigenti dell'Organismo Economico. Prima delle nazionalizzazioni
soltanto una piccola parte degli attuali quadri dirigenti era impiegata come
dipendente dello Stato, mentre la maggior parte di essi costituiva l'insieme dei quadri medi delle industrie
e delle società del settore privato, essendo le responsabilità della dirigenza affidate ai
maggiori azionisti
stessi e ai loro diretti delegati; questi, allontanati dai loro incarichi in seguito alle misure economiche del
'60-'61, vengono appunto rimpiazzati da quei tecnici che costituivano i quadri medi del settore privato,
i quali vengono così dislocati a svolgere i ruoli chiave nei consigli di amministrazione dei vari enti
pubblici. I militari sono consapevoli di questo nuovo tipo di potere derivato, anziché dal
possesso dei mezzi di
produzione, dal possesso delle conoscenze scientifiche e tecniche, e pertanto si cautelano in due modi:
in primo luogo esercitando su questa "nuova classe" un costante e rigoroso controllo, secondariamente
favorendo l'accesso alle università di giovani ufficiali destinati a far parte dei quadri direttivi
dell'economia, e istituendo a tale scopo una nuova facoltà Tecnica Militare, i cui
corsi della durata di sette
anni formano ufficiali di professione e nello stesso tempo degli ingegneri civili; e in effetti il numero degli
ufficiali che hanno conseguito la laurea è costantemente in aumento. Il potere dei militari
è basato su due peculiarità che li caratterizzano come gruppo sociale: innanzi tutto
in base alla legge è loro riservato, e a loro soltanto appunto in quanto militari, il monopolio delle
armi,
secondariamente essi hanno il quasi totale monopolio della cultura superiore, in modo diretto
appunto,
per il fatto che molti di essi sono laureati, in modo indiretto poiché esercitano un
accurato controllo sulla
tabakat al-mudirin (la classe dei direttori), e per le grandi possibilità di selezione
che essi hanno a livello
scolastico. L'Egitto, come del resto tutti i paesi in via di sviluppo, è notoriamente un paese
economicamente
arretrato: il suo reddito medio pro-capite è molto basso se confrontato a quello di un qualsiasi
paese
industrializzato (sebbene altri paesi africani abbiano redditi pro-capite ancora più bassi) e fino
al 1952
la maggior parte del reddito nazionale proviene dall'agricoltura, il cui prodotto però è
nettamente
insufficiente al fabbisogno della popolazione. La via generalmente imboccata, a livello governativo, per
uscire da tale condizione di sottosviluppo, è quella dell'industrializzazione: la creazione di
un'industria
nazionale con tutte le conseguenti modificazioni strutturali della società, dovrebbe cioè
portare ad un
innalzamento del tenore di vita delle popolazioni di questi paesi. Tralasciando volutamente il lungo
discorso circa le effettive possibilità di ottenere un miglioramento delle condizioni di vita di tutta
la
popolazione attraverso la creazione di un'industria nazionale, insieme a quello circa le effettive
possibilità
della creazione stessa di questa industria (2), sta di fatto che moltissimi nuclei dirigenti di paesi in via di
sviluppo (compreso quello egiziano) attuano, secondo modalità differenti, una politica di
industrializzazione (3). I militari sono in Egitto (e non solo in Egitto) la forza politica che, per formazione
ideologica e culturale e provenienza sociale, meglio tra tutte le altre è in grado di assumersi
l'onere e la
direzione di tale movimento di rammodernamento delle strutture della società; il loro compito
inoltre è
reso più facile dal fatto che essi oltre ad avere il monopolio delle conoscenze tecnico-scientifiche,
hanno
anche quello delle armi, il che permette loro di eliminare con relativa facilità le forze politiche
arcaiche
che si oppongono al movimento rinnovatore di cui essi costituiscono l'elemento motore principale, grazie
appunto all'insieme delle conoscenze che detengono. Mentre in occidente la presa di potere (direttivo
e decisionale) da parte dei tecnocrati avviene
