Rivista Anarchica Online
La rivoluzione degli studenti
a cura della Redazione
È un fatto indiscutibile che le scuole, universitarie e medie
superiori, siano diventate in questi ultimi
anni ciò che si suole chiamare il centro della contestazione al "sistema". Da esse è partita
e parte
tuttora una serie di attività (lotte politiche, indicazioni ideologiche, ecc.) che si presentano come
rivoluzionarie. Questo fatto ha indotto molti compagni a vedere negli studenti una
categoria eversiva, naturale alleata
degli sfruttati: la situazione oggettiva in cui gli studenti si verrebbero a trovare da un punto di vista
sociale li spingerebbe inevitabilmente a porsi come genuina "classe" rivoluzionaria. Altri, invece,
sostengono una tesi radicalmente opposta: le lotte studentesche non sarebbero altro che un aspetto
della marcia verso il potere di una nuova classe dirigente. In tutte le società industriali avanzate
lo
sfruttamento cambia volto ed il privilegio dei "nuovi padroni" (i tecno-burocrati) si scontra con quello
dei "vecchi-padroni" (la borghesia capitalistica). In tutte le strutture sociali vi è lotta fra vecchio
e
nuovo. Tanto più nella scuola, laddove si forma la base del privilegio tecno-burocratico,
scoppiano le
contraddizioni fra una vecchia impostazione che vuole produrre tecnici e dirigenti subordinati al
servizio della borghesia e le esigenze degli studenti che già rifiutano il ruolo
subordinato. Su tale argomento, che appare di grande interesse, la redazione di "A"
ha organizzato una tavola
rotonda, che si è tenuta a Milano nel mese di marzo.
DIBATTITO SUL SIGNIFICATO DELLE LOTTE
STUDENTESCHE
OTTO (studente, del gruppo libertario del politecnico). La scuola, un tempo, era un'istituzione
confacente all'autorità costituita, cui si accedeva mediante il censo.
Oggi, invece, non avendo la lotta di classe uno sbocco rivoluzionario, la scuola serve come spinta alla
razionalizzazione del capitale; siccome la lotta di classe non riesce a colpire i reali motivi su cui si basa
lo sfruttamento, la scuola viene usata non più per la formazione di quadri dirigenti, bensì
come serbatoio
di forza-lavoro, che rimane disoccupata (scuola media) o sottoccupata (università). Mentre una
piccola
parte di universitari riesce a diventare, una volta fuori, qualcosa di simile ai managers americani, la
maggior parte rimane invece in una situazione proletarizzata, a causa della parcellizzazione del lavoro
e
del rapporto contrattuale presente all'interno dell'azienda o della fabbrica. A livello delle scuole medie
questo fenomeno di proletarizzazione degli studenti è ancora più accentuato.
Infatti la libera professione tende a scomparire in maniera totale (solo il 2% degli studenti dopo la scuola
esercita la libera professione), e questo avviene sia ad Architettura, sia negli altri campi, come dimostrano
le varie statistiche. Nell'edilizia, per esempio, il cantiere tende a non assumere più il libero
professionista,
ma grossi gruppi di persone, in cui ogni tecnico svolge sempre lo stesso lavoro e si avvicina
alla
posizione dell'operaio. Oggi, uno studente che esce dall'università non entra in fabbrica come
dirigente,
ma entra in una grossa azienda in cui svolge della manovalanza intellettuale. Il capitale ha bisogno di
razionalizzarsi ed aumenta a dismisura il settore terziario per darsi un aspetto tecnocratico (paesi tipo
U.S.A.); gerarchizza tutta la società, ma senza che nella gerarchia stessa vi siano salti di potere.
Tutti i
gradini hanno lo stesso potere, tranne il grande tecnocrate che sta in cima.
ROBERTO (insegnante, del gruppo Azione Anar-Nera). Questa è una analisi
più affermata che dimostrata. Bisogna in altre parole vedere se realmente la grande
massa degli studenti universitari e medi svolge dopo la scuola lavori subordinati. Il problema dipende
anche dal significato che si vuol dare al tipo di lavoro che lo studente è chiamato a svolgere. Che
il lavoro
del tecnico moderno sia molto diverso da quello del tecnico di 50 anni fa non vuol dire che si tratti di
manovalanza tecnica; poiché, malgrado la parcellizzazione, il tecnico svolge comunque un lavoro
più
piacevole e più remunerativo di quello di un qualsiasi operaio. Lo studente impara oggi a svolgere
un
lavoro direttivo che è sì diverso da quello di 50 anni fa, ma è pur sempre un
lavoro direttivo.
