Rivista Anarchica Online
"Non l'abbiamo ucciso noi..."
senza autore
La ricusazione del giudice Biotti e la denuncia per omicidio sporta dalla vedova Pinelli hanno riportato
sulle prime pagine dei quotidiani il caso del ferroviere anarchico
Il 15 dicembre 1969, a mezzanotte, Giuseppe Pinelli viene gettato
dalla finestra dell'ufficio politico al
quarto piano della questura di Milano, due giorni dopo la strage di Piazza Fontana, lo stesso giorno in
cui viene arrestato Valpreda. Sono passati appena venti minuti dalla tragedia quando il Questore
Guida parla ai giornalisti: "Pinelli era
fortemente indiziato... il suo gesto è un'auto-accusa...". Dopo circa un'ora, un'altra conferenza
stampa,
assieme a Calabresi e ai suoi sgherri: "È crollato quando ha visto che non aveva altra strada, il
suo alibi
era crollato...". Il giorno dopo, i compagni già sanno che Pino è stato ucciso, e alla sera
il questore fascista
dichiara alla televisione: "Vi giuro, non lo abbiamo ucciso noi... Quando saprete le prove che
avevamo...". È una frase storica questa. Un colossale apparato di forze reazionarie, di
questori, poliziotti, giornalisti, avvocati, magistrati, giudici
e ministri tenta con ogni mezzo di dimostrare che Pinelli "non lo abbiamo ucciso noi". E più
questi signori
si affannano, più affondano nelle sabbie mobili delle loro menzogne. Questi uomini, avvezzi a
manovrare
ogni cosa, a tacere, parlare, condannare o premiare con il più assoluto disprezzo dell'opinione
pubblica,
sono ormai ridotti ad aggrapparsi alle più meschine macchinazioni procedurali per restare a galla.
Ma
continuano ad affondare. Come se Pinelli li tirasse per i piedi. La storia si è fatta lunga, la
polvere del tempo cade, ma basta una scrollatina che tutto torna crudo e
violento come fosse successo ieri. Il corpo di Pinelli cade in verticale, urtando i cornicioni. Una
ambulanza giunta con rapidità sospetta lo
trasporta al Fatebenefratelli, dove sono già arrivati i poliziotti, con Allegra in
testa. Illegalmente, un poliziotto è presente in sala operatoria ai tentativi di rianimazione,
mentre alla moglie e
alla madre non è consentito di entrare né di sapere. Poco dopo Pinelli muore. In
contrasto con quanto
ordina la legge, il suo corpo viene allontanato dall'obitorio del Fatebenefratelli dove sarebbe rimasto fuori
dal controllo della polizia e trasportato all'Istituto di Medicina Legale. Il Dr. Fiorenzano, il medico di
guardia che vide per primo Pinelli dopo il volo, verrà sentito dal magistrato solo quattro mesi
dopo. A
poche ore dalla morte viene precipitosamente compiuta l'autopsia, da cui vengono esclusi i periti di parte,
nell'Istituto diretto dal ben noto ex rettore Mario Cattabeni. Le risultanze dell'autopsia concludono che
"le ferite ritrovate sul corpo concordano con le modalità di caduta descritte". Cioè con
una frase vuota
di ogni significato. Sabato 20 dicembre, cinque giorni dopo la morte, il corpo di Pinelli viene calato nella
fossa comune avvolto in una bandiera nera. Questa tomba oggi, a venti mesi dal tragico episodio,
riempie di terrore Calabresi, Amati, Guida e quelli
che li proteggono. L'inchiesta, subito aperta dalla magistratura, viene affidata al sostituto procuratore
della Repubblica Dott.
Caizzi. Dopo un'istruttoria "sommaria" durata ben cinque mesi, condotta in segreto ed impedendo
che la vedova
e la madre si costituissero parte civile, il Dott. Caizzi comunica che non trova nulla di strano, nessuna
"responsabilità penale" nella morte di Pinelli. Il Dott. Caizzi, approfittando di uno sciopero dei
giornali,
chiede l'archiviazione del caso e trasmette il fascicolo al giudice Amati. Nel fascicolo, c'è la
verità
ufficiale: suicidio a tutti i costi; ma i falsi e le ambiguità sono grossolane e fra la gente, nei
giornali, nei
bar, nelle piazze, si fa strada una verità diversa che rende giustizia alla memoria di Pinelli e le cui
conclusioni sono molto lontane da quelle di Caizzi. In luglio, coperto da un altro sciopero dei giornali,
Amati deposita l'atto di archiviazione. Calabresi e protettori tirano un sospiro di sollievo, sebbene tutti
i
muri di Milano lo indichino come assassino, sebbene migliaia di anarchici abbiano percorso Milano
gridando a piena voce che le bombe le avevano messe i padroni e che Pinelli era stato ammazzato,
sebbene nessuno, nemmeno i giornali moderati, credano alla tesi del suicidio, il decreto di archiviazione
sembra porre una solida barriera ad ogni tentativo di conoscere la verità.. Ma, come si legge in
un
manifesto anarchico (che Caizzi riporta indignato nell'ultima pagina della sua infame istruttoria) "... gli
anarchici, i rivoluzionari, non archiviano e non dimenticano". Per alcuni mesi, con un'ostinata serie
di articoli e vignette, il settimanale "Lotta Continua" accusa
apertamente Calabresi di omicidio e Amati, Guida, Restivo, il S.I.D. di collusione e
corresponsabilità.
