Rivista Anarchica Online
Anarcosindacalismo
Gruppi Anarchici Federati Genovesi
Crisi internazionale dell'anarcosindacalismo (in particolare
situazione italiana).
Le potenti organizzazioni anarcosindacaliste che tra le due guerre mondiali, per le loro
capacità di
mobilitazione e di risveglio della coscienza delle masse sfruttate, diedero filo da torcere al fronte borghese
internazionale oggi sono ridotte all'ombra di se stesse. La C.N.T. spagnola, duramente colpita dalla
repressione falangista, esiste ancora tra i compagni spagnoli
in esilio, ma con forze assai ridotte e forzatamente con uno scarso aggancio alla realtà spagnola
e ai
fermenti di risveglio della classe lavoratrice di Spagna (Commissioni operaie ecc.). In Italia l'U.S.I.,
rinata nel dopoguerra dall'iniziativa di pochi compagni, tra l'indifferenza e in alcuni casi
l'ostilità di molti anarchici che preferirono entrare nella CGIL (confondendo la reale unità
di classe con
l'interclassismo di stampo ciellenistico che ha permeato sin dalla nascita la CGIL e che ha avuto il suo
sbocco naturale nel riformismo e nel partecipazionismo dei giorni nostri), oggi esiste soltanto di nome
e
per l'opera di qualche decina di vecchi militanti, avulsa quasi completamente dai momenti di risveglio
della coscienza operaia che si sono verificati in questi ultimi anni. Negli altri paesi la situazione non
è certo migliore, le organizzazioni tradizionali degli anarco-sindacalisti
sul piano internazionale sono quasi completamente scomparse e dove continuano ad esistere non sono
che l'ombra del passato (FORA, CNTF ecc.). Forse l'unico paese dove un'organizzazione
anarcosindacalista ha conservato una posizione importante
e di preminenza è la Svezia, dove la SAC, il sindacato libertario anarchico, raccoglie intorno a
sé una
discreta parte della classe operaia svedese (è il secondo sindacato del paese dopo quello
socialdemocratico). Bisogna però tenere conto delle particolarità della società
svedese e dell'atmosfera riformistica di marca
socialdemocratica che vi regna e che riesce spesso a smorzare l'asprezza dello scontro di classe con
lusinghe partecipazionistiche e con atteggiamenti paternalistici e bisogna dire che purtroppo la Sac non
è riuscita a sottrarsi a questo clima di pace sociale e ne è rimasta contaminata, se non nei
principi,
nell'azione pratica. Il "revival" dell'anarchismo che ha caratterizzato la scena dello scontro sociale
e politico, sul piano
internazionale in questi ultimi anni e che ha provocato la crescita disordinata, spesso confusa, ma sempre
impietosa dei gruppi che si richiamano all'anarchismo dei militanti dei gruppi anarchici già
esistenti non
ha trovato riscontro nel campo delle organizzazioni anarcosindacaliste (questo è valido in
particolare per
la situazione italiana ed è a questa che d'ora in poi ci riferiremo). Si è cioè
verificato un fenomeno
particolare: tutti quei principi e temi di lotta che erano stati propri delle organizzazioni anarcosindacaliste
(nel nostro caso l'U.S.I.), come la necessità per gli operai di gestire in prima persona le proprie
lotte senza
deleghe, la critica del riformismo delle organizzazioni sindacali "tradizionali", il rifiuto degli accordi con
i padroni, l'azione diretta ecc., sono stati fatti propri da altri gruppi operaisti tipo Lotta Continua, Potere
Operaio ecc., gruppi privi di un discorso teorico e ideologico preciso o che si richiamano confusamente
al marx-leninismo interpretato in chiave libertaria (che è un assurdo sia dal punto di vista della
teoria che
della pratica). D'altra parte, in seno al movimento anarchico, rifiutata più o meno
esplicitamente l'ipotesi (organizzativa)
anarcosindacalista (1) non c'è stato finora alcun serio tentativo di motivare razionalmente questo
rifiuto,
non si è cercato di analizzare quali contenuti e strumenti le esperienze di lotta dell'U.S.I.