CESARE (operaio, dei gruppi anarchici Bandiera Nera). Scusate se riporto indietro la
discussione, ma non sono d'accordo sul termine "proletarizzazione". Perché
allora bisognerebbe chiamare proletario anche il piccolo commerciante e la piccola borghesia. Per
proletario non bisogna intendere solo chi non ha soldi, ma anche chi non ha conoscenze. Gli studenti
finora hanno detto: "La scuola a tutti"; però i figli d'operai non hanno conoscenze, mentre gli
studenti
sono riusciti ad ottenere miglioramenti nella scuola, a loro beneficio, per sapere e potere di più.
Tant'è
vero che anche oggi gli studenti che dicono di voler comunicare con gli operai trovano un grande
ostacolo
nella diversità del linguaggio. Ad esempio io, quando qualche anno fa mi sono avvicinato agli
anarchici
ho impiegato molto tempo per capire che molti giovani studenti dicevano le stesse cose che dicevo io.
Se
gli studenti dunque vogliono essere rivoluzionari devono lottare con gli operai per l'accesso di tutti
al
sapere effettivo, portando avanti rivendicazioni non corporative, ma globali, perché gli
operai non
potranno mai studiare né farsi una cultura da autodidatti se continueranno a lavorare come bestie
per otto
ore al giorno; è chiaro che infatti la sera preferiranno andare a dormire.
GISBERTO (studente, del gruppo libertario del Politecnico). È vero che il tecnico tende
a fare lotte corporative, ma è anche vero che sono lotte patetiche, perché
oggettivamente il capitalismo avanzato di oggi non lascia loro alcun potere. È vero che il tecnico
tende
ad elevarsi, ma così fa anche l'operaio. D'altronde l'apertura delle università ai figli di
operai non si può
fare in una società come questa; sono già aumentati figli di piccoli borghesi, ma quasi
mancano in certe
facoltà i figli di operai; lottare per la realizzazione di questo obiettivo è certamente
rivoluzionario.
OTTO La questione del linguaggio è vera e sono d'accordo anche sul fatto che gli
studenti portano avanti lotte
"false" che non sono certo quelle degli operai; ma se questo accade è solo per errori soggettivi
che non
hanno consentito loro di congiungersi con il proletariato. Di fatto, però, i tecnici sono
oggettivamente dei
proletari, anche se non lo sono ancora soggettivamente.
CESARE Infatti lottano per avere più potere!
ROBERTO Parlando della proletarizzazione dei tecnici si dimenticano due cose: 1) non si
tiene conto della naturale tendenza al vittimismo dei tecnici stessi; il fatto che si lamentino che
il loro lavoro è ripetitivo, inadeguato a quello che vorrebbero fare, non significa affatto che esso
sia più
sfruttato di altri, anzi è certamente più piacevole di quello manuale. In effetti, come ha
appena detto
Cesare, questa gente vuole più potere. 2) È abbastanza sicuro che la scuola sia oggi
in un periodo di crisi, vale a dire che non c'è coerenza fra
il tipo di preparazione che fornisce ed il tipo di lavoro che questa gente sarà chiamata a svolgere
fuori
dalla scuola. Ma è una crisi momentanea, che rientrerà non appena la scuola
saprà adeguarsi alle
indicazioni date dalla classe dirigente. Oggi il numero di persone che vanno a scuola è molto
maggiore
di quello di una volta. Questo significa che il minimo di istruzione necessaria per raggiungere funzioni
direttive si è elevato. Oggi anche l'operaio deve fare la 5a elementare; si è dunque elevato
il livello minimo
di istruzione, ma si è elevato anche quello massimo: la distanza tra i due livelli è rimasta
uguale a prima.
AMEDEO (assistente universitario, dei gruppi anarchici Bandiera Nera). È necessario
definire il termine "proletario". Proletario è divenuto oggi un termine estremamente ambiguo
perché all'originario significato marxista socio-economico si sono aggiunte definizioni politiche
e
addirittura psicologiche. Alle definizioni teoriche si aggiunge poi l'uso (e l'abuso) che identifica spesso
i termini proletario e lavoratore manuale, proletario e classe inferiore, proletario e rivoluzionario.