Dopo molti numeri su questo tono, Calabresi, (pare non di sua iniziativa ma spinto o obbligato dai suoi
superiori) querela Pio Baldelli, direttore di "Lotta Continua", per falso e diffamazione a mezzo stampa.
Sfortunatamente per il Commissario il codice prevede per questo tipo di reato il processo per direttissima,
senza istruttoria. Passa l'estate e in ottobre ha inizio il processo. Giudice è Biotti, il dott.
Pulitanò noto come democratico,
viene estromesso dal collegio giudicante. Si spera che le udienze durino due o tre mesi, si teme che il
processo venga "fatto fuori" in poche sedute. Invece il processo è lungo e ricco di sorprese. Fin
dalle
prime deposizioni dei poliziotti anche per i più disattenti si fa evidente la probabilità e
poi la quasi certezza
dell'assassinio. Passano otto mesi, durante i quali si svolge anche il processo agli anarchici per le bombe
del 25 aprile. Il processo discredita talmente Amati, ridicolizza le indagini della polizia, chiarisce a molti
come vengono condotti gli interrogatori e fabbricate le prove. I personaggi sono gli stessi, Amati, Allegra,
Calabresi, Panessa, Mucilli, tutti nel loro ruolo, il burocrate, il coordinatore, il commissario efficiente ma
"che esegue solo gli ordini", gli agenti ottusi e picchiatori che non ricordano mai nulla. Su tutti
costoro scende una luce sempre più sinistra. Nell'aula troppo piccola del processo Calabresi
- Baldelli (che è diventato Baldelli - Calabresi) si fa strada
con la forza dell'evidenza, la certezza dell'assassinio. È difficile spiegare quello che è
successo dopo, e soprattutto come e perché è successo. Gli avvocati di Baldelli,
Gentili e Guidetti Serra, conclusa la sfilata dei testi che rappresenta
complessivamente un disastro per l'accusa, chiedono che venga disposta una nuova perizia medico legale.
Lener, il ringhioso avvocato di Calabresi, si oppone. (Lener non si capacita di come possa essere
pensabile sospettare un poliziotto di omicidio; secondo lui, infatti, anche i poliziotti che ammazzarono
a mitragliate gli operai a Reggio Emilia, erano innocenti). Il Giudice Biotti accetta che venga compiuto
un supplemento di perizia sulle carte e sui referti di quella a suo tempo fatta da Cattabeni e soci a cura
della polizia. I periti incaricati dichiarano che non è possibile giungere a conclusioni realistiche
sulla sola
base della perizia precedente, ed esprimono alcune perplessità sulla "lesione bulbare" che appare
dietro
al collo di Pinelli. Della "lesione bulbare" la prima perizia riporta l'esistenza ma non fa, stranamente,
alcun commento. I
periti di Lener dichiarano che la lesione può essere stata causata dalla compressione del collo
appoggiato
al tavolo anatomico. I periti della difesa dichiarano che può esser stata causata da detta
compressione
oppure da un colpo di karate (sull'impiego del karate durante gli interrogatori in questura si era
già parlato
nelle precedenti udienze, oltre all'esistenza di una numerosa "bibliografia" in proposito). L'esigenza della
riesumazione della salma e di una nuova autopsia diventa evidente. Dopo molte esitazioni Biotti
accetta di fare eseguire una nuova perizia sulla salma, con la partecipazione
dei periti di parte. A questo punto si apre un gioco di cui noi, che a tutto ci interessiamo tranne che
alle mene di potere,
sottopotere, soprapotere e infrapotere, non possiamo, né in fondo ci interessa, capire in tutti i
particolari.