gradualmente, man mano cioè che i metodi di produzione e di organizzazione della produzione
si
complicano sempre più, tant'è che tale situazione in certi casi non è ancora stata
istituzionalizzata, in
Egitto (e in altri paesi a struttura sociale simile) l'avvento della tecnocrazia avviene parallelamente alla
presa di potere da parte dei militari, poiché i tecnocrati sono appunto gli stessi
militari. Pertanto la nuova élite dirigente egiziana è costituita da
militari-tecnocrati. L'attività svolta dai militari al potere in Egitto può a questo punto
essere schematizzata in tre fasi. La
prima, che va dal 23 luglio 1952 sino alla crisi di Suez nel 1956, è una fase di lotta
per l'indipendenza
territoriale della nazione egiziana, e per l'assunzione del potere politico, il che avviene grazie alla
supremazia attribuita al Consiglio Direttivo della Rivoluzione (il massimo organismo
politico e militare
egiziano) e attraverso la creazione del partito unico che in questo primo periodo è l'Unione
della
Liberazione (4). La seconda, compresa tra il 1956 e il 1961 (l'anno delle grandi
nazionalizzazioni), è caratterizzata da un
ulteriore allargamento del potere politico detenuto dai militari, dalla sempre crescente importanza assunta
dallo stato nei principali settori dell'economia, ed infine dalla ricerca di contenuti ideologici tali da
legittimare la situazione di fatto. Nella terza fase, ancora in corso, lo stato nazionale
è ormai indipendente
ed ha assunto praticamente tutto il potere decisionale ad ogni livello (politico, economico, culturale,
ideologico); lo stato cioè dirige oggi la maggior parte delle strutture della società
egiziana. Ma lo stato non è una entità astratta, o perlomeno non lo sono le persone
che ne sono alla direzione. In questa terza fase i militari gestiscono ormai l'insieme delle strutture
della società; il gruppo dirigente
egiziano ha raggiunto, o sta raggiungendo, alcuni degli obiettivi che si era prefisso al momento del colpo
di stato, il più importante dei quali era l'indipendenza nazionale (5). Anche in campo
economico gli interventi statali hanno dato certi risultati, e cioè il reddito medio pro-capite
è aumentato in una certa misura, la disoccupazione è diminuita, il livello di vita degli
egiziani cioè,
ha subìto delle modificazioni in senso positivo (6). Il problema principale è
comunque un altro; cioè, prima che economico è un problema politico. A questo
punto infatti, sembra avere poca importanza riuscire a determinare se l'attività economica svolta
dai
militari è tale da conseguire gli obiettivi prefissati o meno, mentre, al contrario, sembra averne
moltissima
stabilire se le modificazioni delle strutture sociali apportate dagli Ufficiali Liberi sono effettivamente la
rivoluzione che essi dicono di avere fatto. Le masse popolari, in nome delle quali l'azione è
stata svolta, sono rimaste isolate dal potere decisionale
politico, pur prendendo parte al dibattito in corso. Non si può certo parlare di rivoluzione,
poiché il rapporto di potere esistente in precedenza tra la grande
borghesia terriera e la casa reale da un lato, e le masse popolari dall'altro, non ha subìto, dopo
il 23 luglio
1952, alcuna modificazione a vantaggio di queste ultime; a quasi vent'anni dal colpo di stato, al
capitalismo privato si è oggi sostituito il capitalismo di stato, e il fatto che si sia raggiunto un certo
miglioramento delle generali condizioni di vita della popolazione (inadeguato, tra l'altro, alle reali
necessità
del paese), sta ad indicare nient'altro se non che chi detiene il potere oggi è più avveduto
di chi l'ha
preceduto, poiché intende garantirsi l'esistenza come gruppo dirigente mediante formule politiche
più
moderne, più razionali, più efficienti. Ma il rapporto di in uguaglianza sempre
esistente tra chi detiene il potere e chi lo subisce, rimane tuttora
alla base della società egiziana. La "rivoluzione" degli Ufficiali Liberi non ha pertanto nulla a che
vedere
con la lotta egualitaria per l'emancipazione degli sfruttati. La sera del 26 gennaio 1952 l'esercito