potessero fornire
che fossero ancora oggi valide e attuali, ne si è cercato infine di fornire (tranne alcuni tentativi
che noi
giudichiamo parziali e malamente impostati) soluzioni alternative pratiche e teoriche al problema
dell'autonomia e dell'autogestione della classe operaia e dei mezzi che questa ha per raggiungere la sua
emancipazione. Riassumendo abbiamo oggi dei gruppi non anarchici che fanno interventi
anarcosindacalisti, con tutti i
pericoli di degenerazione o di strumentalismo che questo comporta, e dei gruppi anarchici che molto
spesso sono slegati dalla realtà operaia, che è quella degli sfruttati, e che non fanno sforzi
sufficienti per
legarvisi e intervenirvi.
Validità di alcuni strumenti pratici e teorici che le esperienze storiche ci
propongono.
Proprio per iniziare un necessario esame critico delle funzioni, degli strumenti che ci propone e della
"attualità" dell'anarcosindacalismo bisogna scindere la nostra analisi in due parti. In primo
luogo bisogna individuare gli strumenti e i mezzi che le esperienze di lotta dei movimenti
anarcosindacalisti del passato ci propongono e vedere se nello scontro con la situazione d'oggi, con
l'evoluzione di certe strutture della nostra società, con la ristrutturazione del capitalismo essi
hanno
conservato una loro validità e loro capacità di colpire e/o fino a che punto c'è
la necessità di una
ristrutturazione e di un adeguamento. In secondo luogo è necessario determinare fino a che
punto le strutture organizzative delle organizzazioni
anarcosindacaliste sono in grado di adeguarsi alle mutate condizioni economico-politico-sociali della
realtà
d'oggi e all'estrema "specializzazione" dei settori di intervento (oggi non solo fabbrica, ma scuola,
quartiere ecc.) nei quali si combatte contro i nemici di sempre (burocrati e padroni). Per quanto
riguarda i temi tradizionali e gli strumenti di intervento e di lotta tipici dell'anarcosindacalismo
secondo noi oggi non ci sono molte alternative: l'intervento diretto dei militanti dentro e fuori la fabbrica,
teso a propagare tra gli operai una rinnovata fiducia nelle loro possibilità di emancipazione
autonoma, al
di fuori cioè di ogni tutela di partiti e movimenti politici (adepti più o meno
esplicitamente dell'ideologia
borghese), nelle loro possibilità di gestire in prima persona, oggi le lotte e domani la produzione
stessa
della fabbrica; oggi sono necessità imprescindibili. Così com'è oggi è
necessario continuare la lotta a fondo contro il tradimento e la connivenza padronale
delle centrali sindacali riformiste, allo stesso modo bisogna indirizzare gli operai verso forme di lotta
più
dure e decise (scioperi selvaggi, occupazione delle fabbriche ecc.) che danneggino effettivamente la
produzione e colpiscano i padroni nei profitti, verso decisioni assembleari senza lasciarsi irretire dalla
illusoria democraticità dei delegati di reparto e dei consigli di fabbrica di marca sindacale
(può a questo
proposito servire spiegare che cosa effettivamente erano nel 1920 i consigli di fabbrica, mostrare da che
situazione di lotta e di maturità della coscienza operaia questi organismi erano nati e nel raffronto
mostrare l'involuzione che c'è stata), verso il rifiuto degli accordi-bidone con i padroni che
servono solo
ad assicurare "pace sociale" e maggiori profitti a questi ultimi e non certo migliori condizioni di vita agli
sfruttati. Queste sono secondo noi le linee generali di un intervento anarco-sindacalista nella
realtà sociale di oggi,
linee e principi che noi ricaviamo dalle esperienze storiche di lotta dei movimenti anarcosindacalisti del
passato e che hanno conservato intatta la loro validità ed efficacia nelle mutate condizioni
economico-sociali di oggi. Il discorso cambia e si fa più complesso quando si passa ad
esaminare le strutture organizzative che ci
vengono proposte storicamente dall'anarcosindacalismo. Il modo in cui, ad esempio, l'U.S.I. si pone
organizzativamente (2) oggi di fronte non solo alla realtà
esterna, ma di fronte alla realtà stessa del movimento anarchico in Italia è inadeguato
(come è sbagliato
il modo di porsi del movimento anarchico nei confronti dell'anarcosindacalismo sia dal punto di vista
organizzativo che da quello dei principi e degli strumenti di lotta) ed è quindi secondo noi
necessario
(come spiegheremo più avanti) un profondo chiarimento sulle funzioni dell'anarcosindacalismo
e sulla
necessità di una sua ristrutturazione pratica e organizzativa.