Vediamo dunque di chiarire il termine se vogliamo intenderci. Il marxismo vede essenzialmente due classi
sociali, la borghesia (detentrice dei capitali, cioè dei mezzi di produzione) ed il proletariato (che
possiede
e vende la sua forza lavoro). Queste, per i marxisti, sono le due classi protagoniste della storia
contemporanea e gli altri strati sociali sono residui di forme sociali e modi di produzione superati.
Così
la "piccola borghesia" è destinata ad essere assorbita nel proletariato, a "proletarizzarsi". Ecco
da dove
è venuta questa teoria della proletarizzazione degli studenti. Ora, io innanzitutto non accetto
la classica bipartizione marxista della società. La suddivisione della
società in due classi è sempre frutto di una scelta arbitraria perché in
realtà la società è stratificata
gerarchicamente in una piramide di privilegio e di sfruttamento. Tuttavia, in epoche storiche
"statiche" essa può essere utile per comprendere a grandi linee i fenomeni
sociali. In epoche "dinamiche", cioè di accelerate trasformazioni sociali, la suddivisione
schematica in due
classi può, al contrario, riuscire di impaccio o addirittura di impedimento alla comprensione dei
fatti. Così
l'ostinarsi a vedere le trasformazioni in atto da un secolo a questa parte esclusivamente in termini di lotta
tra borghesi e proletari (una lotta il cui sbocco inevitabile sarebbe la rivoluzione socialista) ha impedito
al movimento operaio di vedere che in realtà le sue lotte per l'eguaglianza e la libertà
venivano
strumentalizzate da una nuova classe di padroni, i tecno-burocrati, in ascesa verso il potere, di capire che
in realtà la vera lotta di classe che sta scuotendo il mondo industriale avanzato è quella
tra vecchi e nuovi
padroni, tra vecchio e nuovo sfruttamento, tra capitalismo privato e "capitalismo di stato". L'ideologia
marxista, con il suo dogma delle due classi, ha nascosto la realtà della ascesa di una nuova classe
dirigente. Se è vero che una parte della piccola borghesia bottegaia va scomparendo è
ben vero per contro
che la "piccola borghesia" "impiegatizia", tecnica, burocratica, va acquistando sempre maggior
potere. I dirigenti non solo non sono proletari (secondo la definizione classica marxista lo sarebbero)
ma neppure
si proletarizzano. E gli studenti, futuri dirigenti tecnici, amministrativi e politici, non si proletarizzano.
Certo, essi non si porranno, una volta laureati, al vertice della piramide sociale (ed è proprio
questo che
dà loro fastidio), ma a vari livelli intermedi, tra il vertice e la base.
OTTO Non è vero; infatti lo studente non ha potere contrattuale nei confronti dello
stato.
AMEDEO Al contrario, perché lo stato è formato appunto da studenti usciti
dalle università. In questo contesto, la
scuola di oggi è inadeguata alle esigenze della nuova classe tecno-burocratica. Le scuole
continuano a
produrre dei tecnici con funzioni di potere intermedio, cioè dei dirigenti subordinati; ma mentre
un tempo
ciò era funzionale perché c'era chi stava sopra (capitalista/padrone), oggi non lo è
perché questi è
scomparso (o sta scomparendo) ed a lui si devono sostituire i tecnici, che sono inadeguatamente
preparati.
Otto parla di capitalismo avanzato; si può anche definirlo capitalismo di stato. Io preferisco
parlare di
feudalesimo industriale. Ma non facciamo questioni terminologiche, purché sia ben chiaro di cosa
stiamo
parlando. Il controllo della produzione è detenuto da una classe diversa da quella borghese
"classica", e
ciò dà origine ad un diverso sfruttamento e a diversi rapporti sociali; questa nuova
società nasce dalla
vecchia, ma non è più la vecchia società.