egiziano comprende di dominare il paese, ed è proprio in questo
momento, in cui è richiesto il suo intervento, che il colpo di stato ha inizio. Quando cioè
l'esercito è
chiamato a ristabilire l'ordine, il movimento militare è in marcia, e i militari si trovano lanciati in
questa
avventura senza averne preparato le basi autenticamente rivoluzionarie, supposto che, come militari,
avessero potuto prepararle. Una volta al potere, essi sono portati a ristabilire nell'organizzazione statale
la gerarchia che hanno conosciuto nell'esercito, in quanto confacentesi perfettamente ai loro ideali di
efficienza, e questo fa sì che, nel momento in cui decidono di associare le masse ai loro
programmi, non
possono dare loro che una libertà molto limitata. In Egitto si è giunti a questa situazione
quando Nasser
in diverse occasioni ha voluto dare alle masse dei mezzi di espressione, e ogni volta il potere militare
è
intervenuto per ristabilire lo status quo (7), poiché nel momento in cui le masse
prendono coscienza di
sé, è la fine per il movimento militare (8). Sembra pertanto il caso di parlare, più
che di rivoluzione, di
colpo di stato vero e proprio. I membri del corpo degli ufficiali provengono generalmente dalle classi
medie (9); la professione militare
però, non costituisce un rifugio per coloro i quali sono stati allontanati dalla gestione del potere
dal
progresso tecnologico, intraprendere la carriera militare, cioè, non rappresenta una scelta di
ripiego, ma
piuttosto la via sociale per una classe in fermento che aspira a sottrarre il potere all'aristocrazia terriera
e alla borghesia compradora (10); entrare a far parte dell'esercito significa pertanto avere davanti a
sé una
nuova possibilità di emancipazione sociale, poiché ciò consente di acquisire gli
strumenti teorici e pratici
per essere in grado di abbattere quelle strutture sociali tradizionali divenute ormai anacronistiche. Il
corpo degli ufficiali tende però a formare una classe chiusa, altrettanto lontana
dalle masse popolari
quanto l'aristocrazia terriera. In Egitto la casta militare si rinnova attraverso il reclutamento dei suoi
membri sempre nei medesimi
ambienti sociali; si assiste frequentemente alla promozione di ufficiali, o semplicemente all'ingresso nel
corpo di persone che sono nipoti, cugini, o comunque parenti di altri ufficiali, i quali entrano così
a fare
parte di un esercito che si installa e si sviluppa quasi come una casta, e che ha il controllo di tutti
quei
mezzi atti ad impedire alle masse di giungere a recuperare realmente ciò che spetta loro
di diritto (11). La classe politica militare egiziana è una classe chiusa anche in relazione ad
un altro fatto: i militari cioè,
hanno il monopolio delle conoscenze tecnico-scientifiche (12). Questo significa che nel momento in cui
essi rinnovano i propri quadri con elementi sempre provenienti dai medesimi ambienti piccolo-borghesi,
il possesso della cultura superiore rimane privilegio sempre della medesima classe sociale, la quale poco
alla volta si isola, forte inoltre, man mano che la moderna tecnologia progredisce, del potere derivato,
appunto, dal possesso di quel tipo di sapere. E l'enorme apparato burocratico, come l'Unione Socialista
Araba, questo imponente quanto inefficiente partito unico, altro non è che un disperato tentativo
di
illudere le masse popolari circa la loro effettiva partecipazione alla vita nazionale, di rimediare in qualche
modo alla impossibile integrazione in un sistema sociale che è loro completamente estraneo,
poiché non
è il frutto della loro lotta autenticamente proletaria ed autenticamente rivoluzionaria, ma è
stato loro
imposto da una élite di militari piccolo-borghesi (13) dalle ispirazione tecnocratiche. Pertanto
il giudizio di valore che, giunti a questo punto, non si può fare a meno di dare sulla nuova classe
politica egiziana, è senz'altro negativo, perché se hanno un senso la libertà e
l'uguaglianza, non pare
proprio che, durante questi suoi primi 19 anni di vita, essa abbia concentrato i suoi sforzi in questa
direzione.