La danza degli assassini
Contro la decisione del tribunale Lener presenta subito ricorso asserendo che "accogliere le tesi della
difesa significa sancire il completo fallimento delle perizie medico legali eseguite con scrupolo e
coscienza
(?) e screditare le scrupolose (?) indagini fin qui svolte". Con queste parole Lener coglie, suo malgrado,
l'essenza delle cose. Anche il ricorso è inutile, e allora Calabresi e Lener giocano l'ultima
carta: la ricusazione. Il 29 aprile
Lener, per conto di Calabresi, ricusa il suo carissimo amico giudice Biotti. I motivi addotti da Lener sono
noti, si tratterebbe di confidenze fattegli da Biotti in novembre, sette mesi prima, secondo le quali il
giudice sarebbe stato oggetto di pressione da parte di alti magistrati e avrebbe espresso il convincimento
della morte di Pinelli per omicidio. I motivi reali sono che l'apertura della tomba, oltre a "sancire il
fallimento" e "screditare le indagini"
sancirebbe la colpevolezza di Calabresi e non è tutto. Come tutti sanno, Calabresi non è
che il pesce
piccolo, gli altri pesci sono molto grossi, sono la questura di Milano, la procura della Repubblica, la
procura generale, il Ministero degli Interni, l'arma dei Carabinieri (rappresentata nella stanza dal capitano
Lo Grano), che fin dall'inizio hanno imposto con tutti i mezzi a loro disposizione la tesi del
suicidio. Non a caso, infatti, i degni rappresentanti della Giustizia colgono la palla al balzo. In fondo
che la tomba
resti chiusa è nell'interesse di tutti. Biotti deve pagare per salvare tutti gli altri. La ricusazione con
rara
prontezza della Corte di appello di Milano, viene accettata con un documento di 25 pagine che l'intero
palazzo di giustizia non esita a definire allucinante. Da Roma il Consiglio Superiore della Magistratura
inizia ufficialmente un procedimento per il trasferimento d'ufficio del giudice Biotti. Il consiglio
decide anche di promuovere un'azione disciplinare nei confronti del magistrato che si
concluderà con la sospensione dall'incarico ed il taglio dello stipendio. Biotti, dichiara false le
insinuazioni
di Lener "Possono pure trasferirmi a Siracusa, ma io tornerò a Milano, voglio guardare in faccia
il giudice
che potrà negare la riesumazione della salma di Pinelli" sono le sue parole. Nel frattempo
si levano sdegnate le voci di altri magistrati tirati in ballo, con ordinanze del Consiglio
Superiore e titoli di giornale in una sarabanda di dichiarazioni, memorie, ricusazioni, e discorsi colmi di
frasi che suonano insolenze rivoltanti, quali "il rispetto degli ordinamenti democratici" "della
indipendenza
della legge" "la garanzia di un'amministrazione della giustizia al di sopra delle parti". È la
danza degli assassini, che suonano le trombe e vestono i sacri paramenti per confondere la plebe. Di
vero, in tutto questo, c'è che la tomba resta chiusa, e la verità, ancora una volta, sepolta
sotto due metri
di terra. Nel nome della Legge.
Come avevamo detto, questi personaggi miserabili più si dibattono e più affondano.
Forse speravano che,
anche a prezzo di questa ignobile sarabanda, la tomba sarebbe rimasta chiusa per sempre. Invece
no, il 24 giugno Licia Pinelli chiede formalmente la riapertura dell'istruttoria con l'incriminazione
di tutti i poliziotti sospetti: i Commissari Allegra e Calabresi (nominato pochi giorni fa Commissario capo.
No Comment), i sottufficiali Panessa, Caracuta, Mucilli e Mainardi, il capitano della "Benemerita"
Sabino
Lo Grano. A costoro si contesta il reato di OMICIDIO VOLONTARIO, violenze private, sequestro
di persona,
abuso d'ufficio, abuso di autorità. Il documento viene consegnato a Luigi Bianchi d'Espinosa,
insediatosi
da poco tempo come procuratore generale a Milano. D'Espinosa è uomo retto e democratico,
così si dice.
Ma non crediamo sia sufficiente un uomo retto e democratico per smascherare una montatura di
Stato. Per il momento Bianchi d'Espinosa ha rimandato ogni decisione a dopo le ferie, invece di
decidere subito.
Primo esempio di rettitudine! Non vogliamo essere pessimisti, ma è un brutto inizio.
Ultimamente abbiamo ancora avuto modo di
vedere come si decidono i processi in tribunale (o dietro il tribunale? o magari al Bar sotto casa? o forse
nel salotto di un vecchio amico?). Il commissario capo diventerà questore, di questo passo, ma
non
dormirà tranquillo: le vertebre rotte si riconoscono anche dopo molti anni.
Milano, Cimitero di Musocco: la tomba di Giuseppe Pinelli. Sulla pietra
e scolpita una poesia tratta
dall'Antologia di Spoon River: "La macchina del "clarion" di Spoon River venne distrutta / ed io
incatramato ed impiumato / per aver pubblicato questo / il giorno che gli anarchici furono impiccati
a Chicago: / Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati / ritta sui gradini di un tempio
marmoreo / una gran folla le passava dinnanzi / alzando al suo volto il volto implorante / nella sinistra
impugnava una spada / brandiva questa spada / colpendo ora un bimbo ora un operaio / ora una donna
che tentava di ritrarsi ora un folle / nella destra teneva una bilancia / nella bilancia venivano gettate
monete d'oro / da coloro che schivavano i colpi di spada / un uomo in toga nera lesse da un
manoscritto: / "Non guarda in faccia a nessuno" / poi un giovane col berretto rosso / balzò al suo
fianco e le strappò la benda / ed ecco le ciglia erano tutte corrose / sulle palpebre marce / le
pupille
bruciate da un muco latteo / la follia di un'anima morente / le era scritta sul volto / ma la folla vide
perché portava la benda. |
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