Necessità di adeguamento e di ristrutturazione.
Chiariamo innanzitutto che noi consideriamo l'intervento anarcosindacalista come un momento
irrinunciabile e fondamentale nell'elaborazione di una strategia rivoluzionaria anarchica. Pensiamo
cioè che la nostra azione di stimolo alla crescita della coscienza delle masse sfruttate e alla loro
autonoma emancipazione ci debba vedere sempre attivi nelle situazioni di lotta allo sfruttamento, che oggi
sono molteplici (fabbrica, scuola, quartiere o ogni altra situazione sociale dove lo scontro si presenta
acuto) e che non basti quindi l'intervento anarchico specifico a livello politico-sociale, ma che si debba
intervenire anche sul piano delle contraddizioni economiche a cui sono sottoposti gli sfruttati, piano sul
quale questi ultimi hanno una sensibilità maggiore perché strettamente connesso alla
realtà di ogni giorno.
Necessità quindi di un intervento anarcosindacalista non soltanto tra gli operai ma dovunque
lo scontro
sociale e di classe si presenti in forme acute. Riteniamo importante questa premessa per far capire
quanto, secondo noi, oggi sia importante iniziare
a portare a compimento questo processo di ristrutturazione e di adeguamento dell'intervento
anarcosindacalista sia dal punto di vista organizzativo che da quello teorico. Parliamo di
necessità di adeguamento o meglio di ampliamento del discorso perché oggi ci sono delle
categorie e degli ambienti sociali che si affacciano a livello di massa sulla scena dello scontro sociale ed
economico per la prima volta (o perlomeno per la prima volta si pongono più o meno
esplicitamente in
funzione antiborghese e potenzialmente rivoluzionaria). Intendiamo riferirci in particolare agli
studenti e alla loro esplosione di coscienza (la cui storia di questi
ultimi anni è sin troppo nota e sulla quale non è certo il caso di soffermarsi, ma il rilevare
che la loro
iniziale carica antiautoritaria e antiburocratica si è andata affievolendo fino quasi a scomparire
nel
riformismo e nel settarismo gruppusculare di marca piccolo-borghese, non ci deve esimere dal notare le
possibilità potenziali che hanno ancora gli studenti di avere una funzione di "rottura" all'interno
della
società borghese), alle categorie dei tecnici e alla loro "proletarizzazione", (categorie per le quali
sono
evidenti i pericoli di "feudalizzazione", ma per le quali almeno negli strati inferiori, di fronte alle tendenze
di sviluppo della società capitalista, si può prevedere un progressivo impoverimento,
dequalificazione e
in effetti un "processo di proletarizzazione" e per le quali si può quindi ripetere ciò che
si era detto per
gli studenti). Di ampliamento e di adeguamento del discorso, se ne deve parlare anche per quel che
riguarda la classe
operaia stessa: di fronte all'ampliarsi e al diffondersi dello sfruttamento e del processo repressivo, fuori
della fabbrica e oltre l'orario di lavoro, è chiaro che il nostro discorso deve essere in grado di
battersi su
ogni fronte che si apra (dai settori più importanti: vita nei quartieri e nei ghetti operai, mezzi di
trasporto
ecc. a quelli che possono sembrare più banali: zone verdi, tempo libero ecc. temi questi ultimi