Fabio Marnieri
(1) In base al decreto presidenziale del 16 dicembre 1961, le 367 società
esistenti vengono suddivise in
38 enti pubblici, dipendenti da 13 ministeri e sottoposti al controllo del Consiglio Supremo
degli Enti
Pubblici, presieduto dal capo dello stato. (2) Uno studio molto approfondito circa le effettive
possibilità di creare un settore industriale realmente
produttivo nei paesi sottosviluppati è costituito da: R. Nurhse, La formazione del capitale
nei paesi
sottosviluppati, Torino 1965. (Tr. it.) Einaudi. (3) Un caso a parte è costituito dalla
Tanzania, il cui presidente M. J. Nyerere tende a concentrare le
energie nazionali nello sviluppo di una agricoltura razionale piuttosto che nell'industria. Cfr. "The Arusha
Declaration" (5 febbraio 1967). (4) L'Unione della Liberazione verrà sostituita
nel 1957 dall'Unione Nazionale, disciolta a sua volta nel
1963 perché "vi si annidava la reazione". Il nuovo partito unico che viene immediatamente
costituito è
l'Unione Socialista Araba, i cui principali dirigenti sono i membri del vecchio
Consiglio Direttivo della
Rivoluzione e dell'apparato dirigente politico militare. (5) Il problema dell'indipendenza dei
paesi del Terzo Mondo evidentemente non consiste solo nella
presenza o meno di truppe straniere sul territorio nazionale; è noto infatti che i paesi
neo-colonialisti
hanno oggi adottato nuovi metodi di sfruttamento delle loro ex colonie, il primo dei quali è
l'asservimento
economico di queste alla ex madre patria o a chi l'ha sostituita. Esiste sull'argomento una abbondantissima
letteratura; tra i testi presi in esame ricordiamo Pierre Jalee, Il saccheggio del Terzo
Mondo, Jaka Book,
Milano, 1968; P. A. Baran, Il "surplus" economico e la teoria marxista dello sviluppo,
Milano, 1962;
Hamza Alavi , Imperialism old and new in the Socialist Register, London, 1964. (6)
Va ricordato che fra gli studiosi dei problemi economici egiziani esiste una divergenza di opinioni
circa l'effettivo e reale miglioramento dell'economia egiziana, almeno durante i primi dodici anni del
regime nasseriano, e circa l'efficienza degli interventi economici attuati dai militari per risolvere i difficili
problemi dell'Egitto sottosviluppato. Tra gli studi pessimisti va ricordato anche di Hassan Riad,
L'Egypte
Nassérienne, Paris, 1964. (7) Si intende fare riferimento alle repressioni del 1952,
1954 e 1959 contro i sindacalisti e gli intellettuali
di sinistra; che vengano tolti i mezzi di espressione alle masse popolari cioè, è vero nella
misura in cui
viene impedita l'azione di quei quadri che portano avanti le loro rivendicazioni e sostengono la loro
lotta. (8). Cfr L. Hamon (a cura di), Le role extra-militaire de l'armée dans le Tiers
Monde, Paris, 1966. (9) Per classi medie si deve qui intendere non tanto i piccoli
commercianti o gli artigiani, ma piuttosto la
piccola borghesia burocratica fatta di piccoli funzionari, impiegati, ecc., insieme agli studenti,
cioè coloro
che stanno acquisendo le cognizioni necessarie per svolgere, successivamente, appunto quel tipo di
incarichi burocratici. (10 ) Cfr. P. A. Baran, op. cit., p. 210 dove viene definita la
borghesia compradora: "C'è prima di tutto,
un gruppo di mercanti che si espande e prospera nell'orbita del capitale estero. Sia che costoro agiscano
come grossisti - raccogliendo, selezionando e standardizzando le merci che acquistano dai piccoli
produttori e vendono ai rappresentanti delle società estere - sia che agiscano come fornitori di
materie
prime locali alle imprese estere, o comunque incaricati della soddisfazione di vari altri bisogni delle
imprese estere e del loro personale, molti di essi cercano di ammassare grandi fortune e di giungere al
vertice stesso della classe capitalista dei paesi sottosviluppati. Poiché derivano i loro profitti dalle
attività
dell'iniziativa estera e sono vitalmente interessati alla sua espansione e alla sua prosperità, questi
elementi
compradores della borghesia indigena usano la loro considerevole influenza per rafforzare e
perpetuare
lo status quo". E più avanti a p. 271: "Gli elementi compradores non
soltanto ricevono aiuti finanziari
per consolidare la religione e svolgere le loro attività politiche, ma ricevono anche assistenza
militare
diretta nella lotta che essi conducono contro i loro popoli sempre più insofferenti. In un numero
sempre
maggiore di paesi i regimi basati sulle forze reazionarie devono la loro esistenza a questi aiuti, che
giungono dall'occidente imperialista". (11) Cfr. L. Hamon, op. cit. (12) Per
conoscenze tecnico-scientifiche si deve qui intendere, come del resto è già stato osservato
in
precedenza, quell'insieme di conoscenze che permettono di organizzare e fare procedere la produzione,
oltre che la gestione delle strutture politico-sociali. Non si tratta cioè soltanto di ingegneri, fisici,
scienziati,
ma anche di economisti, esperti di finanza, manager, ecc. (13) "Piccolo-borghese" va
qui inteso nel senso che questo termine assume nel contesto dei paesi del
Terzo Mondo, e non nella sua accezione comune. (14) Cfr. Il "socialismo scientifico" proposto dai
militari nella Carta di Azione Nazionale, del maggio
1962.
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