ALBERTO (architetto, del gruppo libertario del Politecnico). Vorrei ritornare al punto centrale
della discussione. Ammettiamo pure che dalla scuola, attraverso cicli
di selezione, escano i futuri dirigenti; anche in questo caso, comunque, rimarrà sempre un
enorme
squilibrio tra i pochi che diventeranno realmente dirigenti e la grande massa degli studenti, che
verrà
immessa in ruoli direttivi intermedi. Anche in Italia esistono ormai scuole per dirigenti. Il peso
dell'aumento della scolarizzazione grava tutto sulle famiglie, che se lo accollano perché credono
di avere
così la possibilità di aumentare il loro livello sociale, mentre ormai gli studenti non ci
credono più. Una volta la classe impiegatizia partecipava al potere a livello decisionale; oggi
vediamo che al suo interno
ci sono due tipi di ruoli differenziati, uno manageriale che si è molto dilatato, l'altro, formato
dalla
maggior parte degli impiegati, di tipo puramente esecutivo. Questo ha portato a delle manifestazioni di
presa di coscienza da parte della classe impiegatizia, che si sente sempre più affine alla classe
operaia. È
ben vero che questa sua reazione è dovuta alla diminuzione dei suoi privilegi, ma questo non
sposta la
sostanza del problema. Nella massa degli studenti quelli che vanno ad occupare ruoli dirigenziali sono
anche quelli già predestinati per il ceto, ecc.
ROBERTO Continuo a dire che con questi ragionamenti si scambia la momentanea
inadeguatezza della scuola con
un suo stato permanente di crisi. Già oggi si delineano i primi sintomi della trasformazione della
scuola
verso forme più efficienti.
CESARE Domani ci sarà l'università per i proletari ed una altra scuola per i
dirigenti, ma la distanza rimarrà la
stessa.
GISBERTO La scuola ha due tipi di funzioni: sfornare un tipo di tecnico ad alto livello ed un
altro proletarizzato. Sul
piano economico, da una parte ci sono le esigenze del capitale avanzato che ha bisogno di servizi,
dall'altra una serie di piccole aziende che ha bisogno di tecnici proletarizzati quali quelli provenienti dagli
istituti tecnici. Non è vero che il grosso capitale tenda ad assorbire le piccole aziende,
perché esse
forniscono al capitale servizi essenziali ed il capitale stesso le controlla di fatto sul mercato. Quanto al
termine "proletarizzato", esso significa non avere nessun potere decisionale all'interno, avendo al
massimo
il ruolo di capo-guardiano; significa avere un potere contrattuale ridotto, essere quindi a livello
dell'operaio. Che poi soggettivamente il tecnico si illuda e faccia delle lotte per riavere il potere che non
ha più, non ha nessuna importanza, perché di fatto il tecnico è un proletario. Gli
operai del settore
secondario tendono sempre più a ridursi, poiché la società tende a sviluppare il
suo settore terziario.
AMEDEO Il problema, in ultima analisi, è quello di stabilire se gli studenti, come tali,
sono una classe rivoluzionaria,
come taluni compagni vanno dicendo. La mia risposta è no. Essi sono dei futuri tecnici, e nel loro
ambito
si forma la classe tecno-burocratica, nuova classe dirigente delle moderne società
industriali. Quindi le
loro lotte non possono che essere controrivoluzionarie, quale che ne sia l'aspetto
esteriore. Non nego che tra gli studenti ci siano tanti rivoluzionari in buona fede (ma erano
egualitari in buona fede
anche i giacobini che oggettivamente facevano la rivoluzione borghese). Non nego neppure (tutt'altro)
che tra gli studenti possiamo trovare dei validi compagni. Ma ritengo risolutamente che come
categoria
gli studenti non possano che lottare per la difesa e il consolidamento (attraverso la razionalizzazione della
scuola) del loro privilegio specifico: il monopolio di classe del sapere. Una certa dequalificazione della
scuola e dei titoli ed il parallelo accesso di larghi strati di giovani alla scuola media superiore e - in misura
minore - all'Università, significa solo che oggi ai padroni serve un grado maggiore di istruzione
media e
che si è dunque spostata in avanti la soglia di acquisizione del sapere socialmente significativo.
Tutto
questo non ha nulla a che vedere con la supposta "proletarizzazione". A mio avviso, parlare di
proletarizzazione degli studenti e indicare quindi gli studenti come categoria
oggettivamente rivoluzionaria è non solo scientificamente errato, ma tatticamente pericoloso e
strategicamente controrivoluzionario.
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