che sono
pretesto per la "lotta" politica dei partiti riformisti, ma che possono essere correttamente inseriti in un
discorso di insieme tutt'altro che riformista). Questo per quanto riguarda la necessità di
ampliamento del discorso, tenendo ben presente tutti i limiti
che hanno le nostre note e soprattutto che di note si tratta, tese a fornire spunto a un dibattito e a un
chiarimento e non di precisare proposte di lavoro immediato; per quanto riguarda la necessità
di
ristrutturazione dell'organizzazione anarcosindacalista, sarebbe più esatto parlare di
necessità di
costruzione in quanto in realtà non c'è molto da ristrutturare, si tratta secondo noi di
affrontare questo
punto sulla base delle necessità e delle esigenze dell'intervento che verrà portato avanti;
definire ora dei
precisi criteri organizzativi sarebbe inutile.
Gruppi Anarchici Federati Genovesi
(1) Chiariamo, non intendiamo dire che il movimento anarchico nella sua
totalità ha rifiutato
l'anarcosindacalismo come metodo di lotta o ha decretato la morte dell'U.S.I., in realtà l'U.S.I.
sta
morendo di vecchiaia e di consunzione e molti anarchici non se ne accorgono (o si?), altri non pensano
che questo sia un problema, altri (specialmente tra i giovani) non sanno neppure che l'U.S.I. esista, altri
infine fanno un intervento anarcosindacalista (pochi) chiusi però nelle loro realtà locali
senza porsi a
sufficienza il problema della comunicazione delle esperienze e di un minimo coordinamento che superi
il livello cittadino. Secondo noi questa somma di atteggiamenti non è altro, nei fatti, che un rifiuto
dell'ipotesi anarcosindacalista, privo di motivazioni teorico-politiche razionali e privo anche di indicazioni
alternative. (2) In realtà l'U.S.I. non ha strutture organizzative rigide, che ne possano
impedire l'adeguamento alla
realtà d'oggi, si tratta piuttosto dell'atteggiamento "mentale" di molti compagni che (senza
responsabilità
soggettive) tendono a riproporre acriticamente forme organizzative e di intervento che hanno avuto un
loro valore in determinate situazioni storiche ma che oggi risultano slegate dalla
realtà.
Il 9 maggio prossimo si terrà a Genova l'assemblea trimestrale dei
G.A.F. (Gruppi Anarchici Federati).
Oggetto di discussione teorica sarà una relazione dei gruppi genovesi su "L'anarco-sindacalismo".
Di
essa pubblichiamo, in questa pagina, alcuni paragrafi.
SCHEMA DELLA RELAZIONE
1. Origini storiche del sindacalismo e dell'anarco-sindacalismo. 2. Analisi delle più
importanti esperienze anarcosindacaliste. 2.1 L'anarcosindacalismo in Francia. 2.2
L'occupazione delle fabbriche in Italia nel 1920 e l'U.S.I. 2.3 L'IWW e il sindacalismo rivoluzionario
americano. 2.4 L'esperienza machnovista in Russia. 2.5 La C.N.T. in Spagna. 2.6
Esperienze in altri paesi. 3. L'anarcosindacalismo oggi. 3.1 Crisi internazionale
dell'anarcosindacalismo (in particolare situazione italiana). 3.2 Validità di alcuni strumenti
pratici e teorici che le esperienze storiche ci propongono. 3.3 Necessità di adeguamento e
di ristrutturazione. 4. Considerazioni finali. |
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